sabato 18 agosto 2012

Impressioni | Survivor, di Chuck Palahniuk

survivor chuck palahniuk recensioneQuando in una recensione si legge che la tal opera è uno spaccato della vita odierna / una satira della società / il paradosso della modernità / altre amenità, è probabile che ci si trovi nel Circolo Radical Chic della Vera Letteratura.
Vade retro!
La premessa è doverosa, perché i prodotti di Palahniuk raramente sono “semplici” storie, e
Survivor contiene notevoli riferimenti ai controsensi della vita, ai paradossi, e per la maggior parte delle volte, Palahniuk è la voce delle minoranze.
In Survivor il protagonista è un membro della chiesa Creedish, uno di quei culti utopici come gli Amish, che dopo essere stato indottrinato durante la prima infanzia viene mandato nel mondo esterno, per lavorare nelle case dei ricchi. Tuttavia la sua comunità risponde alla chiamata del Signore con un suicidio di massa, ma lui, Tender Branson, viene assistito e salvato da un apposito nucleo del governo, che gli impedisce di togliersi la vita; così diviene uno dei sopravvissuti, finché non diventerà proprio l'ultimo del suo culto. O quasi.
Il romanzo è narrato in prima persona, il protagonista registra tutto via microfono alla scatola nera dell'aereo che ha dirottato.
È un espediente narrativo che mi piace.
Poi si sa com'è Palahniuk, ha il suo modello tecnico di riferimento (Squadra che vince non si cambia). Usa i cori, usa le descrizioni on-the-body, e la sua amata narrazione non lineare, la Big O. Inoltre porta al lettore informazioni in un modo che non si può affatto definire infodump, anzi.
Il protagonista è stato istruito in Economia Domestica, e riversa un sacco di informazioni che rispecchiano bene la sua personalità. Quindi: “infodump” come bagaglio cognitivo del personaggio, come elemento caratterizzante. A maggior ragione, si tratta di informazioni inutili per il proseguimento della storia (ergo: niente scappatoia misera per dare al lettore informazioni essenziali per comprendere gli eventi), ma dal tono inquietante necessario per determinare l'atmosfera che va delineando. Esempio:

Chiedetemi qual è il modo più veloce per tappare fori di proiettile nelle pareti di un soggiorno. La risposta è pasta dentifricia. Per grossi calibri, miscelate una egual quantità di amido e sale.

Oppure:

Chiedetemi come mandar via una macchia di sangue da una pelliccia.
No, dico davvero, coraggio.
Chiedetemelo.
Il segreto sta nella farina e nello spazzolare la pelliccia contropelo. La parte difficile è tenere la bocca chiusa.

E potrei riportare altri brani riguardanti il periodo di cleptomania del protagonista, nonché le relative tattiche per rubare in maniera diversa, ma non lo faccio, sennò chi legge andrà ad applicare tali tecniche e mi si denuncia. Leggete Survivor, denunciate Palahniuk.
Per il resto, Palahniuk sa non annoiare. Qualcuno può non gradire il suo stile, certo, ma di fatto Survivor – come forse tutte le opere di Palahniuk – contiene il thriller, il surreale, la critica, il macabro, dei contenuti originali, qualche plot twist, e un ritmo sostenuto, con frasi chiare e concise.
Ok, lo ammetto, Palahniuk per me è diventato un'ossessione. Ma nei periodi di lettura sottotono, quelle letture che comunicano a malapena la storia – senza il coinvolgimento voluto –, leggere Palahniuk significa immergersi nella vita: lui è in grado di dare alle cose comuni un significato forte, denso, così che quando lo si legge non si apprezza solo la lettura in sé, ma si guarda il mondo sotto un altro punto di vista.

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