Visualizzazione post con etichetta sci-fi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta sci-fi. Mostra tutti i post

lunedì 18 gennaio 2016

Impressioni | Carrellata letteraria autunnale 2015

Come si sarà notato dalla pubblicazione dell'ultimo post, non ho avuto tempo per scrivere né per leggere, causa impegni "professionali". Oltretutto è passato un sacco di tempo da quando ho letto i primi romanzi della carrellata (dopo un mese ho già dimenticato personaggi e trama, per capirci), per cui mi limiterò a impressioni generali e per nulla esaustive e, come sempre, non richieste.


Il pasticcere del re, di Anthony Capella
Per primo, di Capella, avevo letto Il profumo del caffè, che tutto sommato avevo trovato godibile.
Il pasticcere del re invece è al di sotto delle aspettative. L'evoluzione della storia e dei personaggi è blanda e nel complesso l'ho trovato un romanzetto insignificante. Inutili se non fastidiose le citazioni a inizio capitolo. Non hanno alcun senso, stanno lì solo per "abbellire", o meglio, per distrarre.


Nei luoghi oscuri, di Gillian Flynn
L'autrice è quella di Gone girl, che non ho letto, sebbene abbia visto il film. Da Dark places è stato anche tratto un film, che però a quanto pare non ha avuto granché successo.
A mio avviso, il problema principale della storia è la protagonista. Come in Norwegian Wood di Murakami, un protagonista depresso non funziona granché. Certo, in Dark places la protagonista fa qualcosa, più o meno, ma come fa notare un recensore di Goodreads, la chiamata all'azione è blanda e poco credibile, e alla fine il mistero finale gira tutto intorno a "chi ha fatto quello che è successo".

Alieni coprofagi dallo spazio profondo, di Marco Crescizz
Il parere su Alieni l'ho scritto su Amazon e ve lo copincollo perché sono pigro:
È innegabile che una storia simile non si vedrebbe tra gli scaffali delle librerie. Ed è un peccato, perché trovare Alieni coprofagi per esempio nella libreria di una stazione sarebbe perfetto per poter immergersi completamente e arrivare a destinazione senza aver percepito lo scorrere del tempo. Ed è proprio quello che ho fatto io (fortunatamente esistono gli eReader e gli store online). Alieni coprofagi supera la parodia del genere (di cui si parla approfonditamente nelle note a fine opera), si distingue sia per la bizzarria che per l'originalità. L'allucinazione di uno Schwarzenegger che in realtà funge anche da "spirito guida", coscienza morale, ecc. rappresenta un escamotage originale e divertente. Idem gli effetti lisergici delle feci umane. Unico piccolo difetto dell'opera: la sua brevità. Avrei preferito uno sviluppo un po' più lungo, magari con altri spunti bizzarri e ridicoli, ad ogni modo meglio breve che inutilmente prolisso. Bello anche il finale, che ho trovato soddisfacente (molte opere oggigiorno hanno dei fastidiosi pseudofinali aperti che non risolvono in alcun modo i conflitti o le domande poste dalla storia).

Anna, di Niccolò Ammaniti
Personalmente, non mi importa che Ammaniti abbia fatto ricorso a dei trope già abusati. È un autore che apprezzo e che mi è stato anche di ispirazione in passato. In Anna ha uno stile migliore rispetto ad altre opere, ma con i classici, evidenti limiti che si riscontrano nella stragrande maggioranza degli autori. E davanti a picchi di bruttezza stilistica, non posso non domandarmi se la parte buona è dovuta a un bravo editor o se l'altalenanza è tutta farina del sacco di Ammaniti.
Per esempio (sì, in questo caso ho salvato le annotazioni sul Kobo), in alcuni punti si assiste a picchi di oscenità che sembrano scritti da Baricco:
Come un organismo pluricellulare, la massa che bivaccava intorno all'hotel allungò le sue propaggini umane sui costoni della collina ...
Che mi ha ricordato i "fiumi carsici" che si riversano in cucina o quello che era. O:
Negli ultimi quattro anni di vita Anna aveva sofferto e superato dolori immensi, folgoranti come l'esplosione di un deposito di metano e che le stagnavano ancora nel cuore. [bla bla bla] nemmeno per un secondo l'idea di farla finita l'aveva sfiorata, perché avvertiva che la vita è più forte di tutto. La vita non ci appartiene, ci attraversa.
Folgoranti come... come... come 'na catapulta! La frasona finale poi è un monumento di zucchero filato e miele: viene fuori dal nulla, è ancora più scollata dalla storia di quanto già non faccia la digressione infodumposa, e fa ridere perché ammicca al pubblico di ragazze adolescenti che tempestivamente, come reazione, mettono su una tazza di tè o caffè da posizionare accanto al libro, mano in mezzo alle pagine per tenerlo aperto e al contempo esporre la nail art, e via ad instagrammare il tutto con un filtro vintage e la tag line del romanzo in descrizione.
Altri dettagli che ricordo: i ragazzini più grandi, cioè vicini ai 14 anni, si comportano in maniera troppo infantile, soprattutto considerando che sono dei ragazzini "del futuro". Già conosciamo la generazione 2000, figuriamoci i prossimi.
Ultima nota: il finale è terribile.

Il Grande Strappo, di Giuseppe Menconi
Volendo fare un confronto, ho preferito Il Grande Strappo ad Abaddon.
Se Abaddon mi è sembrato più "sbilanciato" sul versante horror, nel Grande strappo c'è una giusta quantità di sci-fi, azione, sviluppo di trama ed evoluzione dei personaggi.
Non ho molto da aggiungere a quanto è già stato detto (e sicuramente è stato fatto meglio rispetto a quanto potrei fare io), per esempio da AleK.
Una cosa è certa: nel Grande Strappo la forza dell'amore non basta a risolvere i problemi, come in Interstellar. Anzi. L'ansia per la fine del mondo, l'angoscia di rimanere tagliati fuori dall'esistenza, l'istinto di sopravvivenza che non guarda in faccia a nessuno e costringe ad atti terribili. Il romanzo è tutto questo, ben incastrato in una cornice fantascientifica indispensabile per la trama e che allo stesso tempo non prende il sopravvento, ma accompagna lo sviluppo degli eventi in maniera armonica.

venerdì 26 giugno 2015

Impressioni | Carrellata letteraria primaverile 2015

Ormai vado avanti a carrellate stagionali. Per giunta, quando leggo un romanzo, dopo un mese in pratica ho già dimenticato tutto, mi rimane solo il grosso delle impressioni. Questa volta sono andato ancora più a rilento, con la lettura, causa mille impegni, non ultimo la scrittura (che è stata molto proficua).
Ho omesso giusto qualche opera che non vale la pena citare o non è pertinente.

abaddon giuseppe menconi vaporteppa fantascienza horrorAbaddon, di Giuseppe Menconi.
L'aspetto positivo delle opere di Vaporteppa è che quando voglio parlarne posso sorvolare sullo stile che, grazie al training (recente e pregresso) degli autori e soprattutto all'editing (cosa inesistente nella maggior parte delle opere), è sempre buono (fatta naturalmente eccezione per le opere straniere, tradotte così come sono, e fatta eccezione per opere come Lo specchio di Atlante di Bernardo Cicchetti, che nonostante l'editing per Vaporteppa, è stato pubblicato con lo stile originale, un po' "fiabesco" e non proprio perfetto ma comunque buono - ma è un caso a parte, e i punti forti di quell'opera sono molti altri).
Non voglio soffermarmi molto sulla storia. Ammetto che durante la lettura ho avuto l'impressione di rivivere l'atmosfera sci-fi/horror di Deep Space, e la nota finale dell'autore ha confermato che era proprio quello che voleva trasmettere, per cui missione compiuta alla grande. Ho apprezzato molto il realismo tecnologico, come i laser che prosicugano in fretta la batteria (cosa che in molti sci-fi si ignora). È un'ottima storia, il finale confesso che mi ha spiazzato. L'unica nota negativa, a mio parere, era l'eccessiva azione, che dopo un po' ho percepito come ripetitiva.

Il profumo del caffè (The various flavours of coffee), di Anthony Capellla.
Tralasciando il titolo reinventato (e la copertina italiana terribile che non mi sento di inserire), devo ammettere che non mi è dispiaciuto. Lo stile è a tratti buono e a tratti lascia a desiderare, ma di per sé nello sviluppo della storia si possono individuare i tre atti e la trasformazione del personaggio, con qualche plot twist qui e là e un finale più o meno prevedibile. È stata una lettura abbastanza buona, un po' d'amore, un po' dramma, un po' avventura. Il tutto ambientato nell'800.

Rivelazione, di Alastair Reynolds.
Ero in vena di sci-fi e la sinossi di Revelation space mi sembrava accattivante.
Riassumo in due principali aspetti.
Aspetto negativo: lo stile è molto ingenuo, il narratore fa infodump, sia gli spiegoni scientifici, sia quelli inerenti il background e le intenzioni dei personaggi. Non è in grado di progettare una scena senza inciampare in brutte scorciatoie narrative.
Aspetto positivo: il background, le idee, più o meno anche la storia in sé.
Il problema in questi casi è che il lettore appassionato di fantascienza può bypassare lo stile, può non rendersi conto di come le informazioni, invece che narrate, vengano sbattute in faccia, e può non rendersi conto che l'autore lo stia trattando da idiota (o, come ritengo più realistico, che l'autore sia in difficoltà e ricorra a stratagemmi rozzi e inefficaci per veicolare la storia). Finché il lettore sarà più interessato agli aspetti tecnologici o sociali della storia piuttosto che alla trama in sé, la missione narrativa è compiuta.
Ma è superfluo dire che se hai delle idee tecnologiche/sociali interessanti, e si inseriscono molto bene in una trama col what if come motore, perché perdere la possibilità di narrare una buona storia? Eppure accade, e la maggior parte dei romanzi sci-fi ha questo "sbilanciamento" tra idee e narrazione.

fantascienza cauldron fornace di stelle uraniaCauldron, fornace di stelle, di Jack McDevitt
Lo stile è scarsino, la storia ci mette un po' a ingranare e alla fine non conduce chissà dove, l'evoluzione dei personaggi è rugginosa se non proprio assente. È una specie di avventura nello spazio, in un'ambientazione meno tecnologica di Rivelazione, con qualche idea tutto sommato interessante ma nulla di che. Non è un'opera che valga la pena leggere, non ha granché da offrire rispetto ad altri titoli. Le idee tecnologiche sono solo un plot device, quindi niente nerdgasm di alcun tipo, visto che non vengono spiegate né si intuisce come funzionino.
Nel dubbio, meglio non leggerlo.

mercoledì 10 dicembre 2014

Impressioni | Unlocked: An Oral History of Haden's Syndrome, di John Scalzi

john scalzi unlocked lock in haden syndromeCirca un anno fa parlai di Scalzi per la sua opera principale, Old man's war, che è stato poi tradotto e pubblicato da Gargoyle (stessa casa editrice che ha pubblicato Abercrombie, e ciò promette bene!), insieme al seguito.
Le mie impressioni erano positive¹. Scalzi è(ra) un autore piuttosto bravo, con uno stile abbastanza asciutto seppur sempre nella "cornice" della fantascienza (che non eccelle di certo per stile, o comunque non spesso), un narratore divertente che sa fare ironia anche del classico infodumpone sci-fi, immancabile.
Da allora non ho più seguito Scalzi. Avrei continuato volentieri la serie principale, ma tra i mille impegni ho preferito dare la priorità ad autori che ancora non avevo letto. Nel frattempo ho assistito su internet al successo dell'autore, e ho pensato di riscoprirlo con l'ultima opera.
Chiarimento: Unlocked è una novellette che introduce al romanzo Lock in. Questo non lo sapevo, l'ho scoperto perché nel file di Unlocked ci sono i primi due capitoli di Lock in. E mi sono state chiare un paio di cose.
Unlocked è la versione fantascientifica di World War Z, ma neanche più di tanto. La storia è narrata attraverso un report fittizio in cui confluiscono le dichiarazioni di diversi personaggi che hanno vissuto l'esperienza della "chiusura" causata da una strana malattia virale, impossibile da debellare, che o uccide le persone o le porta a una paralisi simile a un coma cosciente.
La narrazione in forma di report non è nuova, tant'è che, appunto, la mia prima impressione è stata un déjà vu di World War Z. Quest'ultimo però aveva un pregio che Unlocked non ha (per i non-aficionados, ecco il post con le mie impressioni di WWZ; perché non mi siete affezionati? Affezionatevi!). In World War Z i resoconti appartenevano a personaggi diversi, e sebbene alla lunga ciò stancasse, le immagini trasmesse attraverso i mini-racconti erano ricche di particolari e molto evocative. La situazione globale dell'epidemia con le sue conseguenze era proprio verosimile.
Ciò manca, in Unlocked. È una storia a malapena accettabile, l'idea di fondo non è neanche originalissima - è un "classico" coma: questa sindrome di Haden è un pretesto per far sì che un numero abnorme della popolazione ne venisse colpita così da narrare ciò che verrà dopo - e personalmente ho trovato noiosa tutta la prima parte, soprattutto gli avvenimenti politici. Mi è stato difficile persino sospendere l'incredulità: alla fine di ogni piccolo report c'è sempre una frase a effetto, il che sarebbe accettabile da parte di un narratore, ma inverosimile da parte di tante persone diverse.
A peggiorare le cose, l'intera storia è un What if molto naïve (bonus gioco di parole), nel senso che i presupposti di base non hanno una spiegazione scientifica soddisfacente, e la cosa peggiora quando Scalzi tenta di spiegare come si scopre che i pazienti sono coscienti ("...using MRI and other similar equipment to record and register when and how thoughts where being transmitted", viene ripetuto altrove nella storia, e fa pensare che Scalzi non conosca una cippa di neuroscienze, laddove, per questa storia, una spiegazione scientifica sarebbe stata adeguata e accattivante, piuttosto che un pretesto per [SPOILER, attenzione] far entrare nella storia una specie di robot umanoidi collegati in rete.).
E se ciò non bastasse, non viene fornita una spiegazione logica sufficiente per ques'ultimo aspetto degli umanoidi. Spero solo venga approfondita nel romanzo.

Nel complesso, Unlocked è una novellette abbastanza scarsa, un pessimo tentativo di introdurre al più ampio romanzo, Lock In. Pessimo sia per come è stata sviluppata la storia, sia perché non si tratta nemmeno di un teaser rilasciato gratuitamente dall'autore, ma di un ebook bell'e buono acquistabile su Amazon, sebbene a soli 1,67€ (rispetto ai folli 33€ per l'edizione cartacea per una 60ina di pagine). L'idea presentata è blanda, e se è davvero un tentativo per stimolare l'interesse per il seguito, beh, a mio avviso non otterranno granché.
Nel dubbio, mi riservo la possibilità di continuare a leggere Scalzi solo per il ciclo di Old man's war.



¹ Piccolo reminder agli aficionados e non del Rifugio: preferisco parlare di impressioni piuttosto che di recensioni, perché scrivere una vera recensione è tutt'altra cosa, sebbene personalmente accetto di buon grado la definizione di "recensione" anche per semplici pareri ignoranti postati sull'Internet. Nel prossimo post spenderò due cents proprio sulla questione "recensioni" e lit-blog.

domenica 30 novembre 2014

Impressioni | What if?, di Randall Munroe

 xkcd physics what if bookxkcd: chi già lo conosce non ha bisogno di altro.
What if? è una raccolta di post scritti da Randall Munroe sul suo blog, xkcd, in risposta alle domande più assurde degli utenti. Cosa accadrebbe se ogni persona sulla terra puntasse un laser colorato contro la luna? Cambierebbe colore? Da che altezza bisognerebbe lanciare una bistecca affinché sia cotta una volta arrivata a terra? Se un asteroide fosse molto piccolo ma supermassiccio, ci si potrebbe vivere sopra come il Piccolo Principe?
Munroe è un fisico e un fumettista, What if? è il risultato di una combinazione di domande assurde, spiegazioni scientifiche e strisce umoristiche.
Premessa doverosa: i post si possono leggere nell'apposita sezione del sito di xkcd, quindi in teoria non è necessario comprare l'ebook - che a mio avviso ha anche un costo esagerato, 10,99€, e ciò non ha molto senso, considerando che gran parte del materiale è già disponibile gratuitamente e legalmente. Da quanto ho capito, ci sono solo pochissime cose non presenti nel sito, come le domande weird (and worrying) con annesse vignette.
Quindi non stiamo parlando di un romanzo, ma praticamente di saggistica.
What if? è molto interessante per diversi motivi.
Se si è appassionati di scienza, ogni domanda offre spunti per analizzare seriamente la questione dal punto di vista fisico e matematico. Munroe non liquida le domande con un semplice calcolo matematico, ma considera diverse alternative, e anche se la soluzione è chiara, approfondisce dando per assurdo altre situazioni pur di continuare e vedere cosa accadrebbe.
What if? non è solo un gioco matematico/fisico, ma credo si possa vedere come una palestra mentale in grado di allenare verso considerazioni razionali nonostante le premesse assurde, così da mettere insieme la creatività e la razionalità.
Visto che questo è un presunto literary blog (un cosa?), What if? è utile per avere idee o allenarsi a immaginare situazioni paradossali o assurde che però possono avere una conseguenza. In parole povere, dato che il fantasy e la science fiction funzionano prevalentemente col what if?, questa raccolta di risposte scientifiche a domande assurde può tornare utile a chi scrive narrativa di questo genere, sia per prendere spunto che per imparare a ragionare alla maniera di Munroe.
Certo, Munroe è un fisico, quindi le sue risposte sono prevalentemente basate su fisica e matematica: quando si tira in ballo la biologia, la fisiologia ecc., chiede pareri a chi di competenza, per poi continuare a snocciolare una risposta in termini matematici (per esempio, alla domanda del tipo "Se tutte le persone del mondo si recludessero per un certo periodo per non infettare nessuno, il raffreddore scomparirebbe dalla terra?", dopo l'opportuno consulto con l'esperto del settore che getta un po' di chiarezza sui rhinovirus, Munroe dimostra come una distanza media di 77m tra una persona e l'altra sarebbe impossibile da ottenere, considerando la superficie della terra, per cui un ingente numero di persone dovrebbe per esempio rimanere isolata nel deserto del Sahara).
Ciò nonostante, la logica alla base delle risposte è illuminante, ed entrare in quest'ottica può stimolare una riflessione più accurata delle cose, a partire da un'adeguata critica alle idee di base delle trame di film o romanzi.
What if? è un'opera davvero interessante, se fossi il Ministro dell'Istruzione inserirei alcune di queste domande nelle ore di scienze. Oltre a divertire e allenare a riflettere, sarà scontato da dire ma What if? insegna anche molte cose.
Per esempio, sono rimasto affascinato dallo scoprire che oltre alla Luna o al plurifotografato Marte, noi esseri umani abbiamo mandato una sonda su Venere, che ci ha regalato qualche foto, e una (Huygens) su Titano, che prima di distruggersi è riuscita a scattare una sola foto.

domenica 23 novembre 2014

Impressioni | The Martian, di Andy Weir

the martian l'uomo di marte andy weir ridley scott matt damon film romanzo sci-fi fantascienzaApollo 13 incontra Cast Away, secondo la descrizione di Goodreads.
Lo ammetto, è una descrizione efficace, rende l'idea.
The Martian (in italiano L'uomo di Marte) è uno di quei casi in cui un tale scrive un'opera che viene rifiutata dagli editori e decide di autopubblicarsi, con conseguente successo. L'ho scoperto attraverso Goodreads, il plot era molto interessante e la copertina era accattivantissima (non sono un esperto di grafica, a malapena so usare GIMP, ma quanto è awesome questa copertina, eh?).
Durante la lettura pensavo che avrebbero dovuto tradurlo in italiano, e che non sarebbe niente male, questa storia, per farne un film, sulla scia di Gravity e Interstellar. Poi scopro non solo che Mondadori lo ha già pubblicato (grazieaddio con la stessa cover dell'ultima versione anglosassone), ma che è già tutto pronto per farne un film con Matt Damon, regia di Ridley Scott.
Veniamo al romanzo.
The Martian è il tipo di opera che potrebbe scrivere un nerd e potrebbero leggere solo dei nerd.
Da un punto di vista narrativo, manca di un sacco di elementi, è carente sotto diversi aspetti. Il protagonista, Mark Watney, è solo su Marte (you don't say?), ma psicologicamente è più che intatto, non fa una piega, nemmeno nella peggiore delle situazioni: non basta il cameo della psicologa di turno che sputtana (scusate il gergo scientifico) informazioni private sul paziente affermando roba del tipo "Watney è forte, intelligente, simpatico, in situazioni di stress non perde lo spirito e l'entusiasmo"; c'è un uomo lasciato a sé su un altro pianeta, con riserve limitate di cibo, e non solo non va nel panico, ma continua a fare il simpatico anche in situazioni davvero al limite. Mi ricorda il personaggio di Clooney in Gravity. Il tutto mi dà l'impressione (macché, la certezza) che questi siano personaggi dai tratti volutamente esagerati per poter far colpo sul pubblico al di là della credibilità. Sì, ok, è possibile, ma poco probabile.
Non sappiamo praticamente nulla su Watney, solo che è un gran burlone oltre che un ingegnere geniale. Non si preoccupa granché della sua famiglia, in 385 pagine di romanzo. Niente accenni ad amori, amicizie al di fuori dell'equipaggio, ecc.
Non ci sono conflitti tra personaggi. Watney non matura lungo il periodo di tempo del romanzo (che è lunghetto), gli unici conflitti sono gli "incidenti" che si verificano sistematicamente durante il soggiorno di Watney su Marte, la lotta per la sopravvivenza, la lotta con la tecnologia, le risorse personali come unico mezzo per restare in vita.
Per farla breve, in The Martian manca l'80-90% di ciò che compone un romanzo. Si può dire che ci sia un solo plot, quello generale: sopravvivere abbastanza per tornare a casa.
Altro punto debole: i POV. Finché la narrazione avviene attraverso i periodici LOG di Watney, va tutto bene (è ottimo, verosimile, in prima persona). Quando però l'autore vuole farci sapere cosa succede sulla Terra, la narrazione comincia a vacillare. I POV si frammentano, lo stile narrativo carente si fa sentire, soprattutto laddove mancano i dialoghi.
Poi il colpo di genio (sono ironico), che mi ha perplesso non poco. L'autore vuole farti sapere cosa sta succedendo in luoghi/tempi a cui nessun personaggio può assistere. Per cui non avendo "gente" attraverso cui filtrare gli eventi cosa fa?
Diventa narratore onnisciente.
In un caso si avvale del corsivo (?), forse perché racconta qualcosa di passato, in un altro no. Libero da qualsiasi personaggio, ti racconta cosa è successo prima all'Hab, e cosa è seguito a tale serie di eventi, per poi riprendere con gli effetti su Watney raccontati da lui. In alcuni casi (non faccio spoiler), addirittura il POV onnisciente racconta eventi che non meritano tale orrore, eventi che il protagonista potrebbe riassumere nel suo LOG in tre righe.
La cosa più incredibile è che questo POV onnisciente compare 3-4 volte al massimo, in brani non tanto lunghi. Come una specie di disperato nastro adesivo che collega pezzi di storia.

A mio modesto avviso, The Martian è un'opera molto interessante, e gli orrori narrativi, per quanto pesanti, non si fanno sentire più di tanto nel momento in cui l'attenzione del lettore è tutta rivolta a cosa accadrà dopo, quale imprevisto, come e se verrà risolto. Per non parlare delle battute di Watney. Del tipo:
With no magnetic field, Mars has no defense against harsh solar radiation. If I were exposed to it, I'd get so much cancer, the cancer woulde have cancer.
O:
It died instantly. The screen went black before I was out of the airlock. Turns out the "L" in "LCD" stands for "Liquid". I guess it either froze or boiled off. Maybe I'll post a consumer review. "Brought product to surface of Mars. It stopped working. 0/10"
E non sono nemmeno le battute più divertenti. C'è quella sulle tette che è priceless.
Dubito comunque che un lettore "casuale" (non amante della fantascienza), senza alcun interesse verso per esempio i metodi di estrazione dell'ossigeno dalla CO2 o la produzione di energia attraverso il plutonio 238, riuscirebbe ad arrivare alla fine del romanzo con lo stesso hype iniziale.
Ad ogni modo, personalmente ritengo che The Martian sia, con tutti i suoi difetti, un ottimo romanzo.

sabato 15 novembre 2014

Impressioni fulminanti | Fanteria dello spazio, di Robert Heinlein

Starships troopers è ricordato con dispiacere a causa dell'omonimo film che non è stato proprio ben accolto - non dai fan del romanzo, almeno. Ma l'opera letteraria no, è riconosciuta come un classico un classico della fantascienza, classe '59, e a leggerlo cinquant'anni dopo quasi non si direbbe (permettetemi una parentesi: ma davvero 50 anni fa non riuscivano a immaginare che i libri si potessero facilmente digitalizzare? Cioè è ridicolo leggere  di "manuali" cartacei in giro per le astronavi, eddai su).
Di fatto Starship troopers è più background che storia. Non che non la storia manchi, ma il tutto è più un pretesto dell'autore per mostrare il mondo che immagina, con annesse ideologie politiche e filosofiche. E psicologiche, grosso modo erronee ma, ehi, era il 1959, Heinlein ha fatto comunque un bel lavoro.
Una nota sullo stile: è in prima persona (yay), e nonostante gli infodumponi e gli as you know Bob, mantiene una sua coerenza, con un registro a mio avviso efficace, "calato" nella parte del soldato, che non fa pesare la valanga di dati e informazioni - vera e propria pornografia per l'amante di sci-fi, anche se devo aggiungere "soft": ci sono romanzi sci-fi che ci vanno giù pesante, e lo squilbrio della prosa a favore praticamente della "saggistica" si fa sentire).
Visti i contenuti ideologici (il diritto di voto, il bene dello stato) di Starship troopers, può interessare questa breve apologia al presunto militarismo di cui il romanzo è stato accusato da alcuni.
Un classico consigliato per il suo valore effettivo, non in virtù della propria anzianità (ne abbiamo anche troppi, di "classici" dalla fama immeritata), ma soprattutto un must per i fan della fantascienza.
E io ancora non lo avevo letto. Ora sì. Evviva.

giovedì 18 settembre 2014

Impressioni | Carrellata letteraria estiva 2014 - Parte II

Ecco l'attesissima seconda parte della carrellata letteraria.

Cartlon Mellick III, The Haunted Vagina
Avevo da diverso tempo alcuni titoli di bizarro fiction, alcuni iniziati e rimasti incompleti (Satan Burger: andava forte all'inizio ma poi mi ha stancato lo storia di questi punk perditempo), altri mai cominciati. Volevo espandere un pochino le mie letture del genere e mi sono affidato ai gusti dei colleghi blogger, soprattutto al parere del Duca. Tra parentesi, The haunted vagina uscirà in italiano sotto l'etichetta di Vaporteppa, gaudio in tutto il regno.
Il romanzo mi è piaciuto. Probabilmente la forza delle opere di Mellick III risiede anche nella brevità con cui viene sviluppata l'idea di base (King avrebbe molto da imparare, lui le stesse idee le svilupperebbe in triliardi di pagine). The haunted vagina alla fine risulta più profondo di quanto non sembri. E parla di una ragazza che ha la vagina infestata (dai fantasmi) e del ragazzo che deve scoprire che succede là dentro. Se ne parla in maniera più estesa in questo post di Vaporteppa.

Hugh Howey, Wool
Questo è il romanzo di cui hanno acquistato i diritti (è la 20th Century Fox, non la WB, mi correggo) per un film che, dalla regia, mi dicono sarà diretto da Ridley Scott. Nelle librerie e persino nei supermercati hanno fieramente esposto per alcuni mesi questo mattone. Mi aveva dato un'ottima impressione, nonostante lo stile scarsino e alcuni punti dubbi (del tipo il"sapore metallico dell'adrenalina", come se l'adrenalina si potesse assaporare, o a un tratto della storia un personaggio cancella un file di testo compromettente ricevuto via mail, spostando il file nel cestino e addirittura svuotando il cestino: l'autore deve avere conoscenze informatiche pari al tipico utente Windows/Apple, cioè nulle). La storia migliora, si arricchisce di elementi interessanti al punto da assomigliare a Lost, con idee meno wtf che spuntano dal nulla. Ma poi la fine è gestita male, non c'è una risoluzione degna, e molto rimane inspiegato.
Mi auguro che la sceneggiatura del film corregga tutto lo "sporco", così chi è interessato alla storia potrà risparmiarsi decine di ore di lettura e godersi al massimo due ore di film.

Zerocalcare, La profezia dell'armadillo
Capolavoro, non c'è nient'altro da aggiungere.

François Garde, Il ritorno del naufrago
Come ho già scritto nel post precedente, a me le storie di mare piacciono molto. Ho trovato questo romanzo per puro caso, l'ho cominciato sul Kobo Aura fresco di regalo, ma ero preso dalla frenesia ed essendo scritto abbastanza male l'ho interrotto, poi alla fine ad agosto l'ho ripreso e finito. È sostanzialmente quello che dice il titolo. Il ritorno di un naufrago francese, in un'ambientazione ottocentesca. L'intero romanzo alterna la forma epistolare di un geografo che scopre il naufrago, e lunghi flashback della storia del naufrago narrati in terza persona. Lo stile è bruttino, in pratica il mostrato è ridotto a 0, è tutto raccontato. Si può anche tollerare, se a uno piace il tipo di storia. Ma si conclude con questioni irrisolte, lascia insoddisfatti. Un finale davvero pessimo (praticamente mozzo).

Frank Schatzing, Limit
Adoro i mattoni, e ho visto spesso i romanzi di Schatzing in giro. Ho cominciato Limit, mi ha intrigato, poi passata l'introduzione, si apre il primo pov, e lo stile è un pugno in faccia. L'ho chiuso e poi ho provato a riprenderlo. L'ho ri-abbandonato.

Carlo Taglia, Vagamondo
C'è poco da dire, è un diario di viaggio. Carlo Taglia ha vinto il Narcissus Monthly Award, è un autopubblicato con Ultima Books. Ha un blog. Ha fatto il giro del mondo in 528 giorni senza aerei. Non è un romanzo, ma appunto un diario di viaggio un po' intimo e un po' aperto al pubblico (l'impresa, per quanto solitaria, non può non avere una risonanza mediatica! Mi ricorda con nostalgia le belle vecchie imprese ottocentesche).

Terry Pratchett, Mort
L'ho accennato già altrove: Terry Pratchett può essere anacronistico, se letto ora. Il colore della magia è bellissimo, poi gli altri libri variano per stile e tematiche. Alcuni hanno un tono fiabesco che proprio non mi piace. Altri, invece, sono geniali e ancora divertenti. Mort è uno di quelli da cui trapela sia la vena umoristica che quella filosofica di Pratchett.
Dicevo: può essere anacronistico, l'umorismo di Pratchett (non per tutti i versi, però), perché è uno dei primi. La parodia del Fantasy fatta quando il Fantasy era all'apice (all'apice della suo degrado, potrebbe dire qualcuno, ma non è che poi sia migliorato voglio dire dopo è venuto tipo Twilight e altre cose simili cioè rendiamoci conto) poteva essere originale, divertente, o comunque adeguato ai tempi (Il colore della magia è del 1989). Ma negli anni le parodie hanno in un certo senso esaurito la materia da beffare. Si pensi agli Scary Movie: funzionavano finché non hanno cominciato a stancare, il che è avvenuto dopo pochi anni (e parodie di horror se ne facevano già da anni! Si pensi al mitico Frankenstein Junior, del 1974, ancora oggi attualissimo; dello stesso anno Monty Python e il Sacro Graal, che però parodiava il ciclo arturiano e in qualche misura anche il fantasy).
Con questo non voglio dire che le idee si esauriscono e non si può fare più parodia. Molte idee di Pratchett sono originalissime, ma al di là di questo, a mio avviso quando lo si legge si mette in conto, da un certo lato, che risale a due decine di anni fa, e ciò che poteva far più ridere all'epoca, può far meno ridere ora (o fa ridere in maniera diversa: si veda Korgoth of Barbaria, in cui ciò che fa ridere non è poi così direttamente collegato con l'heroic fantasy in sé, come si può vedere nel Colore della magia, ma con altri trope portati all'estremo).
O forse mi sbaglio e semplicemente Pratchett alterna genialate a freddure.

Frank Schatzing, Il quinto giorno
Della serie, perservare è malvagio. Perché ho messo da parte uno Schatzing e ne ho preso un altro? Ripeto, perché i mattoni mi piacciono. Scherzo, nel caso del Quinto giorno mi è stato consigliato per la storia e il suo sviluppo (e conclusione), e mi son messo di impegno. È vero, l'idea di base della storia è interessante (l'ho già detto che mi affascinano le storie di mare e il mare di per sé?), e sono riuscito a leggere fino al 20%, il che è incredibilmente tanto per un mattone di qualcosa come mille pagine: lo stile è un calcio nei testicoli. Schatzing perde più tempo di King e lo fa anche peggio. Infodump come se piovesse, sempre, continuamente, soprattutto quando non serve a niente. Durante la lettura ero arrivato a una scena di tensione, in cui l'infodump grazie a dio era stato accantonato, ma lo stile era ancora pessimo, c'era molto raccontato e il mostrato era confuso. Alla fine l'ho abbandonato.
Come fanno certi romanzi a diventare best seller?

Stephen King, Mucchio d'ossa
È stata una lettura totalmente casuale.
Leggere King è sempre come rivedere un vecchio amico. All'inizio. Poi ricordi perché è passato così tanto tempo dall'ultima volta. Mucchio d'ossa non è assolutamente uno dei suoi migliori romanzi. È scritto abbastanza bene (parliamo di King, fa le cose come al solito, un po' funzionano e un po' no, è migliore di molti altri ma il suo amore per il brodo annacquato è noto), e devo ammetterlo, l'evoluzione della storia mi ha un po' spiazzato: sembra risolversi a metà opera, ma a ben pensarci poteva finire poco dopo, riducendo di molto la seconda metà. Su goodreads gli danno circa 3 stelle e qualcosa su 5. Direi che è il voto che si merita.

Chuck Palahniuk, Pigmeo
Pigmeo è un romanzo molto particolare.
Inizialmente mi sembrava troppo faticoso da leggere e l'avevo accantonato. Google può esservi più utile di me, ma in breve: Pigmeo è un romanzo in forma di report fittizio di un bambino-terrorista proveniente da un paese fittizio a regime dittatoriale, che va in America per un gemellaggio. Di conseguenza questi "dispacci" sono scritti in un italiano (non ho controllato la versione inglese) approssimativo con coniugazioni sbagliate e similitudini molto esotiche e originali. Prendo un estratto (in realtà ho trovato questa recensione di gelostellato, che in gran parte condivido, l'estratto lo prendo dal suo post):
Prossimo poi, questo agente approccia femmina negroide caratterizzata con cranio di forma mesocefalica, ampia apertura nasale e zigomo indietreggiato. Mano di operativo me estende, apre verso femmina. Questo agente dice: «Esemplare femminile, permette effettua danza di accoppiamento precedente generazione di embrione umano?».
Bocca di operativo me assicura che equipaggiato con adeguato cromosoma, così che non appesantisce società con cura di mostruosa prole deformata.
In realtà sì, può stancare, ma basta entrare nella visione di Pigmeo e ci si può gustare completamente l'opera, disseminata di perle geniali: alcune fanno davvero ridere, altre sono una palese denuncia alla cultura occidentale, e se da un lato può sembrare anche snob/scontato, dall'altro non si può non riconoscere che le immagini sono davvero efficaci (come il dollaro rubato, sporco di sperma del carnefice e sangue anale della vittima dello stupro).
Lo avevo sottovalutato, invece potrebbe addirittura essere il mio romanzo preferito di Palahniuk.

E questo è tutto.
Prossimamente,  brevi ma intense impressioni su steampunk nostrano ed estero.

domenica 8 giugno 2014

Impressioni | Mini carrellata letteraria primaverile 2014

Quando posso cerco di dedicare un post a un romanzo, anche se il romanzo in questione era troppo noioso da finire di leggere. Talvolta mi capita anche di leggere qualcosa e poi non parlarne sul blog, perché non ho niente da dire o non fregherebbe a nessuno (capita solitamente coi classici, per esempio lessi Papà Goriot ma non mi sembrava di avere nulla di intelligente da dire, e di solito mi capita con tutti i classici).

L1L0, di Pippo Abrami. Una delle prime pubblicazioni gratuite di Vaporteppa. Un racconto scritto molto bene, farcito di umorismo efficace, all'interno di un storia dal ritmo incalzante. L'automa dall'umorismo ebraico richiama ovviamente il Golem della tradizione ebraica medievale, e questo blend è succulento per noi che pur avendo amato il fantasy e il folklore medievale, siamo stanchi e troviamo nello steampunk qualcosa di più attraente. Direi che il punto forte di L1L0 sia proprio questo.



I robot di La Marmora, di Alessandro Girola. L'idea di base mi piace (1864, un'astronave aliena finisce sulla Terra, alcuni alieni si alleano con gli austriaci, altri invece col Regno d'Italia, e la loro tecnologia li porta a creare dei robottoni giganti pilotati da soldati, dal sapore trash niente male) e ho molto apprezzato il fatto che l'idea non sia stata presentata subito (sinossi a parte), anche se poi viene fatto in maniera un po' (molto) infodumposa. L'infodump infatti è costante, sia da parte del narratore sia nei dialoghi, dialoghi che suonano perlopiù telenovelistici. Nel complesso, a mio parere, si poteva valorizzare sviluppando il tutto in maniera più accurata.



La maschera di Bali, di Francesco Durigon. Altra pubblicazione gratuita di Vaporteppa. Non voglio dire che mi sia piaciuto meno di L1L0: in realtà, per quanto la collana sia la stessa e di conseguenza anche il genere/sottogenere, di fatto L1L0 è pervaso dai toni umoristici dell'automa (e io da un po' di tempo sono interessato ai meccanismi della comicità), mentre La maschera, che punta più sull'azione, ha dalla sua la componente di magia/divinazione, che in un'ambientazione vittoriana/ottocentesca ha il suo enorme fascino (noi amanti del fantasy medievaleggiante non possiamo che essere altrettanto attratti dal '700 alchimistico e dall'800 gotico, in stile Lestat ecc.).
Tuttavia non mi soddisfa completamente. Lo stile è ottimo e le premesse anche: capisco che con un "budget" di parole limitato sia difficile, ma personalmente avrei ristretto lo scenario, eliminato un pov (su queste brevi distanze, due sono già troppi) e dosato il ritmo, mostrato di più i "demoni", e magari sostituito gli epiteti del tipo "bastardi" che alla lunga stancano e suonano ridicoli. Ad ogni modo la qualità è ottima e spero di poter leggere qualcos'altro di Durigon, in futuro (che detto tra noi, ha un cognome fighissimo).

Gli dei di Mosca, di Michael Swanwick. Dal punto di vista editoriale, è encomiabile il modo in cui Vaporteppa, piccola collana di nicchia, abbia potuto lanciare come primo titolo un'opera straniera, inedita in Italia, di un autore già affermato a livello internazionale.
Tuttavia Swanwick non lo conosco bene, e Gli dei di Mosca pare essere un'opera un po' atipica rispetto a quanto di solito produce l'autore. Come ho accennato prima, sono molto attratto dalla comicità, e Surplus è un personaggio simpaticissimo che mi ha fatto molto apprezzare il romanzo, insieme ad altre trovate umoristiche sparse. Devo ammettere però che lo stile di Swanwick fa perdere qualche punto al romanzo, e l'ideale per poterselo godere appieno è combinare il piacere dell'umorismo con l'amore per il bizzarro (non siamo ai livelli di Carlton Mellick, ma comunque del bizzarro c'è). Ho avuto già modo di parlarne, ma lo ripeto: chiunque stia supportando il progetto di Vaporteppa è sicuramente in attesa di opere nostrane, e i due racconti gratuiti finora pubblicati sono già un ottimo biglietto da visita, a mio avviso. Tra Gli Dei di Mosca e le opere gratuite pubblicate c'è un abisso quanto a stile: Swanwick ha i suoi pregi, ma lo stile non è propriamente uno di questi, al contrario di L1L0 e La maschera di Bali, stilisticamente curatissimi, impeccabili. Questo è l'unico mio scetticismo nei confronti della scelta dell'opera di Swanwick come prima pubblicazione.

Fight Club, di Chuck Palahniuk. Se c'è una cosa che evito, è leggere i romanzi dopo aver visto il film. Quando parlo con amici o altra gente di un film tratto da un romanzo, mi sento dire per la maggior parte delle volte (letteralmente): "Sì, ma vuoi mettere? Il libro è molto meglio", e con molta probabilità questo è dovuto alla desiderabilità sociale e all'accezione positiva "a priori" con cui vengono considerati i libri. No, non sempre "il libro è molto meglio", anzi, spesso i romanzi sono scritti coi piedi e gli sceneggiatori fanno un ottimo lavoro di riscrittura, visto che devono colmare le lacune narrative con alternative efficaci, che siano godibili per il pubblico (come se per la narrativa non fosse così, ma si sa, soprattutto in Italia vige il trend del non rispettare le regole pur non conoscendole, il trend del produrre generica "arte", il trend del perchéssì, perchéèfantasy, ecc.).
Ad ogni modo, Palahniuk mi piace e ho voluto leggermi tutto ciò che ha scritto, lasciando per ultimo Fight Club, visto che è in uscita il seguito. Come (quasi) ogni sua opera, mi piace, fa sempre centro. Non posso fare a meno di notare come, nonostante la sua buona tecnica, ogni tanto viene meno al suo stesso principio di Submerging the I, e un po' mi lascia l'amaro in bocca, proprio come quando dopo aver letto On writing di Stephen King rimasi deluso nel leggere avverbi in -mente, forme passive e "verbi dire pompati di steroidi" - sebbene nelle sue opere tradotte.
Comunque sia, un aspetto positivo del romanzo dopo aver già visto il film è che, a parte quel tipo di comunicazione che solo la narrativa può trasmettere e non il cinema, diverse parti, finale incluso, sono diverse, nelle due versioni.

P.S. Brace yourselves, può darsi che prossimamente farò un'altra carrellata simile, perché sono troppo pigro per scrivere post decentemente lunghi su una sola opera, e anche perché il 90% delle volte: 
1. l'opera fa schifo perché è scritta coi piedi, ed è inutile stare a sottolineare aspetti stilistici ovvi a chiunque. 
2. l'opera è bella perché è scritta bene, ed è inutile stare a sottolineare il perché è scritta bene.
Di tanto in tanto capita qualcosa di così buono da meritare elogi specifici, o qualcosa di brutto che però ha aspetti positivi che meritano menzione.
Sempre che a qualcuno freghi qualcosa, ovviamente.

sabato 17 maggio 2014

Impressioni fulminanti | Guerra eterna, di Joe Haldeman

guerra eterna forever war joe haldeman sci fi fantascienzaAncora impressioni fugaci.
Forever war è un romanzo molto bello. Credo di averlo letto quando ero piccolo, insieme a Pace eterna, presi entrambi in estate dalle bancarelle dei libri usati. Ma non ricordavo niente della storia. Ricordo però che Pace eterna non era granché, anche se è passato troppo tempo per esserne sicuro.
La peculiarità di Guerra eterna è che, postulando viaggi interstellari a grandi distanze, che coinvolgono quindi una dilatazione temporale notevole (ridotta al minimo per l'equipaggio), prevede un arco di tempo molto ampio: in pratica la storia si svolge in mille anni, con tutto ciò che comporta, sia dal punto di vista dell'evoluzione sociale e tecnologica, sia dal punto di vista delle relazioni umane, per cui i soldati non sperimentano il passare del tempo che invece sperimentano i loro parenti, con differenze di età paradossali e conseguenze emotive relativamente alla perdita dei cari e alla difficoltà di stringere legami stabili.
Un altro aspetto interessante è la modalità in cui le navi combattono: non laser colorati che saettano da una nave all'altra, alla Star Wars, ma complessi calcoli di previsione della posizione nemica, ragionando su enormi distanze. Il Duca ne aveva parlato in questo interessante articolo.
Lo stile del romanzo oscilla a mio avviso tra il decente e il buono. Il mostrato sta là dove serve sebbene non permetta sempre di visualizzare come si deve i dettagli (il protagonista, all'interno dello scafandro, aziona dei comandi utilizzando il mento o la lingua, e questo è già qualcosa, ma non sono ben chiare le dimensioni dello scafandro stesso, né come si attivino gli altri comandi, né in che maniera i personaggi sono in grado di muoversi con l'arnese addosso, o in che maniera siano potenziati i movimenti ecc.). Ma nel complesso, è un'opera superiore rispetto alla norma, e sicuramente offre un significativo contributo alla letteratura fantascientifica.

sabato 11 gennaio 2014

Impressioni | L'ultimo degli uomini (Oryx and Crake), di Margaret Atwood

oryx and crake margaret atwoodEro in cerca di romanzi post-apocalittici, e Google me ne ha consigliati alcuni.
Ho scelto questo.
Attenzione: non leggete la trama su Wikipedia (o s'è per questo, la trama di qualsiasi titolo). Per qualche assurda ragione, Wikipedia italiana spoilera le intere opere senza preavviso, invece che farne una sinossi. Dunque, se volete godervi la storia, evitate di leggere fin dalla prima riga di trama da Wikipedia.

L'ultimo degli uomini è una distopia strutturata su due linee temporali: una è quella passata, e viene narrata in continui flashback; l'altra è naturalmente quella "attuale". I personaggi sono, come da titolo, Oryx e Crake, ma il protagonista è Jimmy. Si può dire che la storia interessa in primo luogo questi tre personaggi, e in secondo luogo ciò che avviene nel resto del mondo (che rimane comunque sullo sfondo, rispetto al destino dei tre).
Passo passo, la storia si arricchisce di dettagli e permette di capire come si sia arrivati alla linea temporale attuale.

Il romanzo poteva benissimo essere scritto in prima persona.
Invece è scritto in terza ma con un focus molto stretto sul protagonista, al punto che è un continuo riferire i pensieri e i sentimenti del protagonista - sarebbe stato più facile usare forme dirette più naturali, dato che il POV è continuamente fisso su Jimmy, il protagonista. Oltretutto spesso spuntano indottrinamenti da parte del narratore, relativamente ai prodotti delle ricerche scientifiche sul DNA e in genere della manipolazione genetica (da notare come queste idee si caratterizzino per la loro connotazione "sociale", non tanto sci-fi quanto satira della nostra società con le sue ambizioni estetiche, di perfezione e via discorrendo). Dette dal narratore passano più come infudump, dette dal protagonista invece no, sarebbe diverso. Insomma, una prima persona sarebbe stata la scelta migliore.
Lo stile comunque è molto buono, e favorisce una lettura che, non prevedendo particolari episodi entusiasmanti o colpi di scena fino ad almeno poco più di metà romanzo, garantisce interesse e risulta gradevole. Diverse idee sono molto interessanti, e l'unica vera pecca, per così dire, è il finale.
Ad ogni modo, a L'ultimo degli uomini seguono altri due titoli.
Le trilogie di solito per me sono deludenti e difficilmente proseguo la lettura oltre il primo libro, ma per il ciclo di MaddAdam penso proprio che farò un'eccezione.

venerdì 15 novembre 2013

Impressioni | Player Piano, di Kurt Vonnegut

kurt vonnegut player piano piano meccanico recensioneNon ho la più pallida idea di come sia finito a leggere Vonnegut, forse perché era nella lista di autori da cui poter apprendere qualcosa, non ricordo. So solo che pensavo di andare a leggere un classico della fantascienza, una distopia con speculazioni sulla società e via discorrendo, ma mi sono ritrovato (con mio grande piacere) con un interessante sci-fi (soft) piuttosto dieselpunk.

In sostanza Piano meccanico narra del dilemma etico del protagonista, Paul Proteus, capo dell'industria di Ilium, New York, immerso nel sistema efficiente basato sul know-how che domina la società americana in seguito a una ipotetica III Guerra Mondiale (da cui ovviamente l'America esce vittoriosa). Il sistema a cui ogni cittadino è costretto a sottostare è basato su una differenziazione degli individui in base al loro Q.I ¹ e, di conseguenza, in base ai ruoli che il proprio intelletto permette di rivestire (con una velata ghettizzazione tra dirigenti e ingegneri da un lato della città e, al di là del fiume, gli operai e tutti gli altri). Ma Paul Proteus avverte la dissonanza che il sistema gli provoca e così anche i cittadini, e ciò porterà lui e la popolazione ad agire di conseguenza.

La prosa di Vonnegut è semplice e chiara.
Non mi esprimo sulla storia in sé: sono sempre del parere che stile e idee vengano prima, e in questo caso non ho granché da aggiungere sulla storia.
Vonnegut sa essere geniale in maniera semplice, e al contempo è in grado di cadere in trovate narrative approssimative e naive.
Il suo genio, a mio avviso, sta in piccolezze quali l'inserimento di dettagli realistici fini a sé, che rendono la narrazione credibile:
L'uomo scarabocchiò qualcosa su un pezzo di carta. Teneva il foglietto sul cofano, e per due volte buco la carta con la matita passando sopra a una scalfittura. «Ecco, qui c'è il mio nome. Se ha della macchine, io sono il tipo adatto a farle andare (...)»
Le cadute di stile sono, per capirci, gli errori grossolani, la narrazione in lingua scrittorese. In questi casi Vonnegut entra nel pericoloso territorio degli 8 orrori narrativi che mi fanno abbandonare un romanzo e perdere fiducia nel genere umano™:
Un giovane di bassa statura vestito normalmente, con grandi occhi infinitamente saggi, si appoggiò contro il tavolo del separé di Paul e di Ed, guardando la televisione con una particolare attenzione. Si volse verso Paul con aria sbadata. «Che cosa crede che stia suonando?»
"Grandi occhi infinitamente saggi."
A parte questo, Vonnegut cade spesso anche nell'infodump secondo lo schema: ingresso del personaggio - descrizione background del personaggio - definizione delle sue dinamiche interne, della sua personalità, dei suoi obiettivi. Nel migliore dei casi l'infodump si riduce a riassunti ricchi di informazioni che però dipingono in fretta, nella maniera più breve e completa, situazioni già avvenute che è necessario il lettore conosca.
Ma il genio (opinione criticabile, me ne rendo conto) di Vonnegut si può ammirare nel modo in cui cambia registro narrativo a seconda delle esigenze della storia.
Tralasciando il flusso di coscienza di joyceiana memoria, attribuito a un personaggio minore (ha un solo paragrafo-POV, se non ricordo male), un soldato semplice, che è stato divertentissimo leggere, a un certo punto della storia c'è una rappresentazione teatrale, e in che maniera la mostra Vonnegut? Ma è ovvio, con la struttura di un copione:
JOHN. (Fischia sottovoce) Non c'è dubbio! (Indica all'improvviso il contestatore, che appare molto irrequieto.) Ma lui ha detto...
GIOVANE INGEGNERE. Abbiamo risposto a tutto ciò che ha detto John. E vorrei aggiungere una piccola riflessione.
Questo ovviamente era solo un estratto esemplificativo.

Tra una trovata stilistica geniale e una scelta narrativa ingenua, Player Piano riesce ad arrivare con forza alla mente del lettore, con la sua ambientazione, i suoi personaggi, con l'ideologia del sistema sociale ecc. Sebbene si possa dire che rappresenti il classico romanzo di critica sociale che tipicamente "invita il lettore a riflettere" (il genere di roba che gli insegnanti ruba-stipendio del liceo ti spacciano per opere d'arte irraggiungibili), Player Piano è, a mio avviso, un godibilissimo gioco di what if che, speculazione sociologica a parte, offre un'ambientazione dieselpunk suggestiva e assai credibile: si può dire che, a differenza di molti autori di fantascienza, Vonnegut abbia profetizzato con accuratezza gran parte dello stile di vita moderno.

_____
Note:
¹ - Se Vonnegut avesse scritto il romanzo qualche decennio più tardi, probabilmente il ragionamento di fondo sarebbe stato diverso, e la società da lui immaginata non si sarebbe basata così tanto sul Q.I. Nonostante il "miglioramento" della scala Stanford-Binet (1916) con la più moderna WAIS di Wechsler, a oggi arrivata alla IV edizione, la concettualizzazione di quoziente intellettivo in un certo senso lascia il tempo che trova. Sono state scoperte nel tempo altre "intelligenze" che le scale classiche fino a quel momento avevano trascurato, e in generale la Psicologia Cognitiva e la Psicologia Clinica (insieme alla Psicometria) hanno negli anni dimostrato quanto l'individuo sia complesso e contraddittorio: se può sembrare scontato a noi di questo secolo, non era proprio così tra la fine dell'800 e gli inizi del '900, periodo in cui ci si affidava addirittura alla Frenologia o ad altre convinzioni non-scientifiche.
Ad ogni modo, proprio in virtù degli esigui studi in materia all'epoca, nonché dello scetticismo verso tali argomenti, affrontati da una disciplina troppo giovane qual era la Psicologia, non è un caso che l'idea di fondo del romanzo sia praticamente un'esasperazione per poter speculare un po' sul what if di base. La costruzione di un sistema in base ai contributi scientifici un'utopia: nessun governo è mai stato fondato sui risultati delle ricerche scientifiche al fine del miglioramento della società, delle leggi e delle istituzioni; basti vedere come il nostro stesso paese sia, nella gestione, anti-scientifico, illogico, tutto l'opposto della distopia di Vonnegut: in Italia sono gli analfabeti e coloro che hanno un QI basso ad essere al potere.

venerdì 20 settembre 2013

Impressioni | Old man's war, di John Scalzi

old man's war john scalzi sci fiSe questa fosse una recensione di Tapiro, comincerebbe tipo così:

Quando arrivi a 75 anni sai che gli anni che ti rimangono non sono tanti, e per giunta sono segnati dagli effetti del tempo sul corpo. Ma se potessero ridarti indietro la giovinezza, un corpo più forte, abilità superiori, in cambio dell'arruolamento nella Colonial Defence Forces, in un altro sistema solare, rinunciando completamente alla tua vecchia vita, accettando di difendere l'umanità e combattere contro razze aliene per almeno 10 anni?

Ma io sono più un tipo da I ghezzi vostri, e vado per il parere ignorante, breve e non richiesto.
Old man's war è un bel romanzo di fantascienza.
Uriele me lo aveva consigliato tempo fa quando lo regalavano se acquistavi dei bundle.
Al contrario di certe opere sci-fi, Old man's war è godibile senza dover cedere a compromessi di ritmi altalenanti o tsunami di infodump. La narrazione è in prima persona, il narratore è il protagonista. Il 40% circa dell'opera è tutto un "inizio". Ingrana fin da subito, sì, ma fino al 40% tu ti chiedi: "Sì ma quand'è che le cose cominciano a farsi serie?".
Lo stile è molto buono, c'è dell'umorismo sparso che nella prima metà dell'opera mi ha fatto davvero ridere (per esempio, il protagonista che setta il suo BrainPal), e nel complesso alleggerisce quella tensione che talvolta gli autori creano, magari involontariamente, per dare spessore e serietà all'opera - ma che il più delle volte infrange il quarto muro e abbassa la qualità del tutto.
Essendo sci-fi, l'infodump non può mancare. Eppure lo si trova praticamente "spiattellato" con eleganza e ironia:
"I feel a physics lceture coming on," I said.
"I thaught physics to teenagers for years," Harry said, and dug out a small notepad and a pen. "It'll be painless, trust me. Okay, now look." Harry began drawing a circle at the bottom of the page. "This is the Earth. And this"--he drew a smaller circle halfway up the page--"is Colonial Station. It's geosynchronous orbit, which means it stays put realtive to the Earth's rotation. It's always hanging above Nairobi. With me so far?"
L'infodump c'è, lo sai tu lettore, lo sa l'autore, lo sanno persino i personaggi. Detto ciò, ci si toglie il dente senza tanto dolore ed ecco che le informazioni filtrano e accontentano sia l'appassionato di Fisica, sia il lettore standard.
In altri casi l'infodump è un po' più "doloroso":
The Gehaar were one of the first intelligent aliens humans encountered, in the days before the Colonial Union established its monopoly on space travel. Nice enough people, but they ate by injecting their food with acid from dozens of thin head tentacles and then noisily slurping the resulting goop into an orifice. Messy.
In questo caso è il narratore stesso che parla, ma il narratore è anche il protagonista, e fa dell'ironia, quindi, tutto sommato, si può prendere con filosofia qualsiasi cosa dica senza che stoni troppo con la narrazione.
Ogni tanto a Scalzi piace tanto infilare avverbi in -ly completamente inutili:
He glanced over, said, "Oh, look, it's the Bible freak," and then studiously ignored me, which took some doing in a room that was ten by ten.
O ancora:
She smiled at me and gripped my hand. "No," she said hoarsely. "Not too sad. But even still. Even still."
O ancora:
Blessedly, the video feed switched off right after that.
Perché? Perché?!
Ma non fa niente, perché quando meno te lo aspetti - per esempio durante un momento d'azione concitato, in cui il protagonista gira armato su un pianeta nemico, con alieni attorno che potrebbero spuntare all'improvviso - ecco che il narratore ti regala un sorriso:
Directly in front of me at forty meters was an abstract sculpture of some description; I nailed it as Bender and I ran. Never much liked abstract art.
Old man's war mi ha colpito fin dall'inizio per lo stile narrativo, e non mi ha deluso. Mi sarebbe piaciuto leggere altre idee riguardo alla tecnologia usata dalla CDF, o riguardo alle culture aliene ecc., ma niente paura: a Old man's war seguono altri tre romanzi.
Ha la mia attenzione.

lunedì 9 settembre 2013

Impressioni ristrette | Domani il mondo cambierà, di Michael Swanwick

swanwick station tide domani il mondo cambierà recensioneMichael Swanwick, con quest'opera - titolo originale: Stations of the tide, e si noti la grande affinità col titolo italiano - ha vinto il premio Nebula nel 1991.
Queste sono le cose che mi perplimono.
Ho interrotto il romanzo al 50% della lettura. Avevo intenzione di farlo già da prima ma verso il 20% spuntano idee interessanti che mi convincono a proseguire nonostante lo stile pessimo.
Perché è lo stile che davvero rappresenta un ostacolo alla lettura. Non so se sia corretto definirlo naïf, ma è quello stile che di solito io personalmente chiamo "romanzese" o "scrittorese": alcuni autori, di solito quelli alle prime armi, nel narrare usano un lessico che secondo loro è quello "tecnico", il linguaggio che va usato quando stai raccontando una storia.
"Era una notte buia e tempestosa".
Lo stile di Swanwick in Stations of the tide è come se fosse a un livello superiore dello "scrittorese": i cliché vengono rimpiazzati direttamente con le forme "auliche", come literary fiction da studiare a scuola e farci poi gli esercizi "Vedete, ragazzi, come l'autore ha usato una metafora in cui quel personaggio viene identificato con quell'animale, e ciò indica la natura meschina di Taldeitali, ecc. ecc. capolavoro, capolavoro, genio assoluto per aver pensato a una cosa simile, imparate a memoria".
In realtà dovevo aspettarmelo. Tapiro mi aveva già avvertito dello stile "intellettualoide" adottato nel romanzo, ma dovevo testimoniarlo di persona.
Certo, l'ambientazione è affascinante - laddove si capisce di cosa si sta parlando -, e sicuramente sarebbe bello approfondire. Ma ci troviamo di fronte a questo:
- Ciò che mi lascia perplesso - disse per mascherare il suo sospetto - è che...
Il narratore che svela le intenzioni dei personaggi in maniera palese.
Chu non fece finta di non capire. 
Spiegazione delle intenzioni di un personaggio + doppia negazione: addirittura combo! Non nascondo di non apprezzare questa forma.
Era preoccupantemente facile ubbidire a quel mostro, poiché era molto decisa nei suoi ordini.
Tralasciando il resto: gli avverbi in -mente. Per di più inutili, non solo brutti, ma proprio del tipo che se li ometti non solo non ci perdi, ma ci guadagni. Ce ne sono a iosa.
- Be'... - I denti dell'uomo erano rotti e ingialliti, le sue gengive erano violacee, e il suo alito aveva il puzzo della corruzione.
Il consueto "puzzo della corruzione". Queste sono le forme "auliche" che capita di trovare nelle opere di quegli autori che magari ci provano, così, gli scappa, "come uno starnuto" (Cit.), oppure tentano di fare Alta Narrativa da studiare al liceo (stile Wu Minghi).
Il burocrate percepì la presenza ronzante ed encefalica delle venti sibille, che facevano parte del sistema, nel retro del suo cervello.
Fantascienza o no, la "presenza encefalica" è un'affermazione che non significa assolutamente nulla.
Il burocrate fissò meravigliato quei fantasmi silenziosi e pensò: "Non esistono creature simili". Anche se, in verità, non riusciva proprio a immaginarsi per quale motivo non dovessero esistere. Immerse fino alle cosce, si muovevano silenziose come sogni e alte come dinosauri, sonnambule eppure sicure come un desiderio.
(Anche qui tralasciamo il resto) Ad essere sincero a me le similitudini evocative, efficaci, piacciono. Lo so, magari non sono il mezzo più indicato per narrare, ma in alcuni romanzi ne ho trovate di efficaci, che mi avevano colpito.
Queste appena citate, però, no. Che diavolo significa "silenziose come sogni" e "sonnambule eppure sicure come un desiderio"? Perché usare mille parole quando ne basta una, o due?
Di fatto il romanzo non era così difficile da leggere, ma spesso e volentieri lo stile pessimo mi ha fatto cadere le braccia, e a quel punto dovevo scegliere se continuare qualcosa che comunque fino a metà opera non mi aveva convinto granché o cercare qualche altro romanzo.
Alla fine ho optato per chiudere.

martedì 30 luglio 2013

Impressioni | World War Z, di Max Brooks


Non sono un fan sfegatato di horror e zombie, nel senso che non me li vado a cercare spontaneamente. E peggio ancora, se esce un film tratto da un libro, raramente corro a leggere la versione letteraria originale (fatta eccezione per autori come Matheson e altri).
Quando ho visto il trailer di World War Z ho pensato: un'epica cafonata hollywoodiana, non posso perdermela! Attendo il dvd e me lo vedo a casa con amici, birra e patatine. Non mi sono informato ulteriormente. Poi un amico mi ha detto che il romanzo da cui è stato tratto è “completamente diverso” dal film, accennando a uno stile narrativo basato su interviste. Generalmente diffido da affermazioni simili, se non sono arricchite da spiegazioni. Molte persone ritengono che la storia cartacea abbia un valore intrinseco che le conferisce più valore e dignità rispetto a un film (le stesse persone che osannano “Il profumo della carta” e si spacciano per intellettuali ma poi leggono Fabio Volo, Baricco o Licia Troisi).
La verità è che ci sono un sacco di romanzi scadenti con la corrispettiva versione cinematografica di gran lunga migliore.
Mi sono fidato del consiglio del mio amico e in effetti non mi sono pentito.
World War Z è un romanzo formato da un certo numero di interviste. Il protagonista sostanzialmente è l'intervistatore, di cui però non si sa nulla, è in secondo piano e interviene solo per fare domande.
I personaggi intervistati parlano del proprio lavoro o della propria vita dal momento del Grande Panico (alias la consapevolezza della diffusione della cosiddetta Rabbia africana, cioè il virus “zombiesco”) fino al tempo attuale. Civili, militari, ognuno dà il suo contributo.
L'inizio del romanzo tratta dei casi di infezioni in Cina e in tutto l'oriente, dopodiché gli intervistati appartengono a zone diverse del pianeta. Ogni intervista contribuisce a delineare un quadro generale e strutturato del mondo invaso dal morbo, con tutti i fenomeni sociali che ne derivano (per esempio, i “coyote” orientali che lucrano sull'evasione della gente dal paese infetto, come accade per Messico-California ecc., o l'invenzione tempestiva di presunti vaccini per il virus), ma anche le dinamiche politiche (ostilità tra paesi, riorganizzazione militare ecc., l'istituzione di nuovi nuclei), psicologiche/antropologiche (il nuovo stile di vita post-apocaliptico in cui i lavori di manovalanza sono gli unici utili, al contrario di quelli da ufficio, con una conseguente inversione di ruolo, o il clima emotivo di ansia e PTSD a man bassa), e le caratteristiche della malattia (come avviene il contagio, come evitarlo, come riconoscere gli zombie veri dai quisling, la gente non infetta ma che ha perso la brocca e pensa di esserlo).
Sono rimasto molto colpito dal romanzo. La forma della narrazione è stimolante. Sono vere e proprie cronache, è una forma che rompe con la solita linearità di narrazione di una storia. Diversi personaggi espongono la storia nel loro proprio stile comunicativo, e questo dà spessore ai personaggi.
Come al solito ci sono dei “ma”, perché sennò non sono contento.
Le interviste sono tante, non finiscono mai, ma va bene; il problema è che la solfa è sempre quella. Lo stile comunicativo originale appartiene a pochi personaggi in realtà: la maggior parte sembra avere sempre un tono saccente che ti fa dimenticare chi è che sta parlando al momento, se il militare esperto o un guerrigliero, un veterano.
I temi affrontati sono sempre quelli, sotto diversi punti di vista. E va bene. Ma i particolari su cui si soffermano sembrano essere talvolta sempre i soliti: le armi, i nuovi nuclei organizzativi (ognuno con un acronimo), i protocolli.
A un certo punto, verso la fine, ero stanco di leggere (e vedere con gli occhi della mente) l'ennesimo uomo/donna che la sa lunga, che parla di organizzazioni e politica, e via discorrendo.
Ho trovato molto più interessanti e toccanti le situazioni psicologiche (deformazione professionale a parte) che riguardavano il cambiamento nei rapporti interpersonali in un mondo apocaliptico, il cambiamento dei valori, l'acquisizione di un nuovo modo di vedere la vita, e via discorrendo.
Ho apprezzato molto anche le idee dei quisling, degli zombie che al nord o in inverno congelano e non sono un pericolo, quelli che affollano i mari, e altre particolarità.
Posso dire con coscienza che di per sé il romanzo è ben fatto, vale la pena leggerlo e sicuramente offre spunti e può appassionare gli amanti del genere. Un mio consiglio all'editor sarebbe stato di sfoltire le parti a tema politico (sfoltire nel senso che, a concetto chiaro, fermarsi lì e non stare a ricamarci sopra) e istituzionale (sostanzialmente aria fritta, tutti questi acronimi di gruppi, protocolli, ecc.: basta far capire il messaggio e poi lasciarlo lì: le storie, l'azione, il movimento sono interessanti, la teoria sterile e fine a sé annoia, considerando poi che l'intero romanzo è un insieme di digressioni, spesso spiegazioni a tavolino, talvolta storielle, rincarare la dose con astrazioni e teorie non fa tanto bene.)
Per concludere: il film con quel mandibolone di Brad Pitt non l'ho ancora visto. Il romanzo mi ha soddisfatto, e dubito che il film abbia granché a che fare col romanzo (perché altrimenti sarebbe un film noiosissimo), per cui non saprei proprio se è meglio leggere prima uno e poi vedere l'altro, o viceversa, o nessuno dei due.
Posso solo dire che il tempo speso per leggere è stato ben ripagato. Direi che è un buon esempio di uno dei modi in cui si può raccontare (bene) una storia. Se dovessi dare un voto direi 8.

martedì 16 luglio 2013

Impressioni | Hyperion, di Dan Simmons

hyperion dan simmonsDopo La scomparsa dell'Erebus, ero curioso di leggere l'opera per cui Dan Simmons è ricordato principalmente, Hyperion.
Senza dover andare a cercare su Wikipedia, ecco il romanzo in poche parole: è strutturato in sei racconti appartenenti ai sei personaggi protagonisti, la cornice narrativa principale è quella che vede il gruppo nel pellegrinaggio verso le Tombe del Tempo, sul pianeta Hyperion, luogo misterioso dominato da campi antientropici che portano il luogo indietro nel tempo. Lo Shrike è una sorta di divinità omicida che occupa le Tombe, e complessivamente la storia di ogni personaggio è connessa con le Tombe.
Ora parliamo (ok, parlo) di alcuni aspetti del romanzo.
Aspetti positivi: le idee sono buone e numerose. Non essendo un cultore di fantascienza, immagino che non tutto sia necessariamente innovativo o eccezionale. Ma tant'è, io ho apprezzato.
Il background è ampio e strutturato, ricco di particolari.
Tutto questo calderone dovrebbe dar luogo a un'opera eccezionale, eppure Simmons gestisce il tutto in maniera approssimativa e non sfrutta il potenziale di tutto il lavoro fatto di worldbuilding (oserei dire universe-building, a questo punto).
L'infodump regna sovrano. Non sarebbe così grave, di per sé: il retroscena è interessante, e conoscere tecnologie, sviluppi "storici" e via discorrendo potrebbe ripagare la scelta stilistica infelice.
Ma l'infodump più gretto, con una digressione sugli eventi passati e spiegazioni palesi dei nessi tra un concetto e l'altro, viene affiancato da elementi dell'ambientazione gettati così, senza spiegazione. Com'è fatto un VEM? Boh! E un comlog? Boh!
Peccato: laddove lo stile è carente, una ricchezza di spunti e di background riequilibrerebbe il tutto.
Le descrizioni talvolta sono approssimative anche per quanto riguarda i luoghi: fatta eccezione per alcuni, è impossibile avere una chiara idea di cosa ci stia presentando il narratore. A volte le descrizioni sono solo in "scrittorese", buttate così senza mostrare veramente qualcosa (come per il Castel Crono, che è un ammasso di scalini e sale buie ecc.,), altre volte invece semplicemente il narratore non ti dice le cose come stanno. Il mare d'erba è fatto di acqua o di erba? L'imbarcazione che lo solca galleggia o ha le ruote? Può suonare stupido, ma io non l'ho mica capito, fino alla fine.
Il punto forte, per così dire, del romanzo sono le ministorie che lo compongono. Io sono stato più attratto dalla narrazione principale piuttosto che dai flashback: si tratta di riassunti o dell'intera vita di un personaggio o di un momento particolare, condensati ciascuno in alcune decine di pagine con tanto infodump e melodramma.
Mettendo a confronto i racconti di Cavie (Haunted) di Palahniuk, che ha analogamente una struttura "decameronesca", e quelli di Hyperion, è evidente quanto un grosso brufolo che i personaggi di Dan Simmons non riescono ad avere spessore e a suscitare l'interesse dei personaggi di Cavie.
Ho preso come metro di paragone Palahniuk perché in Cavie la storia di ogni personaggio occupa lo stesso spazio narrativo dei personaggi di Hyperion, e in entrambe le opere i temi di fondo non sono semplici conflitti ma veri e propri drammi.
Ho apprezzato la storia del prete, principalmente per la forma diaristica. Però la storia migliore, a mio avviso, è quella di Sileno, principalmente per lo stile che ricalca perfettamente la personalità del personaggio (ha carattere, ha un buon "impatto" comunicativo ed emotivo).
Le altre le ho trovate appena sufficienti o patetiche (Brawne Lamia, il frutto dei più banali cliché sui detective, o  la storia del Console, con la doppia cornice narrativa che, in aggiunta alla principale, dà luogo a tre tempi, crea confusione ma soprattutto noia).
Per finire, il gran finale, finalone infodumposo in cui il narratore sputtana tutto il significato dell'opera sembra un vizio che Simmons non ha voluto togliersi nemmeno nella Scomparsa dell'Erebus. Il Console, alla fine del romanzo, scioglie tutti i nodi della trama e fornisce i plot twist. Così come nella Scomparsa dell'Erebus Simmons spiega, ponendosi fuori dal tempo narrativo, gli aspetti magici e misteriosi che permeavano la storia.
Ho letto sul web che il romanzo può essere considerato autoconclusivo. Non vedo come si possa dire una cosa simile: è palesemente un finale aperto.
Al momento, non credo che continuerò a leggere altro di Dan Simmons. Se all'inizio Hyperion mi è sembrato soddisfacente - più per i contenuti che per la forma -, verso la fine ho capito di essere troppo insofferente verso lo stile.
Non escludo che qualcuno possa trovarlo un romanzo bellissimo: gli appassionati di fantascienza pura probabilmente possono focalizzarsi più sugli aspetti contenutistici che su quelli narrativi, ma non si può dire che sia un romanzo scritto bene. Per poterlo leggere e apprezzare, è necessario mettere in conto una certa dose di noia e ritmi lenti.
Volendo fare un paragone con Asimov, oserei dire che sebbene abbia uno stile peggiore, riesce a offrire una storia più forte, trame meno patetiche e plot twist credibili insieme alle idee interessanti. Insomma, preferirei Asimov a Dan Simmons.
Consiglierei Hyperion agli appassionati di Sci-fi in quanto ulteriore spunto di idee, ma difficilmente lo consiglierei al lettore medio "casuale".

giovedì 14 marzo 2013

Impressioni fulminanti | Le tre stimmate di Palmer Eldritch, di Philip K. Dick

La verità è che ho finito di leggerlo più di un mese fa, quindi questa è un'impressione molto a freddo. A malapena ricordo i nomi dei personaggi.
Ora invece mi trovo impantanato con un romanzo fin troppo lungo, di cui parlerò sicuramente in futuro. Appena lo finirò.
Tipo l'anno prossimo.
Le tre stimmate di Palmer Eldritch è stato recensito e consigliato da Tapiro in questo post, andatevelo a leggere. Io qui ci spreco giusto due parole.

Nel complesso, Le tre stimmate è un bel romanzo, nel senso che vale la pena leggerlo, non è tempo perso.
D'altro canto i suoi contro quasi bilanciano i pro.
Le idee sono molto interessanti. Il Can-D, il Chew-Z, il terraforming di Marte, i precog, la figura di Palmer Eldritch.
Lo stile di Dick è anche abbastanza buono, come sempre essenziale e mirato allo sviluppo della storia. Più o meno.
Ok, diciamo le cose come stanno. Dick da un lato dipinge il background della storia senza spiegazioni (il surriscaldamento globale, i ricchi che vanno in Artide per stare più freschi, i DJ sui satelliti che trasmettono informazioni - questo poi visto da noi del "futuro" è divertentissimo, visto che i disc-jockey praticamente sono costretti a stare nei satelli che orbitano e trasmettono limitatamente all'area che stanno sorvolando), dall'altro si mette a rigurgitare informazioni su altri punti, veri e propri infodump con tanto di wall of text; un po' di questi provengono dal narratore, un po' dai dialoghi.
E proprio riguardo ai dialoghi: ci sono momenti di "rivelazione" in cui i personaggi pensano e/o danno voce a monologhi filosofici d'impronta esistenzialistica. Sembra quasi che escano dai loro panni per speculare un po' sul Sé, sulla percezione soggettiva del mondo, su ciò che è reale e ciò che non lo è, e via discorrendo.
Accanto a questo, alcuni personaggi si comportano in maniera totalmente assurda.
Mayerson, il protagonista, prende decisioni palesemente impulsive e irrazionali. Non persegue né un obiettivo preciso né compie scelte influenzate dagli affetti. Ho avuto come l'impressione che Dick non sapesse bene come muovere quel tal personaggio in quel tal luogo, e l'avesse quindi semplicemente preso e messo lì senza tanti complimenti.
Per ultimo, com'è evidente, alcune idee forti del romanzo non sono ben spiegate. Il progetto Perky Pat non si capisce bene cosa sia, Dick fa discutere i personaggi a riguardo, li fa agire, ma nella maniera più oscura per il lettore. Allo stesso modo il funzionamento del Can-D relativamente al Perky Pat non è chiaro, e la cosa che appare più chiara è il funzionamento del Chew-Z... Finché a un tratto non si contraddice.
Infine, la storia è (letteralmente) sconclusionata. Ci sono questioni irrisolte, personaggi che semplicemente scompaiono e il finale è brusco, si interrompe senza dare tante spiegazioni.
A parte questo, comunque, il romanzo scorre, le idee spingono a leggere e a parte cadute di braccia causate da infodump e soliloqui esistenziali, si legge con interesse.
E grazie a Dio Dick non è prolisso.

domenica 9 dicembre 2012

Impressioni fulminee | Cronache del dopobomba, di Philip K. Dick

philip k dick cronache dopobomba dr bloodmoneySi tratta di un romanzo, come si intuisce, sci-fi post-apocaliptico. In realtà il disordine del dopo-bomba è piuttosto strutturato, non come spesso ce lo immaginiamo noi, il mondo allo sbaraglio più completo.
Articolato in diversi POV, il romanzo ha quello stile dickiano (o così mi pare, visto che non ho letto molto di Dick) che un po' mostra e un po' racconta e inferisce. Nel complesso però la narrazione è gradevole, si avverte bene l'importanza data allo sviluppo della storia piuttosto che ad allungamenti di brodo. Riesco a immaginare Dick che scrive come un forsennato, nello stato maniacale di una probabile psicosi maniaco-depressiva indotta dalle droghe, e ci tiene a non perdersi in chiacchiere.
La storia non l'ho trovata particolarmente avvincente. Mi sono piaciute molto le idee, come Dangerfield nel satellite e gli animali mutanti dall'intelligenza superiore. Ma, a mio avviso, il punto forte del romanzo sono proprio le idee. Difatti il finale è più che altro un termine forzato alla storia, non una vera e propria risoluzione dei conflitti.
Sono morto dentro sia per i riferimenti alla psicoanalisi, sia - soprattutto - nella scena (all'inizio del romanzo) in cui Bluthgeld va dallo psichiatra che è anche psicoanalista, e non appena inizia a parlare un po' di sé, ecco che lo psichiatra fa subito congetture diagnostiche. Questo è un po' il luogo comune del popolino, che crede che gli psicologi/psichiatri giudichino la gente non appena apre bocca, quando in realtà un colloquio di 45 minuti non basta nemmeno a conoscere la persona. Figuriamoci a fare diagnosi! E per giunta di schizofrenia!
Ma capisco anche che la pubblicazione del romanzo risale 1965, mancavano 3 anni per la pubblicazione addirittura del DSM-II, e i primi DSM erano i più farlocchi, con malattie inventate e mazzette tra psichiatri e industrie del farmaco, per non parlare dell'abissale carenza clinica che sarebbe stata ovviata solo nel DSM-IV, se non addirittura nel DSM-IV-TR. Ad ogni modo, questo non giustifica l'inesattezza del metodo. Dick, potevi informarti meglio, mannaggia a te.
Tralasciando le questioni cliniche, è una bella visione post-apocaliptica: non molto estesa, è vero, non molto approfondita, ok, ma ci sono idee accattivanti e idee bizzarre, e l'intreccio non manca.
Ma come ho già detto, a mio avviso il punto forte del romanzo risiede più nelle idee che nella storia stessa.

domenica 9 settembre 2012

Carrellata estiva cinematografica 2012 - Parte II

Continua la carrellata estiva di film cominciata qui.


sergio leone pugno dollari trilogia clint eastwood ennio morriconeLa trilogia del dollaro (1964-1966)
Ero troppo piccolo per poter ricordare, così ho scelto di rivedere la trilogia del dollaro.
Sicuramente è invecchiato bene. Non posso dire che fosse cinema d'avanguardia, perché non me ne intendo. Non so nemmeno se è roba trash. In un'intervista, Clint Eastwood aveva dichiarato:
"The actor also played a large part in creating the character's distinctive visual style. He purchased the black Levi's from a Hollywood Boulevard sport shop, the hat from a Santa Monica wardrobe firm, and the trademark black cigars from a store in Beverly Hills."
E ancora, credo nella stessa intervista, sosteneva di aver detto a Sergio Leone che avrebbe girato pochissime scene col sigaro in bocca, perché quell'affare lo disgustava (Perché, ti ricorda il comunismo? Tsé, repubblicano di un Eastwood!). Ma a ben vedere, nei tre film ha sempre quella specie di toscanello in bocca. Mah.
Ad ogni modo, ho gradito moltissimo la trilogia. Davvero badass certe battute dal sapore davvero retro (come:
Quei due piuttosto che averli alle spalle è meglio averli di fronte, in posizione orizzontale, possibilmente freddi.
Non si fanno più dialoghi così scontati - si fa di peggio, poi li chiamano aforismi e girano su Facebook sotto improbabili foto).
Nota importante: penso alla Torre Nera e mi perplime come Sergio Leone possa aver ispirato King. Se però si considera come l'ambientazione del Dollaro sia in effetti fuori dal tempo e dal mondo (gli accenni temporali/geografici sono infimi o del tutto assenti), la cosa ha senso.

charles dickens mystery of edwin drood bbcThe mystery of Edwin Drood (2012)
Trattasi dell'ultimo romanzo di Dickens, lasciato incompiuto per cause di forza maggiore (i.e., morte), risultato: non si saprà mai chi è l'assassino. La BBC ha trasposto il romanzo in una versione televisiva divisa in due parti. Con una googlata accurata, potrete trovare il torrent e anche i sub ita.
Non ho letto il romanzo, ad ogni modo la storia è godibile.
I feticisti dello steam (e quindi dell'era vittoriana, delle rappresentazioni in costume, delle rappresentazioni storiche ecc.) gradiranno la fotografia, i costumi, le location. Gli amanti del thriller potranno godersi il mistero (ma va'?) e i diversi colpi di scena fino alla risoluzione finale.





sherlock holmes 2 gioco di ombre ita 2011Sherlock Holmes: gioco di ombre (2011)
Come credo di aver detto nel post dell'anno scorso, ci sono film la cui produzione costa così tanto da assicurarti che, per quanto possa far schifo il film in sé, ci sarà pur sempre qualcosa che ripaghi almeno in parte il tempo perso. Chessò, gli effetti speciali. O attrici gnocche.
Non è il caso di Gioco di ombre - nel senso che non fa schifo. Innanzitutto perché Robert Downey Jr. è un mito. In secondo luogo perché c'è pure Jude Law, che comunque fa la sua parte (da belloccio, null'altro, ma meglio di niente è).
So che può sembrare stupido, ma ci tengo a fare questo esempio. Su Youtube ci sono brani di Jimi Hendrix (o di altri classical rocker dalla mentalità aperta e volti alla sperimentazione, al futuro) modificati in stile dubstep. Alcuni utenti commentano aspramente la cosa come una corruzione dello musica di Hendrix, che lui si rivolterebbe nella tomba, ecc. Altri invece sostengono che lo stesso, per il suo spirito artistico, accoglierebbe di buon grado la cosa in quanto ricerca di suoni nuovi, sperimentazione.
Io sono del parere che, per quanto "commerciale" o lontana dall'originale possa essere la versione cinematografica delle storie di Sherlock Holmes, Sir Arthur Conan Doyle apprezzerebbe. Il suo stile letterario tende soprattutto all'azione e all'umorismo, e i film rispecchiano (e amplificano) certe caratteristiche. C'è del tamarro, è vero, ma parliamo comunque di un prodotto della Warner Bros. Se non accontentano lo spettatore medio, non lo producono nemmeno, il film.
Piccola nota puntigliosa: sicuramente il film sarà stato pieno di sviste anacronistiche di cui non ho competenza, e a parte il dubbio sulla machine gun distruttiva di una scena del film, forse giustificata dalla coloritura steampunk del film - non mi intendo di oplologia, e sicuramente le armi automatiche non sono state inventate ieri, ma una roba simile nel 1891 mi fa sorgere qualche dubbio -, a un certo punto Holmes parla di rimozione. Mi risulta che Freud non avesse ancora pubblicato nulla riguardo a tale meccanismo, che avrebbe visto la luce nel nuovo secolo.

District 9 sci fiDistrict 9 (2009)
Non lo conoscevo affatto se non di nome.
Quindi mi ha sorpreso lo stile di documentario fittizio. Certo, poco dopo cambia repentinamente seguendo POV vari, ma l'inizio l'ho assai gradito. Graficamente è notevole, e lo sviluppo della storia cerca di essere quanto mai verosimile. Alcune idee non vengono approfondite - ed è un peccato -, mentre altre vengono ignorate a favore della linea di "narrazione" (se così si può dire) pricipale.
In un certo senso, il film si può considerare come un sci-fi BDO, in cui però il mistero del BDO non viene svelato, ma viene completamente messo da parte e si seguono le vicende sfortunate del protagonista (umano).
Ho molto apprezzato il finale pittoresco.


Questa dovrebbe essere l'ultima parte della carrellata cinematografica estiva 2012. All'ultimo momento ho preferito escludere diversi film perché parlarne o non parlarne non faceva alcuna differenza (avrei da dire solo "Bello", "Brutto", "Hmm", e insomma, non ci svilupperei un gran monologo, perché alla fine un post è questo - soprattutto senza commenti). Se mi gira, può darsi che vi ammorbi con un altro post simile.
Se vi va, esprimete pure un parere sui film. Saturiamo ulteriormente il web.

mercoledì 18 luglio 2012

Impressioni | Occhio nel cielo, di Philip K. Dick

Eye in the sky occhio nel cielo fantascienza Philip K Dick romanzoTapiro mi ha convinto a leggere Dick, e per anticonformismo ho scelto un libro che lui non ha mai nominato. Credo.
Eye in the sky è un romanzo di fantascienza e psicologico in cui, a dirla tutta, il fattore fantascientifico è debole e costituisce essenzialmente un pretesto per il resto della storia.
Jack Hamilton è un ingegnere che lavora presso un'industria missilistica in collaborazione col governo. Siamo negli anni '50, in piena Guerra Fredda. La paranoia per spie sovietiche spinge il responsabile della sicurezza a insinuare che la moglie di Hamilton, Marsha, sia comunista, quindi insieme a lui un pericolo per lo stato, sicché la carriera di Hamilton è compromessa.
Nello stesso giorno, i due coniugi assistono al funzionamento del Bevatrone insieme ad altri turisti. Ma qualcosa va storto e la pedana su cui si trovano viene distrutta: gli spettatori cadono per terra, colpiti dalle radiazioni del macchinario, e perdono conoscenza. O quasi.
Si risvegliano infatti in quello che scoprono essere non il loro mondo, ma un altro: la psiche di uno di loro.
Il resto del romanzo è un viaggio nell'universo psichico di ogni personaggio.

Non avevo mai letto nulla di Dick.
Eye in the sky da un punto di vista stilistico pone premesse pessime: all'inizio, Dick ci rifila infodump e persino un paio di As you know, Bob. Per il resto del romanzo, gli infodump si riducono al minimo trasformandosi in POV a inquadratura più larga (per esempio, il narratore ci dice cosa sta succedendo in un'area fuori dalla visuale del POV protagonista, inducendo quest'ultimo a fare inferenze a dir poco paranormali).
Aggettivi superflui ma soprattutto avverbi pompati di steroidi come se non ci fosse un domani. Avverbi che non passano inosservati, per quanto sono inusuali - persino per il canovaccio narrativo.

Parliamo della storia.
Non conosco le proprietà degli acceleratori di particelle, quindi non capisco se il malfunzionamento del Bevatrone sia un pretesto per il viaggio psichico perchéssì o se si basa su qualche ragione di Fisica (onestamente, ne dubito). Ad ogni modo, l'idea è bella e ricorda tanto - a noi del futuro - qualcosa come Inception.
Il mondo di ogni personaggio rispecchia le proprie credenze. [Accenni di spoiler]: nel mondo di Arthur, vige il Delirio Mistico, in quello della signora Pritchet la censura (come meccanismo di difesa psicodinamico), nella signorina Reiss il Delirio persecutorio, ecc. [Fine dello spoiler.]
Mi ha perplesso la struttura della realtà psichica di ogni personaggio. Sebbene sia il frutto dell'elaborazione del singolo personaggio, che ha il potere di modificarla, non capisco: la signora Pritchet, nel suo mondo, chiede quale zona sia quella che stanno percorrendo in macchina. Mi chiedo: se non la conosce, non dovrebbe nemmeno esistere. E se fosse un prodotto onirico qualsiasi, non avrebbe dovuto essere riconosciuto dagli altri come effettiva copia della realtà oggettiva. Infine se fosse un prodotto collettivo, cioè delle menti degli altri personaggi, ciò contraddirebbe il "metodo" sfruttato da Dick (secondo il quale la mente di un personaggio crea e pone le regole del mondo, a cui gli altri si devono adeguare, e non permette dunque di essere modificato da costoro).
Insomma, mi è sembrato che ci fossero delle piccole lacune, e che Dick abbia seguito un principio estetico più che uno coerente/funzionale).

Lo spessore psicologico dei personaggi è... sottile? A parte il protagonista e sua moglie, i tratti degli altri personaggi prendono forma solo quando la storia sta già carburando (e si volge alla risoluzione). A mio avviso, uno Stephen King avrebbe potuto ideare una storia simile, ma rendendo più complessi i personaggi, dal primo all'ultimo - a costo di qualche pagina in più, d'accordo. E probabilmente avrebbe reso più terribili quegli aspetti che il narratore di Dick si limita a definire "terribili" senza renderli effettivamente tali (senza mostrarli, in pratica, come la casa vivente).

La verità.
Dopo le prime pagine zeppe di avverbi e tell generici, stavo pensando di abbandonare la lettura.
Poi ho immaginato un Tapiro in lacrime e mi son detto no, devo continuare. A convincermi davvero a non mollare sono state le idee, la piega che prendevano gli eventi e la narrazione che, nonostante le "menomazioni", risultava piuttosto movimentata, e le scene condensate in un numero giusto di pagine, senza sciacqui inutili. Per quanto possa averlo dipinto come un orrore, in realtà (questo) Dick è godibile più di molti altri autori, e non escludo che leggerò qualcos'altro, di suo. Sicuramente però non si pone al di sopra della sufficienza.
Gli darei un 6 e mezzo, voto che immagino condividerebbe il lettore medio-esigente. Non escludo che il lettore occasionale troverebbe invece la storia molto stimolante e darebbe al romanzo un voto più alto.