Bulgakov è un autore noto soprattutto per il classico Il Maestro e la margherita, o per il meno famoso La guardia bianca.
Non si direbbe anche autore di I racconti di un giovane medico, il cui stile è completamente diverso (in meglio).
Sono sette racconti indipendenti (ognuno può essere letto a sé, ma sono brevi e nell'insieme probabilmente non formano nemmeno una novellette), in cui si narrano episodi largamente ispirati alla reale esperienza di Bulgakov come medico del circondariato.
Dai racconti è stata tratta la breve serie tv con Daniel Radcliffe (grazie alla quale si toglie di dosso i panni di Harry Potter).
La differenza tra i racconti e la serie non è grande. Eccettuati alcuni elementi inseriti ex novo nella serie, come i personaggi inventati di proposito, la dipendenza da morfina del protagonista, o lo sfondo della rivoluzione coi bolscevichi ecc., le storie vengono trasposte fedelmente nella serie, e arricchite di aspetti comici che nei racconti non sono così accentuati.
Di fatto Bulgakov mostra (sia metaforicamente che stilisticamente) aspetti particolari del mestiere del medico nelle circostanze da lui descritte, con un focus particolare sui continui ripensamenti e rimorsi verso la professione suscitati da situazioni critiche.
Non si può non comprenderlo empaticamente quando mette in evidenza come la carriera universitaria, per quanto brillante, sia sostanzialmente inutile nel momento in cui le nozioni vanno messe in pratica (da qui il panico verso l'ernia strozzata o il parto).
Non mancano i momenti drammatici, che nel complesso si può dire compongano una specie di brevissimo romanzo di formazione (il protagonista, perlomeno, cresce proprio attraverso i racconti narrati).
Lo stile è veloce e asciutto, a tratti anche fin troppo, ma la lettura che ne risulta è gradevolissima, e i racconti si sviluppano in uno spazio ristretto che però è più che sufficiente per ospitare le storie (niente fronzoli o riempimenti a cui siamo abituati).
A mio avviso, è la migliore opera di Bulgakov.
lunedì 30 dicembre 2013
martedì 10 dicembre 2013
Impressioni | La sfida della tigre, di Bernard Cornwell
Quand'ero più giovane, più o meno all'età delle medie, ero un grande appassionato di Tolkien, Medioevo, ciclo arturiano e tutto quel genere di roba. Tra un Jack Whyte e una Marion Zimmer Bradley, lessi qualcosa del ciclo arturiano di Cornwell e rimasi affascinato dalla narrazione più "sporca" e bruta rispetto al medioevo simil-cavalleresco a cui ero abituato. Ma ero molto giovane e non avevo ancora abbastanza esperienza per capire che, in realtà, Cornwell era solo una campana narrativa - passatemi il termine -, non migliore né peggiore di altri.
A dieci anni di distanza, mi è venuta voglia di rispolverare quella passione verso il medioevo, ho cercato qualche titolo su Amazon attraverso il Kindle, e ho scoperto che l'attività di Cornwell era più estesa in romanzi storici di ambientazione '700-'800esca piuttosto che medievale.
Così ho scoperto che l'opera magna di Cornwell è la saga di Sharpe, una serie di romanzi "a puntate" - molto simile allo stile serial, ma ora ci arriviamo -, non necessariamente collegate le une con le altre, ambientate agli inizi dell'800.
La sfida della tigre (Sharpe's tiger) è la prima opera della saga, e ha luogo in India, durante l'assedio di Seringapatam del 1799.
L'impressione generale che ne ho avuto è quella di uno stile abbastanza pulp: il protagonista, Sharpe, è un soldato semplice senza nulla da perdere, un ignorantello, ma forte e spaccone, con dei tratti da Gary Stu.
Il narratore di Cornwell non si risparmia con l'infodump, né coi POV: ne attribuisce un po' a tutti. Le informazioni sulle armi o sul background di alcuni personaggi arrivano quando servono, senza complimenti, e con la stessa leggerezza vengono anche svelati i pensieri e le intenzioni.
I dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi sono abbastanza buoni, e lo sviluppo della storia procede. A tratti è prevedibile, a tratti lascia qualche sorpresa. Nel complesso però è lineare e senza infamia né lode, niente grandi colpi di scena o momenti memorabili.
Di per sé la storia è godibile se si apprezza il periodo storico dal punto di vista bellico, più che socio-politico: in questa cornice lo stile pulp (che non ho idea se sia voluto o no) diventa anche divertente, ma difficilmente lo consiglierei come "romanzo storico" al lettore medio. È più un misto tra historical fiction, guerra e avventura. Ciononostante, a mio avviso si pone al di sopra di un qualsiasi Manfredi: il ritmo di Bernard Cornwell (dialoghi frequenti e capoversi abbastanza smilzi) è migliore di quello di Valerio Massimo Manfredi (wall of text dall'inizio alla fine del romanzo), e sebbene entrambi abusino di infodump, in Cornwell di fatto è meno frequente e soprattutto subordinato a possibili richieste di ordine narrativo e, diciamocelo, un po' fan service (le strategie di guerra, per esempio), mentre in Manfredi nella maggior parte delle volte è infodump gratuito su larga scala, spesso un tell che ingloba scene facilmente o preferibilmente mostrabili, farcito di informazioni su fatti storici non indispensabili per la trama in sé.
E ora veniamo alla parte più succulenta.
Magari lo sapevano tutti tranne me, ma quando l'ho scoperto la cosa mi ha reso molto amused.
Dalla serie di romanzi di Cornwell è stata tratta, guarda caso, una serie tv. Ora, purtroppo non ho trovato informazioni su come sia nata l'idea della serie, né conosco i dettagli cronologici, ad ogni modo le prime pubblicazioni della serie di Sharpe risalgono all'81, e la serie è andata in onda a partire dal' '93: secondo Wikipedia, l'editore accordò a Cornwell la pubblicazione di tre libri su Sharpe (da lì poi la serie ha avuto successo). Di conseguenza, è possibile affermare che non c'era ancora alcun accordo relativo alla produzione di una serie tv. Mi piacerebbe pensare che lo stile adottato da Cornwell sia stato volutamente "trash" (più in senso "orientato al pubblico" che "di scarsa qualità": nel primo caso un'opera può prostituirsi al volere del pubblico e ciononostante o in virtù di ciò essere un capolavoro), al punto da renderlo appetibile, manco a farlo apposta, alla tv.
Le puntate della serie sono disponibili su Youtube (già sottotitolate in inglese), ma sicuramente in giro ci saranno i torrent, per chi preferisce averle.
La cosa che mi esalta è che è una serie del '93, con tutto ciò che ne deriva, e il protagonista è nientepopodimeno che un trentenne Sean Bean! Gli elementi '90s sono una cosa bellissima per chi come me è proprio del 1990 e assiste per esempio a scene di eroismo rimarcate da assoli di chitarra elettrica distorta.
Non so dire se la serie meriti o no, ho visto i primi venti minuti della prima puntata e mi ricorda tanto Zorro.
Ad ogni modo, forse questa è l'unica serie in cui Sean Bean non muore.
Forse.
A dieci anni di distanza, mi è venuta voglia di rispolverare quella passione verso il medioevo, ho cercato qualche titolo su Amazon attraverso il Kindle, e ho scoperto che l'attività di Cornwell era più estesa in romanzi storici di ambientazione '700-'800esca piuttosto che medievale.
Così ho scoperto che l'opera magna di Cornwell è la saga di Sharpe, una serie di romanzi "a puntate" - molto simile allo stile serial, ma ora ci arriviamo -, non necessariamente collegate le une con le altre, ambientate agli inizi dell'800.
La sfida della tigre (Sharpe's tiger) è la prima opera della saga, e ha luogo in India, durante l'assedio di Seringapatam del 1799.
L'impressione generale che ne ho avuto è quella di uno stile abbastanza pulp: il protagonista, Sharpe, è un soldato semplice senza nulla da perdere, un ignorantello, ma forte e spaccone, con dei tratti da Gary Stu.
Il narratore di Cornwell non si risparmia con l'infodump, né coi POV: ne attribuisce un po' a tutti. Le informazioni sulle armi o sul background di alcuni personaggi arrivano quando servono, senza complimenti, e con la stessa leggerezza vengono anche svelati i pensieri e le intenzioni.
I dialoghi e la caratterizzazione dei personaggi sono abbastanza buoni, e lo sviluppo della storia procede. A tratti è prevedibile, a tratti lascia qualche sorpresa. Nel complesso però è lineare e senza infamia né lode, niente grandi colpi di scena o momenti memorabili.
Di per sé la storia è godibile se si apprezza il periodo storico dal punto di vista bellico, più che socio-politico: in questa cornice lo stile pulp (che non ho idea se sia voluto o no) diventa anche divertente, ma difficilmente lo consiglierei come "romanzo storico" al lettore medio. È più un misto tra historical fiction, guerra e avventura. Ciononostante, a mio avviso si pone al di sopra di un qualsiasi Manfredi: il ritmo di Bernard Cornwell (dialoghi frequenti e capoversi abbastanza smilzi) è migliore di quello di Valerio Massimo Manfredi (wall of text dall'inizio alla fine del romanzo), e sebbene entrambi abusino di infodump, in Cornwell di fatto è meno frequente e soprattutto subordinato a possibili richieste di ordine narrativo e, diciamocelo, un po' fan service (le strategie di guerra, per esempio), mentre in Manfredi nella maggior parte delle volte è infodump gratuito su larga scala, spesso un tell che ingloba scene facilmente o preferibilmente mostrabili, farcito di informazioni su fatti storici non indispensabili per la trama in sé.
E ora veniamo alla parte più succulenta.
Magari lo sapevano tutti tranne me, ma quando l'ho scoperto la cosa mi ha reso molto amused.
Dalla serie di romanzi di Cornwell è stata tratta, guarda caso, una serie tv. Ora, purtroppo non ho trovato informazioni su come sia nata l'idea della serie, né conosco i dettagli cronologici, ad ogni modo le prime pubblicazioni della serie di Sharpe risalgono all'81, e la serie è andata in onda a partire dal' '93: secondo Wikipedia, l'editore accordò a Cornwell la pubblicazione di tre libri su Sharpe (da lì poi la serie ha avuto successo). Di conseguenza, è possibile affermare che non c'era ancora alcun accordo relativo alla produzione di una serie tv. Mi piacerebbe pensare che lo stile adottato da Cornwell sia stato volutamente "trash" (più in senso "orientato al pubblico" che "di scarsa qualità": nel primo caso un'opera può prostituirsi al volere del pubblico e ciononostante o in virtù di ciò essere un capolavoro), al punto da renderlo appetibile, manco a farlo apposta, alla tv.
Le puntate della serie sono disponibili su Youtube (già sottotitolate in inglese), ma sicuramente in giro ci saranno i torrent, per chi preferisce averle.
La cosa che mi esalta è che è una serie del '93, con tutto ciò che ne deriva, e il protagonista è nientepopodimeno che un trentenne Sean Bean! Gli elementi '90s sono una cosa bellissima per chi come me è proprio del 1990 e assiste per esempio a scene di eroismo rimarcate da assoli di chitarra elettrica distorta.
Non so dire se la serie meriti o no, ho visto i primi venti minuti della prima puntata e mi ricorda tanto Zorro.
Ad ogni modo, forse questa è l'unica serie in cui Sean Bean non muore.
Forse.
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