sabato 30 marzo 2013

Impressioni | Soldati a vapore, di Diego Ferrara

Soldati a vapore è una novellette di Diego Ferrara, pubblicata online e disponibile qui, su Ultima Books - a breve sarà pubblicata su altri negozi online (anzi, forse, mentre scrivo, è già stata pubblicata altrove).
Ho avuto l'onore di leggere l'opera in anteprima e sono rimasto di stucco. Il 90% e più della narrativa che si trova in giro è scarsa o nella migliore delle ipotesi discreta. Online è possibile leggere qualcosa di buono se si sa cercare bene.
Quando ho cominciato a leggere Soldati non mi aspettavo dunque un capolavoro, ero pronto tanto al romanzo scarsino quanto a quello sufficiente.
Invece l'apertura dell'opera mi ha subito convinto, è bastato poco per capire che era scritta in maniera magistrale. Ed è il termine migliore, perché effettivamente uno scrittore che legge Soldati ha un'utilissima fonte di apprendimento tecnico (o di imitazione, a ognuno il termine che preferisce).
Siamo in un 1848 ucronico in cui gli italiani, a bordo di mech - i Manzetti -, affrontano gli austriaci, anch'essi "motorizzati" - coi Krebs -, che rappresentano una seria minaccia per la nazione, in quanto in possesso di una superarma, per citare la sinossi.
Soldati è narrato in prima persona. I personaggi sono veri, credibili, sanno essere divertenti ma anche interessanti. I dialoghi sono naturali, non ci sono scene morte, filler, è tutto essenziale e accattivante.
Lo stile è azzeccatissimo, asciutto e carismatico: la storia non potrebbe essere raccontata in maniera migliore. Le azioni sono mostrate, i dettagli rendono palpabile l'atmosfera.
Lo stile è magistrale perché unisce l'affidabilità della prima persona con un linguaggio “personalizzato”, che ha carattere, con metafore e similitudini semplici, originali, adeguatissime e graficamente rappresentative.
Un esempio a caso:
(...) Mentre **** ha lottato valorosamente contro i Krebs finché questi ultimi, in soprannumero, non sono riusciti a oltrepassare le protezioni dorsali e lo hanno tagliuzzato come una zucchina.
Un esempio meno a caso:
Intanto tengo il sigaro lontano dal naso, come farei con uno che ha parenti viennesi.
Parlare di genere narrativo è sempre un po' difficile. In questo caso, a farla da padrone è l'azione/guerra. Sostanzialmente, è di questo che parla la storia. Secondariamente è steampunk, perché il ruolo dei Manzetti e compagnia è comunque molto significativo. Per ultimo, come sub-sub-genere, io ci metterei comedy-drama, forse perché è un sottogenere che mi piace, o forse semplicemente perché figurano contenuti drammatici trattati con umorismo nero, difatti nel complesso l'equilibrio della storia non si scompensa mai a favore di un versante piuttosto che l'altro (drammatico piuttosto che comico), e anzi, il ritmo degli eventi insieme allo stile mantengono un ottimo ritmo fino alla fine.
Soldati a vapore è il tipo di storia che mi piacerebbe vedere come serie tv ad alto budget. Così come Romanzo Criminale  la serie - l'unica serie tv italiana degna di stima anche fuori dallo stivale -, che mi risulta passino sulla tv via cavo americana in lingua originale coi sottotitoli, ecco, mi piacerebbe vederci pure Soldati. Spaccherebbe.
Diego sarà allo SteamCamp, quindi chiunque sia interessato può anche beccarlo lì a presentare Soldati e non solo.
Vi lascio con un'anteprima dell'opera. Si tratta praticamente dell'intro, Il brodo delle Mec. Mi piace perché è la maniera esatta in cui andrebbe usato il "tell"* (questo per sfatare il mito che lo show è sempre e comunque cosa buona, e anche per chiarire che un'opera di narrativa non si regge su banalità del tipo "Lui era teso").
Buona lettura!

0. Intro(Il brodo delle Mec) 
dal “Diario di Guerra” di Giuseppe Basile 

dintorni di Pozzolengo – 16 giugno 1848 
A me il brodo fatto col cervello dei crauti ha sempre fatto schifo, lo dico chiaro e tondo. C’è chi continua a ripetere che ci si fa l’abitudine – qualche genio ha il coraggio di sostenere che col tempo diventa addirittura buono – ma per me ficcare il naso in quella sbobba è come mettersi a baciare il culo di un cane. Come ci si può abituare a una merdata simile? Se non sbaglio il primo a raccontarmi che era solo questione di tempo era stato un certo Gianetti, mentre camminavamo verso il comando di battaglione con gli ordini nel tascapane e una torma di pensieri confusi su ciò che ci aspettava al di là delle colline. Il punto è che ti ci devi abituare per forza, era stato il suo ragionamento. Al rientro da un assalto bisogna bere, è tradizione. Sono ammesse defezioni solo se un Krebs ti ha staccato una mano e riesci a filartela in infermeria per direttissima. Oppure se i crauti ti hanno fatto secco. Sono passati quattro mesi da quel giorno, e il ricordo è stato sommerso da ciò che ne è seguito: un’alta marea di grida, boati e sinistri cigolii. Ma era tutto vero. Prima dell’inizio della primavera lo avrei constatato più volte di quante avrei desiderato.
Ai Pulcini è Costa che prepara il brodo, perché da civile faceva il barista a Pavia. Insomma, è quello con le qualifiche. La procedura è semplice: si prende un crauto – vivo è molto meglio, ma se proprio non si trova va bene anche morto – e mentre quello piange e strilla nein! Bitte nicht! gli appoggi il bordo di un bossolo da 120 sopra l’orecchio e cominci a menare forte con la mazza da cinque chili. C’è  un punto preciso (Costa sa benissimo dov’è) che se lo prendi, con due o tre colpi ben piazzati la calotta cranica del crauto salta via come un tappo di prosecco. Il cervello, sotto, è grigio e bitorzoluto. Bisogna scalzarlo con un grosso cucchiaio e poi tagliare. A questo punto viene fuori parecchio sangue, ma tanto nessuno ci fa caso: stanno tutti lì incantati a vedere quella roba grigia nelle mani di Costa che con aria  cerimoniosa la ficca nell’Elmo Potorio, a bagno nella mistura di grappa e olio lubrificante. Stando alle parole del tenente Bregoli, l’olio del Manzetti dovrebbe essere il fottuto sangue nero delle nostre vene. L’Elmo Potorio per noi ha lo stesso valore di un artefatto magico. È la nostra Cornucopia. È il primo pickelhaube catturato dai Pulcini da quando il battaglione è stato assegnato alla zona del Mincio, nel febbraio scorso. Ormai possiede la sua aura di leggenda. Quando non serve per bere il brodo, Costa lo tiene appeso al posto d’onore dietro il banco, insieme a un sacco di altra roba rastrellata sul campo di battaglia: croci di ferro, sciabole, stivali, il cranio di un colonnello crauto di cui non ricordo mai il nome (comunque il cranio è stato ribattezzato Joseph, in onore del sommo bastardo gran comandante di tutti i crauti). Sono cimeli che la compagnia conserva a memoria della sua gloria imperitura. C’è perfino un folgoratore da Wanderer intero, anche se un po’ carbonizzato, che punta il suo naso mortale verso il soffitto. Costa lo adopera come rastrelliera per i bicchieri.
Per finire il discorso, si lascia il cervello del crauto a macerare per mezz’ora, finché non ha preso quel gusto odioso di culo di cane. Un sorso a testa, dice a quel punto Costa (come se ci fosse qualcuno così coglione da scolarselo tutto!) e l’Elmo Potorio passa di mano in mano finché non è stato svuotato. Una volta finito, si butta via il cervello, poi l’Elmo viene sciacquato, asciugato con cura e torna al suo posto dietro il banco.
È così che si fa il brodo da noialtri delle meccanizzate.
Se lo racconti, la gente non ci crede.
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¹ Perdonando imprecisioni tecniche, ho usato il termine "tell" nel senso opposto di narrazione "corrente" di eventi (narrazione di eventi continuativi scanditi "a passo d'uomo", non nel senso stretto di riassunto di eventi (l'accezione effettiva). Un narratore prima persona (protagonista) che racconta ciò che pensa/ricorda di per sé è ovviamente in azione, ma soprattutto l'intera questione narrativa va inquadrata nello stile adottato (diaristico, per esempio, epistolare ecc.). Bisogna notare comunque che anche all'interno di questa cornice stilistica, ci sono comunque narrazioni buone (per esempio, la narrazione adottata in Survivor di Palahniuk, simulata come registrazione audio per la scatola nera dell'aereo dirottato dal protagonista) e narrazioni cattive (per esempio, Norwegian Wood di Murakami, un grosso tell introspettivo deprimente non meglio definito).

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