Visualizzazione post con etichetta musica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta musica. Mostra tutti i post

sabato 10 dicembre 2011

7 links project

7 links project bloggerC'è 'sta catena di S. Antonio che mi ha rifilato lo Psicopompo (mannaggia a lui) che si chiama 7 links project e, insomma, mi pare di capire che è una di quelle iniziative buone per il fuoco¹ nuovi post.
Però d'altro canto è anche una cosa utile, perché alla fine si tratta di stilare una lista di frequenze di visite a determinati post, con diversi attributi ad ognuno di esso. Cominciamo.

Il post il cui successo mi ha stupito
Probabilmente il post su Cast Away. Il film è magnifico, poi a quel tempo (avevo 17 anni) ero particolarmente sensibile al dramma esistenziale e tutto il resto.
Non mi spiego il perché di così tante visite (1,029, al momento). Forse per gli screenshot, ma mi sembra comunque strano perché al tempo non modificavo il parametro Alt="" delle immagini.
Però mi fa piacere. Si tratta comunque di un bel film, un bel tema. Se può sensibilizzare un po' di persone, tanto meglio.

Il post più popolare
Senza dubbio il rant su Manga e Anime. A Gamberetta era parsa una trollata in un primo momento, ma si trattava per metà di denuncia e per metà di sfogo anti-nipponico. Il grosso delle visite però (15.660 al momento) viene da un'immagine mangosa simil-erotica che avevo cercato random e messo a fine post. Quasi ogni giorno mi ha portato delle visite. Di recente devono averla tolta dal server. Sob.

Il post più controverso
Sicuramente quello della Marrone Giornata di San Valentino. E' troppo lungo e non mi va di rileggerlo. Ma per chi se lo fosse perso, è un flame nato sul forum di Fantasy Magazine, dove ero iscritto e di tanto in tanto attivo. Non ero polarizzato da alcuna parte e credevo davvero nella discussione costruttiva. Che scemo.
Mi ha fatto piacere, comunque, che in quella battaglia retorica (non richiesta) siano scesi in campo, al mio fianco, Gamberetta, Angra, il Duca, e altri, a fiammeggiante spada tratta, sia sul campo "nemico" (FM) che su quello amico (il mio blogghino), nelle retrovie o altrove.

Il post più utile
L'utilità di un post, in un blogghino di opinioni su narrativa, fantasy, musica e cinema, è relativa.
Su due piedi, rispolverando i vecchi post ho trovato una lettura estiva, questa, una piccola recensione sul Conte di Montecristo (+ un altro romanzo) e valutazioni sulla narrazione. Al Duca è piaciuto e a Gamberetta pure. Due ragioni più che valide per scegliere questo post.

Il post che non ha ricevuto l'attenzione che meritava
Senza andare troppo lontani, la carrellata cinematografica estiva. In realtà è anche un post utile. Utile a non scegliere film brutti e perdere ore preziose della propria vita.

Il post più bello
Non è che ce ne sia uno più bello. A mio avviso un post affascinante potrebbe essere quello di "Chirurgia Narrativa". Mi sembra bello perché non è una serie di regole o indicazioni astratte su cosa fare o non fare, come in alcuni manuali di scrittura o post di blogger sulla scrittura (io per primo ne ho scritti diversi, ahimè) ma si tratta di pratica. Quello è il racconto, quella è la versione peggiore e quella la migliore. Il perché è lì ed è chiaro, non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.

Il post di cui vado più fiero
La recensione di Drag me to Hell. Ed è anche uno dei post più letti (non troppo, in realtà: 527 al momento, contro le 638 delle impressioni di Black clouds & Silver linings dei Dream Theater, quest'ultimo letto da utenti coi controca...voli, che mi rendono orgoglioso). La recensione a quanto pare è divertente, soprattutto perché il film stesso è nonsense. E non dite che Raimi voleva far ridere, ché non ci crede nessuno.

Come ha fatto notare Gherardo, in pratica ora è il momento del cetriolo. Dato che il network di blogger è sempre quello, mi avvalgo del diritto di ridondanza. Quelli che linko qui, in teoria, sarebbero invitati a fare la stessa cosa che ho fatto io.
Orbene, il cetriolo lo infilo in...

-Zweilawyer [con tanta omo-libidine]
-Angra [sussurrando parole d'amore]
-il Duca [su un cuscino di velluto rosso]
- Il Sociopatico [di post ne hai tanti e sono pure fighi, dài, si può fare, prendi 'sto cetriolo]
-Okamis [hai ancora pochi post, ok, ma il momento in cui dovrai infilare il cetriolo arriverà]
-Simone [potrà esserti utile come sommario per le frotte di utenti novelli medici, a te il cetriolo]
-Gamberetta [in realtà non mi permetto; poso il cetriolo su un vassoio d'argento, lo do ai servitori del palazzo che te lo porteranno dopo averlo analizzato, dopodiché la decisione sull'utilizzo dell'ortaggio spetta a te]

Chi non è nella lista deve rallegrarsi. O gli voglio abbastanza bene da risparmiare loro questo supplizio, o non era opportuno (vedasi: blog privo di commenti, blog non aggiornato, blog con pochi post, blog privo di utenza, ecc...)


___
Note:
¹ Qualcosa che è buono per il fuoco dalle mie parti significa che non serve a nulla. Ora, non so se si usa anche in altre zone del sud Italia, ma mi pareva giusto condividere un cenno di antropologia culturale meridionale con voi.

martedì 20 settembre 2011

Impressioni | Abney Park, steampunk band

In cerca di ispirazione musicale steam, ho trovato questa (tra le incredibilmente tante) band come una specie di esponente del genere.
In effetti, apprendo dal web che solo dal 2006 la band decide di diventare un gruppo di Airship Pirates, virando quindi nella direzione della musica steampunk.
Ma come diavolo è la musica steampunk? Me lo chiedevo anch'io. La cosa che vi si avvicina di più, pensavo, è semplicemente l'opera o il folk. Gli Abney Park sfruttano tastiere ad archi e distorsione poco invadente - spesso in palm mute -, il vocalist (Capitan Robert Brown) si muove su toni bassi e voce rauca. In effetti, mi rendo conto che ha l'estensione di un'ocarina tascabile peruviana. Ma nell'atmosfera complessiva ci sta bene, soprattutto perché affiancato da un'altra voce femminile (Jody Ellen) di assai migliori abilità canore.
Non può esistere un rock steampunk in quanto tale, perché lo steampunk stesso è un po' un miscuglio di cose. Gli Abney Park sono un po' gothic, ma sfruttano sonorità folk - fisarmonica e chitarra su ritmi accentuati su secondo e quarto tempo, in stile quasi reggae - ed effetti industrial (o, più che industrial, electrorock). Non mancano anche i tempi marziali, che laddove c'è guerra stanno bene ovunque, diciamocelo.
Sonorità a parte, i brani sono tutti più che sufficienti, a mio avviso. Non spiccano per virtuosismi, anzi, non mi pare neanche di aver sentito alcun particolare assolo nei due album che ho ascoltato, Lost Horizons (2008), e The end of days (2010). Ci sono però alcuni pezzi che spiccano.
Ho gradito molto, per esempio, Letter Between a Little Boy & Himself as an Adult, (in The end of days). Quattro semplici accordi, Cm, G#, D#, G#, con relativi abbellimenti, di grande impatto. Certo, è quasi l'equivalente di Fly, di Einaudi, solo mezzo tono più basso, ma il brano è comunque bello.
Brani come Airship Pirates suonano azzeccati - un po' di chitarra distorta, archi fugaci, ritmo deciso, stile piratesco, assolo di violino, liriche adeguate -, e "legittimano" lo stile steampunk. Peccato che brani come questo non ce ne siano molti: una buona parte delle tracce richiama atmosfere etniche, sia per le melodie che per l'uso degli strumenti.
In alcuni brani, invece, come Victorian Vigilante, l'atmosfera è più quella degli anni '30 del '900, e anche in qualche altro brano. Ma, giustamente, si può considerare l'età vittoriana con limiti piuttosto sfumati e ampi, e tutto sommato non si può richiedere un eccessivo rispetto delle sonorità vittoriane e trascurare altre possibilità musicali (compreso Post-Apocalypse Punk, vero e proprio pezzo punk con relativi power chords ecc.).
Se si apprezza lo steampunk, il gotico, le atmosfere post apocalittiche e il rock privo di artifici tecnici, immagino che l'ascolto degli Abney Park potrà dilettare le ladies e i gentlemen.

venerdì 16 settembre 2011

Impressioni | A dramatic turn of events, dei Dream Theater

Come sempre, l'Internet delle meraviglie permette cose un tempo impensabili, come poter ascoltare in anteprima il nuovo album dei Dream Theater, A dramatic turn of events, giorni e giorni prima della sua uscita ufficiale.
Grazie a Internet ho ascoltato e riascoltato centinaia di volte - vabe', un po' meno - l'intero album.
Mi son detto: "Sicuramente gli svariati recensori faranno paragoni con album precedenti e avranno qualcosa da dire sul nuovo batterista."
L'ultima cosa che avrei voluto fare era proprio il paragone con album precedenti. Ma Thiago Campos, in questa nota di Facebook, ha spiegato come, dovendo fare la cover di On the backs of angels, abbia riscontrato similarità con Pull me under, e, in seguito, con l'intero album Images and words.
Ora, il bel giovane sopracitato ha praticamente fatto l'autopsia musicale di due brani dell'album mettendoli a confronto con Images and words. Trae le sue conclusioni [traduzione mia, pardon]:

Non ho idea del perché i DT abbiano fatto una cosa simile. Forse perché [Images and words] era l'album che li ha "formati", in un periodo in cui era un "o la va o la spacca" per la loro carriera, cosicché fosse un modello d'ispirazione. Forse perché esso rappresenta un nuovo inizio per la band con Mike Mangini, così come quando allora James LaBrie entrò nella band... Forse per celebrare i 20 anni dell'album che ha definito il sound dei DT? Forse hanno solo pensato che sarebbe stata una sfida divertente scrivere nuove canzoni su uno schema prestabilito, un po' come alcuni fan hanno fatto (me incluso) quando lanciarono la gara di composizione Stream of Consciousness nel 2002-2003. Comunque sia, li applaudo per aver avuto le palle di farlo e per il risultato complessivo che alla fine hanno ottenuto. So quanto sia difficile scrivere un brano basato del tutto su un arrangiamento prestabilito e farlo suonare conciso, genuino e ispirato. La tendenza generale è quella di avere un incasinato Frankenstein invece di musica (...)

Mi accodo al suo giudizio finale. Chissenefrega se gli schemi di alcuni brani corrispondono a quelli già usati - da loro stessi. Non stiamo parlando di un Ligabue qualsiasi che usa 4, 5 accordi in ordine sparso sullo stesso ritmo, con testi se non uguali nella forma almeno nella sostanza. E non si parla nemmeno di AC/DC che, per quanto pionieri del rock, non eccellono in originalità, coi loro 4/4 della morte e 2 o 4 accordi tra strofa e ritornello.
Oltretutto, gli album dei Dream Theater si richiamano l'un l'altro, e in ognuno si trova un elemento di originalità che li spinge comunque avanti - vedasi l'assurdo doppio pedale death in Nightmare to remember dello scorso album, o i cori in Bridges in the sky in A Dramatic.
Ancora una premessa - [ah, non aveva ancora cominciato? Dannato Taotor!] - : di solito nelle mie impressioni sugli album mi soffermo su ogni frammento del brano. L'ho fatto anche nell'impressione di Black clouds (i mitici fan dei DT sono persone sagaci, con tanta materia grigia: i commenti a quel post sono l'apice della civiltà, e solo un fan dei DT poteva correggere il Sol diesis che mi ero ricavato in Sol diesis minore: grazie di esistere, gente! Date onore al mio blog!).
In questa Impressione non mi soffermerò granché, perché il tal Thiago Campos l'ha già fatto, ed è uno che ne sa, non come me, strimpellatore e scrittoruncolo da strapazzo.

Veniamo a noi!
Non sarò oggettivo, lo dico già da adesso. I brani che preferisco sono:
Bridges in the sky, perché ha carattere, è uno di quei pezzi che, come il tossico gode nel momento precedente all'iniezione della dose, a me dà un brivido di contentezza appena ne leggo il titolo e vi faccio doppioclick. Bizzarro, per i DT, l'inizio col mantra tibetano e i cori - da qualche parte dicono "gregoriani", ma li definirei solo "cori con eco da chiesa" e basta. Certo, l'entrata della batteria e le prime note distorte del riff rimandano pesantemente a Laid to rest dei Lamb of God, ed è leggermente fastidioso, ma solo per chi conosce bene la canzone, immagino, o finché non ci fai l'abitudine. Il ritmo sincrono di grancassa e riff in palm-mute è coinvolgente. La strofa non mi piace granché, ma il ritornello è già meglio. Assai meglio. Ha tonalità che mi ricordano, tutt'al più, l'album Octavarium. Nel passaggio tra ritornello e strofa il doppio pedale mi fa godere, ma vabe', sono un nostalgico del power, che ci posso fare. SUBLIME il penultimo ritornello che precede gli assoli, "And at last the time has come /To unite again as one/To the power of the Earth/I'm calling / Crossing bridges in the sky/On a journey to renew my life" e da qui, il passaggio epico - non ci sono altri termini - che accompagnano l'ultimo verso, "Shaman take my hand". E via con le varie scale etniche e assoli assortiti.
Lost not forgotten ha un inizio di piano che non mi dice granché, fino all'entrata di chitarra e la magnifica pseudo cavalcata che accompagna la melodia (dico pseudo perché sebbene vi assomigli, non mi pare che sia una calvacata). Il ritmo si avvicina quasi a The Dance of eternity, quello della strofa funziona bene - o almeno a me sembra -, ottima la successiva tonalità più alta e il controcanto - che, paradossalmente, a mio avviso dà molto più valore alla criticata voce di LaBrie. Il ritornello è evocativo e rimane in testa, così come il riff senza vocals. Lo "stacco allegro" è una bella boccata d'aria fresca. Grandioso anche il momento pre-assoli - classico ormai di molti brani dei Dream Theater - e la cascata di melodie che segue. All'assolo esclusivo di Petrucci si può miracolosamente sentire un Myung che per tutti i brani non prova granché ad arrancare fuori dalla fossa in cui viene sepolto in quasi tutti i brani della band. Provate a seguire entrambe le mani del bassista nel video di On the backs of angels. Suona praticamente tutta la linea melodica della chitarra, scale assurde incluse, con la differenza che nessuno se ne accorge.
Outcry mi piace principalmente per l'armonia del ritornello, accordi e voce hanno un non so che di molto forte emotivamente. A 2:59 circa si può sentire il fade out e acquietamento generale che ricorda un po' Metropolis I, se uno ci fa caso. La tastiera synth è figa. Le tastiere permeano l'intero album, non solo come riempimento orchestrale generale, ma si ficcano in ogni buco possibile. Lo si poteva intuire già da On the backs of angels. In questo brano si può sentire un po' di più il basso del povero Myung.
Ottima l'ultima strofa, la tonalità medio-bassa di LaBrie - l'unica in cui eccelle -, l'arpeggio del piano e la batteria in un semplice 4/4. Le urla finali ricordano molto Prophets of war.

Subito dopo vengono:
Build me up, break me down. Ha un non so che di pop. Il riff è bello, ci mancherebbe. Ma anche qui apprezzo molto il ritornello, in cui trovo molto azzeccata la tonalità al distico "I crush and burn / I never learn". Molto bello il duetto sincrono di chitarra e tastiera (o chitarra overdubbed? Le tastiere di Rudess sono così simili alla chitarra da renderne ardua la distinzione).
Breaking all illusions non è tra le mie preferite. In realtà, per quanto abbia ottime sonorità, non mi cattura granché, soprattutto per colpa delle strofe. Gradisco moltissimo gli assoli (che qui sono numerosi) e le parti di tastiera, compresi quelli inseriti nello snippet. Ma avrà bisogno di numerosi ascolti, e sono sicuro che alla fine sgomiterà con le altre nella mia classifica. Le parti senza vocals valgono davvero tanto.

Sfuse ci sono:
On the backs of angels, ascoltata troppe volte per poterla trovare ancora interessante. I passaggi epici di Petrucci sono grandiosi, in questo album ha cercato davvero una grande epicità, devo dire. Ad ogni modo, il brano in sé non è migliore di altri dello stesso album, e merita di stare più in basso nella mia classifica personale.

Dubbie ho:
This is the life, che mi sembra un po' troppo ballad, un po' troppo lenta, noiosa. Ma non posso che esaltarmi alla chitarra pulita di Petrucci che segue la prima strofa, la tastiera di Rudess che col suo synth ci sta sempre bene. LaBrie smielato su suoni da su-gli-accendini-e-abbracciamo-la-nostra-ragazza-da-dietro-mentre-dondoliamo-osservando-la-band-suonare-sul-palco non mi va molto giù. Ad ogni modo, del brano apprezzo indicibilmente l'assolo di Petrucci. Il resto... mah.

Mi fa cagare:
Far from heaven. L'inizio ha gli stessi accordi di Domani, degli artisti uniti per l'Abruzzo, C, F6, C, Am. Ma almeno quest'ultima è carina.

Enigmatica:
Beneath the surface. L'arpeggio non è male, ma complessivamente mi ricorda molto quel tipo di smielaggine "sbagliata", come ho sopra descritto. Il LaBrie che canta sommesso va molto bene. Il ritornello guadagna molti punti. Ma nel complesso non è un brano che mi va di ascoltare. Ma è mitico, sublime il cambio di tonalità dopo la seconda strofa: quattro accordi G#, A, E B, suonati da archi, batteria dolce, bellissimo assolo di synth di Rudess, e poi i versi assai pittoreschi: "I would scream just to be heard / as if yelling at the stars / I was bleeding just to feel // You would never say a word / Kept me reaching in the dark / Always something to conceal".
Questo brano mi piace esclusivamente per quest'ultima parte.

Ho letto qualche recensione che addirittura criticava l'operato di Mangini, come qui (Metalitalia):
Il nuovo entrato Mike Mangini dietro le pelli ha tutti gli occhi addosso, ma sembra fare il possibile per nascondersi con un drumming affidabile eppur impersonale
Be', è una cosa stupida. Mangini non ha contribuito alla composizione dell'album. Si potrebbe criticare l'esecuzione nei brani, ma anche questo sarebbe da stupidi. Non è chicchessia, la sua esecuzione non può che essere ottima - io di batteria non me ne intendo, ma, diamine, in studio che ci vuole a provare e riprovare finché non esce bene? - e, oltretutto, cosa può esserci di "personale"? Non ha scritto alcuna parte di alcun brano!
Sempre su Metalitalia ho letto:
"mentre con i lenti “This Is The Life” e “Far From Heaven” i Dream Theater vanno sul sicuro, dimostrando di essere ancora in grado di emozionare con melodie ad effetto ed il cantato leggero di un LaBrie ormai sempre più votato alle tonalità medio-basse"
Vada per This is the life, ma Far from heaven. Mah!
Ho letto qualche altro parere altrove, ma diciamo che alla fine si tratta di gusti, condivisibili o meno. Per questo motivo ho preferito dire la mia, ma in maniera soggettiva, senza alcun pretesto di oggettività. E con un tale ritardo - l'album è sul web da più di dieci giorni, forse due settimane.
Dite la vostra, se vi va!

martedì 2 agosto 2011

Impressioni | Stand up and fight, Turisas (2011)


Parlai dei Turisas qui, due anni fa.
Dissi che di quell'album apprezzavo solo la metà delle tracce.
Non posso dire altrettanto per quest'ultimo lavoro.
I toni sono epici, più epici del precedente.
L'apertura con la prima traccia, The march of the Varangian Guard, trionfale, è indicativa del livello di epicità e di aggressività dell'album - e dello stile della band. Fiati, archi e cori in tonalità da kolossal. Non mancano gli assoli, non banali virtuosismi; si riprende il tema principale, lo si arricchisce di scale quanto basta per ritornare nell'abbraccio dell'orchestra.
Il secondo brano, Take the day!, a mio avviso è un gradino più in basso: motivetto tormentone, ben sviluppato. La voce di Mathias "Warlord" Nygård è profonda, pulita, sa essere dolce e aggressiva col growl.
La terza traccia, Hunting Pirates, è allegra canzone piratesca, si avvale di cornamuse, fisarmonica o organetto, e allenta il tono epico per avvicinarsi di più allo stile degli Alestorm - la voce rauca e gracchiante accentua la cosa.
La quarta traccia, βένετοι! - πράσινοι!, per i profani Venetoi! - Prasinoi!, è frenetica, un po' per i toni e un po' per i contenuti. I Veneti e i Prasinoi erano gruppi circensi diffusi nelle città bizantine. Per ulteriori informazioni, procuratevi un libro di storia o date un'occhiata qui. I contenuti dei brani dei Turisas non sono fantasy, e non sono nemmeno "banalmente" folk. Si parla di Bisanzio, di Costantinopoli, di Mediterraneo: non dèi norreni kickass in stile Amon Amarth.
Il quinto brano, Stand up and fight, title track, non si discosta dagli altri. Epico, vario nonostante la ripetizione del tema centrale.
Allo stesso modo la sesta traccia, The great escape, con un riff accattivante.
Fear the fear, numero sette, la vedrei bene in qualche film storico ambientato nell'alto medioevo, o in tarda età romana; ritornello suggestivo.
End of an empire, ottavo brano, è incredibilmente vario nonostante non perda di vista il tema centrale, ritmo incalzante, lento intermezzo di piano, arpeggio rapido sopra a cavalcate distorte, cori e archi, ed ecco che l'acme dell'epicità si raggiunge col ritornello, un coro seguito da un growl piuttosto sentito. Come nel precedente album, anche questa traccia termina col "Gran Finale".
Incredibilmente toccante ed evocativa l'ultima traccia, The Bosphorus freezes over: un delicato inizio di archi, assomiglia quasi all'Overture 1812 di Tchaikovsky, ma prosegue (coerentemente) coi toni epici che caratterizzano l'album, in questo brano i cori sono prettamente maschili, avvicinandosi quasi (quasi) al canto gregoriano. Incantevole, davvero, il tema centrale che riprende il brano precedente. In tutto ciò non mancano le chitarre distorte.
Due bonus track chiudono effettivamente l'album.
Una è Broadsword. Ritmo stabile, lento, ripetitivo, militare. Assolo misurato ed efficace (ottimi botta e risposta con la tastiera).
L'altra è Supernaut, completamente diversa dal resto dei brani. Un brano rock, una voce hard rock e un ritornello allegro. Potrebbe ricordare vagamente un Enter Sandman, l'assolo simil-Slash, a un tratto si sente addirittura il motivetto di Ghostbusters.

Per concludere.
Ritengo che, attualmente, i Turisas siano l'unica band che riesce a coniugare senza alcuna dissonanza il metal, l'epicità e le melodie orchestrali, senza cadere nel "già sentito" del folk né nella tamarragine hollywoodiana dei Rhapsody of fire (a cui va tutto il mio rispetto, ma sarebbe come paragonare A song of Ice and Fire a Dragonlance.). I testi sono assai belli, e per i metalloni estimatori delle civiltà antiche, della tarda Repubblica romana, delle invasioni barbariche e di tutta quella roba, credo che Stand up and fight possa rappresentare una pietanza succulenta.

martedì 15 settembre 2009

Impressioni | Muse - The Resistance


Appena uscito, il nuovo album dei Muse è scaricabile da Internet (link megaupload, password "worldofdream.org"). Oltre al mio parere e quello di altri (che qui vi linkerò), prima di tutto, fatevi un'idea personale: le recensioni hanno la brutta abitudine di creare pregiudizi.

Ci si aspettava molto, da questo album. Prima di tutto ci si domandava quali sarebbero state le innovazioni; inoltre, si incrociavano le braccia e si voleva valutare il nuovo album, se all'altezza dei precedenti o no. Comincio a credere che sia un luogo comune piuttosto amato, quello del "Non sono più i [band vattelapesca] dell'album [primo o secondo album dei vattelapesca]".
1. Uprising. Un brano prettamente "musiano": innovazioni, qui, non mi pare di trovarne. Come molte tracce dei Muse, può sembrare a un primo ascolto non-rock, più simile a una canzone techno o electro-rock. Questo temo sia dovuto alle distorsioni e agli effetti del basso, ma prima di tutto agli effetti delle tastiere/synth. Un brano che non toglie né aggiunge niente alla produzione del gruppo. Piacevole, ma non superbo o notevole - non più di tanto.
2. Resistance. Un'apertura ad atmosfera, molto spacerock, un po' pink floyd, un po' semplice effetto (d'atmosfera, appunto) di tastiera. Entra quindi il piano, accompagnato da una cavalcata sul timpano e sul secondo tom (ringrazio Giovanni per la precisazione batteristica), parte la strofa, abbastanza sofferta, struggente, come molti brani dei Muse - sì, alcuni li disprezzano proprio per la "lagna" di Bellamy, una volta anche io lo pensavo, ma poi si impara ad apprezzare certe cose -, quindi, dopo la strofa, il ritornello, nei cui versi si alternano la voce di Bellamy e i cori. Verso l'ultima parte del brano, si ha una variazione nella melodia, e poi la fine.
3. Undisclosed desires. Si apre con un ritmo piuttosto R'n'B, con il "riff" di archi (tastiere con l'effetto?). Il testo è molto bello, ottimo da dedicare a una ragazza. Il ritornello è incantevole, con la voce di Bellamy accompagnata dai cori. Il basso si fa sentire, un basso violento, la corda che colpisce sul manico emettendo rumori metallici.
4. United States of Eurasia. Inizia molto adagio. La sequenza di note al piano, nell'introduzione, è la seguente: Re# - Re - Do# - Do - Si - Fa - Fa#. Notate i diesis? Bene, teneteli a mente. Col piano, parte la strofa, poi interviene la batteria che dà il tempo sul piatto, un po' di basso, archi, e poi c'è un attacco in sfacciato stile Queen. Dopodiché, parte una scala orientale. In questa recensione, l'autore la chiama scala araba. In effetti lo è. Ma a me sembrava riduttivo. Ho cercato per venti minuti una scala che si avvicinasse a questa. E la scelta finale è caduta su due: la scala bizantina e quella ebraica. Nessuna delle due mi soddisfaceva. La soluzione, però, è semplice. Ricordate la sequenza iniziale? Ecco: il tono "orientaleggiante" della scala è dato semplicemente dall'alternanza di note naturali con note alterate, vale a dire: se la scala di Do parte col Do e fa Do-Re-Mi-Fa..., provando a "corromperla" con note alternate a diesis, otterremmo una melodia dal gusto esotico, provando per esempio a eseguire Do-Do#-Fa-Fa#-La-Si.
Ci tengo, a fare questa precisazione, perché in un'altra recensione (piuttosto distruttiva), l'autore, Zago, sostiene che quella scala sia una specie di plagio del Bolero di Ravel (ma, precisiamo, lui non ha assolutamente parlato di plagio, questo lo dico io, perché il senso è quello: i Muse, a suo dire, hanno attinto da lì). Senza dubbio l'influenza - tributo? - dei Queen c'è, è innegabile. Ma da qui a definire kitsch i Muse per un presunto plagio, ce ne vuole. Basta un orecchio anche distratto per capire che non esiste alcun Bolero, in United States of Eurasia. Una vaga somiglianza, sì. Ma è normale: le melodie classiche sono piene di scale (le mie preferite sono quelle del Kyrie Eleison nel Requiem di Mozart, in più tonalità... sublimi), per cui è probabile che possano assomigliarsi. Molto vagamente.
La canzone si chiude col Notturno di Chopin. Il motivo? Non so se ce n'è uno: io credo però che la melodia sia collegata con l'Overture di Exogenesis e con Redemption, della stessa. Una questione di affinità musicale. Non so se si siano ispirati a Chopin o se si siano accorti dopo che le melodie si assomigliassero.
5. Guiding light. Un brano dolce, lento e solenne. Notevole per la scelta dell'atmosfera creata. Come sappiamo, i Muse sfruttano effetti pesanti sugli strumenti (al punto che non sarebbe totalmente errato, a mio modesto avviso, riflettere su possibili influenze Shoegaze) per ovviare alla mancanza di altri membri nella band, e per riempire appunto il "buco" sonoro.
Vorrei poter dire di più, sulla canzone. Ma non c'è granché da dire, almeno da parte mia. Probabilmente c'è chi l'apprezza molto più di me, e qui subentra una questione di gusti - e non mi esprimo ulteriormente.
6. Unnatural selection. Sarò franco, l'inizio mi fa cadere le balle. Dico: a me, sia chiaro. Anzi, mi ricorda un po' l'inizio di Cara ti amo, degli Elio e le storie tese. Comunque, dopo l'intro, arriva un riff che ricorda dannatamente il riff in Re basso, distorto, di New born. La variazione che si ha al ritornello mi piace, molto. Poi la strofa non mi piace proprio. Cioè, non mi attira, non mi fa venir voglia di ascoltare con esaltazione la canzone - e ascoltarla solo per sentire qualche secondo di ritornello non valorizza l'intero brano, almeno per me. A metà canzone si ha un cambio di tempo, più lento, con tastiere a organo in sottofondo, con una specie di assolo straziante. Sì, diciamocelo. Sarà un effetto ricercato, ma insomma... Qui mi sento di citare la recensione sopralinkata, di Zago (sembra quasi che ce l'abbia con lui, ma, lo giuro!, non è così) da soundsblog.it:
il fatto che un talento chitarristico come quello che ha Matt venga totalmente messo in secondo piano, fa un po’ storcere il naso.
Quale talento? Dov'è il talento chitarristico di Matt? Dove l'hanno messo? Chi l'ha nascosto? Io non lo trovo.
Non ha alcun talento chitarristico, ecco cosa. Lo giudico un vocalista assai virtuoso, ma mai lo reputerei un chitarrista talentuoso. È un chitarrista medio-basso, oserei dire. Non ci sono assoli nelle canzoni dei Muse, o meglio, a volte ci sono, riprendono il tema principale della voce, lo modificano un po', ma nulla di che, roba che riuscirebbe a suonare un ragazzino dopo due mesi di lezioni di chitarra su youtube. E anche i riff. Sì, talvolta sono frenetici e accattivanti, ma (tecnicamente) lontani miglia e miglia da riff come - faccio un esempio banale - quello in Laid to rest dei Lamb of God - che, per quanto fattibile, richiede più precisione, attenzione e velocità, rispetto ai classici riff dei Muse.
Con questo non intendo svilire la qualità dei riff o delle melodie dei Muse. Ricordo l'eventuale lettore disattento che si parlava di tecnica e talento, non di piacevolezza e qualità.
7. MK ultra. Un riff di sintetizzatore, qualche pennata sugli accordi. La cosa che apprezzo, di questa canzone, è la voce, i suoi picchi, che sopraeleva di poco il brano rispetto all'insufficienza netta che gli darei. No, a me non piace. Non ci vedo molto di attraente. Anche qui sembra di risentire il riff di New Born.
8. I belong to you/Mon coeur s'ouvre a toi. Questa canzone mi è così insignificante che trovo difficile anche descriverla. Ripetitiva. Solito riff di piano, solita melodia. Poi si apre in una specie di canzonetta francese in stile II Guerra Mondiale. Continua com'era iniziata, con l'aggiunta di un'orchestra (veramente io sento solo qualche arco). Si aggiunge, verso la fine, anche un sax. Macché, quest'atmosfera pseudo-jazz e pseudo-lounge non m'attira proprio. Insignificante, a mio avviso. Il brano peggiore. La parte migliore sapete qual è? La fine: una liberazione.
9. Exogenesis: Symphony pt 1: Overture. È un pezzo orchestrale, in teoria. L'idea "originale" dovrebbe basarsi sull'accostamento orchestra-sintetizzatore e strumentazione rock. Premettiamo: non è un'idea originale. E l'accostamento non è neanche così strabiliante. È un ottimo pezzo, uno dei migliori dell'album. Sopravvalutato dai più, però.
Non si può descrivere un brano orchestrato. Almeno, io non sono in grado. Vi basti sapere che dopo un inizio strumentale arriva la voce acuta di Bellamy, che non pecca di una virgola, e si inserisce a meraviglia nel complesso. Poi subentra l'anima rock. Un'anima pacata, in realtà. Si passa quindi alla seconda parte.
10. Exogenesis: Symphony pt 2: Cross-Pollination. Si tratta di uno sviluppo dell'introduzione al piano, che apre il brano. Da ascoltare, sì. Ma non si impone, come traccia. E non fa la differenza. Si dimentica in fretta.
11. Exogenesis: Symphony pt 3: Redemption. Il brano si apre con una melodia al piano, un arpeggio tenue in Sol (che assomiglia al Notturno di Chopin, ecco). Poi arrivano gli archi. E si inseriscono in questa melodia sommessa, tranquilla, riflessiva. Ha picchi struggenti, altri di ripresa. A metà entra la batteria e comincia così la parte "rock", in realtà molto leggera. Questa parte dominata del tutto - oltre che dall'orchestra - dalla voce di Bellamy.
Questo è il miglior brano dell'album. Non ho alcun dubbio a riguardo. Da ascoltare e godere.

Un pensiero generale riguardo a tutto l'album.
No, non c'è nessun brano che spicchi in maniera definitiva - eccettuato Redemption. Ricordo la prima volta che ascoltai New Born. Continuai ad ascoltarla più e più volte. È uno di quegli arpeggi che ti catturano appena li senti per la prima volta. Come quello in Fa di Stairway to heaven dei Led Zeppelin. C'è qualcosa, in quell'arpeggio, una specie di arpeggio stregato: chi lo sente per la prima volta pensa due cose: "è bellissimo", e "mi suona familiare..."
Personalmente, di quest'album ascolto spesso Undisclosed desires, United States of Eurasia, Resistance, e Uprising no perché mi capita sempre di ascoltarla in macchina alla radio - mi verrà la nausea, ci scometto! Infine Exogenesis.
Una cosa è certa. Come molte canzoni... come molte canzoni dei Muse, anche... ci rendiamo conto solo dopo, di quanto ci piace questo o quel brano. Quindi, sarebbe saggio ascoltare e riascoltare più volte questo album, prima di poter esprimere un parere definitivo.
Un album da buttare? Un album fallimentare? Cazzate. Non è all'altezza degli album precedenti? Macché. Di Showbiz a me piace solo Unintended e, vagamente, Muscle Museum. Quindi, facendo il calcolo, sono più le canzoni del nuovo album, a piacermi, rispetto a quello d'esordio - tanto apprezzato da taluni.
Giudizio? Positivo. Si poteva fare di meglio, sì, ma non è per nulla deludente.
Vedremo cosa accadrà in futuro.

Per sentire le altre campane:
Recensione positiva: Lupin4th.blogspot.com
Recensione negativa: soundsblog.it

venerdì 24 luglio 2009

Impressioni | The Varangian way – Turisas


Il primo brano è To Holmgard and beyond. È un brano potente. Ha un tono epico – enfatizzato dalle trombe e dai cori – e duro, grazie al doppio pedale ben dosato della batteria. La strofa è piuttosto tranquilla, e la voce è pulita. Ciò che personalmente ritengo assai apprezzabile è appunto (oltre alle melodie) la voce, che nei suoi toni più epici si alza fino a diventare rauca: non growl né falsetto né urlo alla Hansi Kursh. Un urlo rauco ma che mantiene la nota, per così dire.

Il secondo brano, A portage to the unknown, si apre in maniera piuttosto folk. I cori che seguono – evocativi, da veri “uomini del nord” -- sono ciò che più mi piace di questo gruppo. Anche qui il refrain è tranquillo, doppio pedale martellante, e c'è del growl. L' “orchestra” è una componente fissa in tutti i brani. Questo brano, però, è qualche gradino più in basso del precedente.

Cursed by iron è il terzo brano. È più duro degli altri, è più metal e meno folk – eccetto nella strofa. Non mi è piaciuto più di tanto. Ancora più in basso del precedente.

Il quarto è Fields of gold. Oramai gli elementi che compongono i precedenti brani, dapprima in modo indipendente, per brano, ora si ritrovano pressoché in ogni altra traccia. In questa c'è l'orchestra, il growl, un uso alternato del palm-muting... In questo, come negli altri brani, c'è un intermezzo, per così dire, strumentale. Questi intermezzi, pur mantenendo gli accordi base del brano cui appartengono, vi si discostano leggermente, variando. Questo merita un punto a favore.

In the court of Jarisleif è il quinto brano, e mi fa domandare a quale popolazione nordica si rifà il gruppo. Perché questo brano ha una melodia incredibilmente giudaico-gitana. Non male, ma parlando di saghe nordiche, a mio avviso stona un po'.

Il sesto brano è Five hundred and one. Si apre col pianoforte che esegue una melodia rotta subito dopo dal growl, l'orchestra e gli accordi distorti. Dopo due minuti il ritmo si fa cavalcante. Poi varia, e si apre un intermezzo ameno di archi e voce. Il testo è molto bello. Evocativo, come i cori prima citati, che dopo questo intermezzo si ripropongono. L'orchestra si affianca agli accordi in distorsione per tutto l'album.

Il settimo brano è The Dnieper rapids. Si apre con le trombe e procede con le chitarre elettriche. In questo brano c'è un'aggiunta: cori femminili. Un breve assolo – in effetti, non ci sono veri e propri assoli, in questo album e, se rifletto bene su ogni brano, mi pare che non ce ne siano proprio. Per il resto, il brano non aggiunge nient'altro né si distingue per qualcosa. A mio parere, si può premere il pulsante Avanti, e ascoltare il piccolo capolavoro dell'album.

Miklagard Overture, a mio avviso il miglior brano dell'album. Se tutte le tracce non piacciono, questa, da sola, credo sia in grado di risollevarlo del tutto ed elevarlo ai massimi livelli di epicità.

Perché di questo si parla. Di cultura norrena, pagana, eroi e divinità.

Il brano si apre con sei note di tromba accompagnate da accordi di chitarre distorte e altre trombe su toni più alti: sembra di entrare con l'esercito in un castello medievale che ti acclama. Subito dopo questa introduzione trionfale, la strofa si svolge su un arpeggio in acustico e una voce pulitissima. Il ritornello passa al growl e alla distorsione, e pochi secondi dopo la voce torna pulita. Quindi si riprende col tema principale di Miklagard, la voce torna growl.

In palm-muting si svolge la seconda strofa. Quindi di nuovo il ritornello, in growl, orchestra e distorsione. La batteria si fa martellante nei momenti giusti. Il ritornello si ripete ancora, e ora il tema di Miklagard si insinua nella testa e non esce più. Dopo il ritornello, la melodia viene ripresa in assolo da trombe in tonalità basse – la base di accordi distorti è una costante, inutile ripeterlo, credo –, e dopo entrano in contrasto trombe in tonalità alta. Quindi in seguito entrano anche dei cori. Quindi dopo 5 minuti e 12 secondi, tutto cambia, ritmo e melodia, per un intermezzo propriamente progressive. Per meno di un minuto. Poi torna l'arpeggio, il testo magnifico, la voce pulitissima e modulata. Il cantante non ha niente da invidiare a nessuno. Si ripropone quindi il ritornello.

E il brano si chiude col tema principale cantato dal coro, e termina con un “gran finale”.

Su otto brani, ne ho apprezzati la metà. La qualità di questo gruppo è quella di saper accostare il suono delle trombe trionfali con melodie epiche; la voce del cantante, che sa essere pulita, cantare rauca, e diventare growl nei momenti giusti. Non sempre è così: nei brani che non mi convincono, come The Dnieper rapids, c'è solo growl (e cori). E questo mi sembra un po' monotono, e non sarebbe neanche tanto diverso dalle centinaia di band black-pagan/folk/celtic metal.

Perlomeno, la varietà di orchestra, cori, trombe, voce pulita e growl, contribuiscono a un gradevole ascolto; melodie interessanti ed esaltanti. Non è un gruppo pesante o monotono.

Da ascoltare se si apprezza il black insieme al pagan (e derivati).


Link utili:
Un incredibile video di Miklagard Overture, live al Nummirock 2008.

venerdì 22 maggio 2009

Impressioni - Black Clouds & Silver Linings

Black Clouds & Silver Linings è l'ultimo album dei Dream Theater, ed esce il 23 giugno in anteprima mondiale.
Tuttavia, dopo l'uscita del singolo estratto dall'album, A rite of passage, su internet circolava, oltre al singolo, un altro brano, A nightmare to remember.
Come si spiega? Personalmente, dubito che un hacker sia riuscito a entrare nell'hard disk dei Dream Theater per rubare due canzoni. Ritengo probabile che i DT stessi abbiano rilasciato online, da finti pirati, la traccia extra. Magari per sapere le impressioni del pubblico.
Tuttavia, da qualche giorno si trova online l'intero album. A un mese prima dall'uscita. Allora mi dico: è probabile che i DT abbiano rilasciato l'intero album per avere dei pareri completi, sapendo che i fan compreranno comunque il loro album, e che comunque i loro fan li seguiranno a migliaia nei concerti che organizzeranno. Ergo: da questo episodio, da questa fuga di album, loro non ci perdono niente.
Io ho ascoltato l'album (comprerò non il cd, ma l'edizione speciale) e ho voluto scriverne le mie impressioni.

La prima canzone, A nightmare to remember, è ispirata a un incidente d'auto che Petrucci ha avuto da giovane.
Si sentono già dall'inizio le tastiere (dalla massiccia presenza per tutto il cd) di Rudess con effetti da film horror. Si ha quindi un riff duro in palm muting per la prima strofa, segue un breve assolo con l'effetto wah, ricorre quindi il tema principale, per così dire, e si sente il suono di una frenata e uno schianto. Si ha una parte acustica, un arpeggio, che poi diventa il riff per la strofa successiva, quindi si ha una "svolta" nella melodia, un ritornello, torna il riff arpeggiato ma questa volta con distorsione. Torna la voce di LaBrie, il riff continua in palm-muting. Dopo il ritornello, c'è un assolo di Rudess affiancato da uno di Petrucci. Abbastanza "banali", entrambi: con certi capolavori alle spalle, come Scenes from a memory, possiamo definirli tali. Dopo il turno di Petrucci torna Rudess con un assolo di continuum. Piccola nota: in questo album l'uso del continuum è maggiore rispetto a tutti gli altri, a mio avviso.
Dopo questo "stacco" strumentale di assoli, interviene un doppio pedale frenetico e la voce di Portnoy (affiancata da Petrucci o Labrie, o forse affiancata da una seconda voce di Portnoy, semplicemente overdubbata). La voce in questione è dura: non è un growl, ma l'atmosfera gothic, il doppio pedale "black", e il tono incavolato di Portnoy colora di nero questo album - che, in effetti, è stato definito piuttosto Gothic, dalla band. Dopo un altro ritornello, si ha il riff di chitarra e continuum e la canzone termina.
Mentre la distorsione va quasi in feedback verso la dissolvenza, si ha il secondo brano, A rite of passage (brano che non ha nulla a che vedere con le esperienze dei membri della band, ma tratta genericamente della massoneria), che invece comincia con quella distorsione in crescendo. Parte un riff dal gusto orientale, e per il resto della canzone si ha una normale successione di strofa-ritornello, il ritornello scandito dai cori Portnoy-LaBrie. Verso i 5 minuti c'è la classica "svolta" che i Dream Theater sfruttano in molte delle canzoni relativamente lunghe (in effetti questa dura "solo" 8.31 minuti, 5 minuti circa nella versione per le radio e le tv.) Anche per A rite of passage, gli assoli sono notevoli ma non particolarmente epici. Personalmente, apprezzo la potenza dei cori nel ritornello e della melodia stessa. Ma la canzone può "passare" come un brano da svago. È ben lontano dai brani di gran lunga più impegnativi dei Dream, e anche da quelli semplici ma toccanti.
Il terzo brano, Wither, scritta da Petrucci, tratta del blocco dello scrittore (una sensazione familiare... :D). Si apre con un breve arpeggio che, personalmente, ricorda molto One dei Metallica. Dopo 10 secondi entra LaBrie. La canzone è lenta, sentimentale, classico schema strofa-ritornello. Anche questa traccia non può rappresentare l'essenza dei Dream Theater. Essenzialmente, credo che sia perché riprende sonorità già sentite. Sonorità marcate Dream Theater. Quindi, si potrebbe asserire di buon grado che è un'ottima canzone Dream Theater, ma non ha nessun particolare elemento che la renda indimenticabile, per così dire. Rich Wilson la paragona a Vacant. Vacant è assai più triste di Wither: non so cos'abbia in mente costui. Ma da un certo punto di vista, il paragone è azzeccato. Nessuno si filava Vacant, forse una delle canzoni più "insulse" di Train of Thought. E nessuno si filerà Wither, forse? Scherzi a parte, il brano passa così come viene: ha una melodia facile da ricordare, rispetto alle variazioni degli altri brani, che ti confondono in un primo momento. Tuttavia, non aggiunge gran prestigio all'album.
In un crescendo parte The Shattered Fortress, quatro brano, ultimo capitolo della twelve-step-suite di Portnoy, ovvero la suite degli Alcolisti Anonimi, ideata da Portnoy ispirandosi alla sua esperienza personale (da cui ne è uscito nella miglior maniera, e con un tatuaggio sulla mano: un triangolo racchiuso in un cerchio: Stay sober!). Il brano parte con una melodia quasi familiare suonata da tastiere, chitarra e basso (credo anche il basso: il povero Myung è sempre in disparte, e suona uno strumento che di sicuro non è noto per spiccare, letteralmente, nelle band rock... Eccetto Primus e compari.) Questa melodia è familiare, e s'intuisce a cosa rimanda... a 1.38 si sente il tema di This dying soul, e all'improvviso (1.52) cambia e si sente il riff di chitarra della parte finale di The Glass Prison, quindi il riff varia in una melodia che riterrei ex-novo, per poi riprendere il riff di The Glass Prison (d'ora in poi: "TGP"), con aggiunte dark, "tastiere-horror" del malvagio Rudess, verso 3.30 circa parte il riff iniziale di The Root of all evil (d'ora in poi: "TROAL"). A questo punto sembra di ascoltare un vero e proprio medley, in cui cambia solo il testo dei brani (ma non sempre, temo!). A 4.56 circa parte Repentance con lo stesso testo. Quindi a 5.23 parte la melodia iniziale di This dying soul (d'ora in poi: "TDS"), che dopo due secondi si trasforma in un riff ex-novo. Segue assolo di Rudess. La canzone, ora si capisce che è potente. A 6.09 cambia tempo e riff, e si capisce che il brano è proprio forte, da headbanging, altroché! A 6.55 si placa tutto e comincia un arpeggio acustico, una voce distorta parla, quindi LaBrie attacca con dei versi di TDS, "It's time to take that step into the kingdom"; quindi la melodia si trasforma, diventa la parte finale di TROAL, cui segue un assolo di Petrucci, in linea con la melodia, che si mantiene sempre sul dark, e su duri toni metal. Si ha poi un'altra melodia ex-novo, e a questo punto non si capisce se sei tu a non riconoscere un altro richiamo alle canzoni precedenti o se invece si tratta di una melodia nuova. A 11.43, a un minuto dalla fine, si può sentire la parte iniziale di TGP, che conclude la canzone. O meglio, effettivamente, a pochi secondi dalla fine, c'è qualche accenno di TROAL.
Il brano è a mio parere molto potente: impossibile arrestarsi, una volta partito, si deve ascoltare con tutto l'impeto che porta. Può essere definito un "misero" medley: a mio avviso, è un'ottima canzone punto e basta.
Abbiamo poi una drammatica quinta traccia, The best of times, scritta in onore del padre di Mike, Howard Portnoy, morto di cancro il 4 gennaio di quest'anno. Il brano inizia con le note di un piano, accompagnato poi da un triste "violino", e poi ancora da un lento assolo di chitarra in acustico. A quasi tre minuti si sente un'assai frenetica (e allegra) melodia di chitarra elettrica in crescendo. A 3.54 LaBrie inizia a cantare. L'inizio può avere un gusto di Hollow Years, ma la canzone si evolve in maniera diversa. Il tema principale di The best of times viene spesso reso dalle tastiere, in "orchestrato". Il brano però si mantiene abbastanza lento, con note suonate da pennate "da spiaggia" sulla chitarra in acustico. Verso i 10 minuti, Petrucci suona il tema principale della canzone in assolo, con qualche variazione, scale, sweep, e mi ricorda molto - nello schema in cui si svolge - The ministry of lost souls, in cui, nella parte finale, il tema veniva riproposto con tonalità leggermente diverse fino alla fine, occupando alcuni minuti. Idem qui.
Ahimè, anche The best of times può passare così come viene. Con tutto il rispetto verso Portnoy, forse questa è la canzone che meno mi ha "ispirato", di tutto l'album.
L'ultima, la sesta traccia, è The count of Tuscany, scritta da Petrucci, riguardo a una sua esperienza personale. A suo dire, un conte che lo aveva terrorizzato mentre visitava la Toscana.
Il brano inizia con un arpeggio e con un assolo di Petrucci. Dopo l'intro, l'arpeggio varia, entra l'orchestra di Rudess, e la batteria di Portnoy, che come sempre tiene il tempo seguendo e "battendo" fedelmente sulle note di Petrucci e Rudess, come se Mike stesso suonasse le note senza musica ma con le bacchette. Una serie di assoli si svolge fino ai 3.30 circa, dopodiché l'atmosfera si fa più tesa. Il ritmo diventa più frenetico, la batteria va in controtempo, l'atmosfera è oscura, parte la strofa e poi un ritornello:
I wanna stay alive
Everything about this place
Just doesn't feel right
Ha inizio quindi una parte strumentale. Ricomincia la strofa, e l'atmosfera è oscura, e questo Conte della Toscana mi ricorda molto Dracula. Quindi la parte strumentale si srotola fino a 10.20 circa, in cui si ha un svolta con un assolo lento di Petrucci, quindi tutto si ferma, e Rudess ci regala un momento di paradiso con un assolo di continuum con echo e sottofondo di tastiere, simile a Octavarium, ma ancora più leggero. Si interrompe, e qui c'è la parte che probabilmente amo di più, di tutto il disco. Semplici pennate su chitarra acustica, quattro accordi, Sol#m, Si, Fa#, Mi. Quindi LaBrie canta: "Could this be the end?/Is this the way I die?/Sitting here alone?/No one by my side/I don't understand/I don't feel I deserve this/What did I do wrong?/I just don't understand". Gli accordi vanno poi in distorsione, entra la batteria, e il brano è ormai in apoteosi. Si conclude con la voce di LaBrie in eco e in dissolvenza, per poi lasciare spazio alle cicale, alla notte.
Quest'ultimo brano a mio avviso è il migliore dell'album.
Molti fan dei Dream Theater già storcono il naso, sentendo le nuove tracce. Una cosa è certa: Black Clouds & Silver Linings ha un tono dark, gothic, che nessun altro album dei Dream Theater aveva. C'è un maggior uso del continuum, e una sperimentale tendenza all'uso di suoni black metal. Sicuramente non raggiunge vecchi capolavori della band, ma non è assolutamente da sottovalutare, anzi. È sperimentando, innovando, che si migliora. E a mio modesto avviso, i DT continuano su una linea giusta. Basta avere una mentalità più aperta per accogliere tutta la bellezza del nuovo album.

domenica 3 maggio 2009

Global Metal, un documentario sul Metal nelle varie culture del mondo


Questo è un documentario sul Metal inteso come cultura, stile di vita.
Quello sopra è solo la prima parte del documentario. Qui trovate le restanti 10 parti.
È molto più di uno stupido documentario. Alcune frasi sono molto importanti. Per esempio, in Brasile il Metal è arrivato, nell' '85, dopo la caduta della dittatura, insieme alla democrazia (Rock in Rio dell' '85 come viene mostrato nel film), e come tale è simbolo di libertà di espressione. E nei paesi arabi, portare i capelli lunghi e le magliette nere dei gruppi è anch'esso segno di libertà, dato che nei primi tempi venivano picchiati e arrestati, dato che il Metal era considerato come Anti-moralistico.
Invece è un mezzo che accomuna persone, ignorando politica e religione. Come dice un ragazzo, nel video, "i musulmani dovrebbero essere come me, lavoro, prego, ascolto musica".
Godetevi il documentario, se masticate un po' di inglese.

lunedì 12 gennaio 2009

Elvenking - Wyrd



Gruppo: Elvenking
Nazionalità: Italia
Pubblicazione: 19 aprile 2004
Durata: 57 min 38 sec
Tracce: 11
Genere: Power Metal/Folk Metal
Etichetta: AFM Records

Sito della band.
Sito per scaricare l'album (non l'ho uppato io, l'ho trovato qui)

Gli Elvenking sono una band italiana di folk-power metal. Simili ai rhapsody, ma più originali e leggermente meno epici - o meglio, diversamente epici. E non capite male. XD
Le melodie sono interessanti, originali, e varie. Per tutto l'album, però, suonano "simili". Ma, dopo tutto, sono pochi i gruppi che sanno essere sempre originali. Dopo tutto, però, anche le canzoni degli AC/DC sono tutte uguali, o anche quelle dei Mötorhead.
La batteria cambia spesso ritmo, e questo è una cosa che apprezzo molto: un brano può scocciare, alla lunga, per quanto bello possa essere. Le variazioni nel ritmo e nelle melodie, anche, fanno piacere molto di più i brani.
Le chitarre si accompagnano molto bene con la batteria. Una fa semplici accordi come "tappeto", e l'altra, se non l'accompagna, suona assoli, che dal punto di vista tecnico sono senza dubbio notevoli, ma non sempre: la qualità principale infatti è l'originalità delle melodie. E questo probabilmente è l'arma segreta del gruppo. Le melodie, belle da sentire.
Gli accordi sanno essere aggressivi, e anche la voce del cantante, Damnagoras, alta per il 90% dell'album, trova spazio in parti più oscure. Sono presentissimi anche i cori, tanto cari al power, e il doppio pedale, nei punti giusti, che appena entra fa saltare dalla felicità - il sottoscritto, poi non so voi. Molto belli sono anche gli interventi del violino.
Le canzoni dell'album sono tutte belle. Vale la pena citarne alcune che a me sono piaciute particolarmente.
Pathfinders, che dopo un'intro vivace e decisa, dopo 22 secondi offre già una variazione e la canzone si impone, con interruzioni e variazioni di melodia. C'è anche un pochino di growl da qualche parte.
Disappearing Sands, che presenta le caratteristiche sopracitate, con l'aggiunta di un ottimo ritornello - bella melodia coi cori e ottima scelta del ritmo.
Moonchariot, con una svolta dopo un paio o più di minuti e variazioni sulla melodia principale.
Another Haven.
A poem for the firmament, un introduzione acustica, 12.10 minuti di durata. Ottimi assoli. Bella.

venerdì 21 novembre 2008

Svago musicale - Carrellata di Dream Theater



È da tempo che volevo postare qualche cosa dei Dream Theater. Probabilmente è il mio gruppo preferito, i loro brani sono ricchissimi di musica, vari. E spesso la loro musica mi ispira per qualche racconto.
Prendo da youtube un "video" (solo audio) di un fan, che ha montato le parti più belle di tutte le canzoni. Dura un'ora e mezzo; chi ha il coraggio di ascoltarlo tutto d'un fiato sarà il mio eroe. XD Ma credo che anche un assaggio sia sufficiente.
Intanto vi ricordo che sto apportando delle modifiche all'ultimo racconto. Il Duca dice che può essere migliorato, e io voglio che ogni racconto sia migliore di quello che lo precede. Ergo, appena riesco lo pubblico.

Stream of Instrumentals

giovedì 22 maggio 2008

Arte e mestiere, tecnica e creatività


La questione è semplice: in ambito artistico, due aspetti della "produzione" vera e propria sono caratterizzati da due aspetti, quello tecnico e da quello creativo.
Avevo in mente questo post già da un po' di tempo, ma è stata un'intervista ad Andrea D'Angelo a farmelo riesumare.
Risponde D'Angelo:
L'arte è ciò che è innato e impulsivo, che ti spinge a volere una determinata cosa, a volerla fortemente e a volerla in quella forma artistica (a raccontare una storia per iscritto, ad esempio). Il mestiere è ciò che devi forzatamente imparare bene, se vuoi che la tua arte non ne esca svilita e inefficace.

Se ti piace scrivere, e hai una storia in mente che devi a tutti i costi far conoscere al mondo, devi prima imparare il "mestiere", altrimenti non concluderai niente.

La tecnica e la creatività sono sempre in conflitto. La giusta dose sarebbe metà e metà, ma, secondo il mio personale punto di vista, oggigiorno la bilancia penderebbe di più sulla creatività.
Mi spiego: come si possono spiegare i successi di alcuni romanzi tecnicamente scarsi? La mia risposta è: la volontà dell'autore traspare nelle pagine dell'opera.
Può sembrare abbastanza riduttivo, ma Stephen King in On Writing sostiene che ciò che scrivi deve piacere innanzitutto a te (la scoperta dell'acqua calda), perché se già tu non sei soddisfatto, il risultato si vedrà, e figuriamoci cosa ne penserà il lettore, che dovrebbe avere di regola meno entusiasmo rispetto allo scrittore.
Ma vale anche l'opposto. Se hai tanta volontà, sai di avere tante idee e sai che dovrai lavorare sodo per poter scrivere la tua storia, il lettore lo capirà e apprezzerà.
Ma la volontà non basta. Puoi avere la storia del secolo, ma se non hai tecnica è come conoscere il significato della vita ma non avere la bocca per comunicarlo agli altri.
La tecnica, però, è relativa a seconda del pubblico.
Già in questo post avevo trattato parte dell'argomento. Nel forum di un mmorpg, gioco ruolistico online, pubblicai un racconto ad esso ispirato. Un racconto abbastanza scarso, per la verità. La forma era corretta, niente strafalcioni, ma nel complesso era un'opera di bassa qualità - davvero bassa -, scritta apposta per quel tipo di pubblico - ovvero, un pubblico che accetta la storia come viene, senza farsi troppe domande sul realismo, sulla forma, e gustando puramente l'aspetto artistico, fantasioso. Ottenne un enorme successo.

Sebbene si parli di letteratura, il concetto vale anche per altre arti, affini e no.
Verga era un caprone: scrisse le sue prime opere coi piedi, e nessun editore voleva pubblicarlo, finché lo scrittore non si è seduto, gomiti sulla scrivania, ad imparare un po' di grammatica.
Giovan Battista Marino scrisse l'Adone (l'immagine del post), che potete liberamente leggere qui... se ne avete il coraggio. Dal punto di vista tecnico, è un inno alla poesia, una perfezione assoluta: un mattone di noia che fa crescere una barba così.
Mozart era un genio, musicò il Miserere dell'Allegri, brano il cui spartito non poteva essere diffuso e che durava 15 minuti, dopo averlo sentito una sola volta. Soffriva anche di coprolalia, gli piaceva dire tante cose sconce. Se impazzite e cominciate a bestemmiare a non finire, tranquilli: potreste essere dei geni.
E non bisogna dimenticare Paganini, virtuoso (in ambito esecutivo) del violino, e Lizst, altro virtuoso (in ambito compositivo) del piano, di fatti musicò molti brani di Paganini stesso, come La campanella ecc.
Bob Dylan aveva la musica nel cuore, e sebbene conoscesse quei pochi accordi, è diventato un grande della musica moderna. Kurt Cobain, idem. Oltre a drogarsi dava due spennellate significative alla chitarra, prima di fracassarla in un amplificatore, e Smells like teen spirit si trova al 9° posto tra le 500 canzoni più belle della storia, nell'elenco della rivista Rolling Stones. Eppure entrambi non avevano una grande capacità tecnica, di sicuro non quella di virtuosi come Steve Vai, Malmsteen o Petrucci.
D'altronde, Picasso sosteneva, in difesa del suo modo di fare arte, che non c'era gusto a dipingere ciò che si imparava alla bottega (o qualcosa di simile). Van Gogh, invece, era molto craetivo ed evocativo. Si ricordi l'autoritratto o la famosissima Notte stellata.

Il mio parere? Sono assolutamente a favore della tecnica. A meno che non ci si lasci prendere dal delirio giovanbattistamarinesco, acquisita la tecnica si è capaci di tutto. Credo che la creatività trovi una marcia in più con la tecnica. Un'esplosione di creatività, privo di tecnica, è un grido muto.

domenica 13 aprile 2008

La via prosegue senza fine, lungi dall'uscio dal quale parte...

Arrivederci! Me ne vado in Belgio! - "e non tornare mai più!", dirà chi mi vuol male, tie' tie', vi faccio tutte le corna che meritate, bastardi!
Come avevo accennato tempo fa, vado per 10 giorni in Belgio. Non porto la macchina digitale - perché è rotta, principalmente -, ma sto portando la videocamera (evvai!), così farò ore e ore di filmati. Se ce ne sarà qualcuno interessante, perché no, potrei anche metterlo qui, chi lo sa?
Ci andrò in aereo, e per questo motivo lascio questo post con una canzone che, al limite, se dovesse accadere qualcosa... (corna e toccate a più non posso...) sarà almeno gradevole come ricordo di me. XD
Ho voluto bene a tutti voi che avete commentato, chiedo scusa a chi mi è capitato di offendere, se ho offeso, e perdono chi mi ha rotto i coglioni con commenti trollici. Pace e amore per tutti! Volèmose bbene!

The spirit carries on, Dream Theater


Il testo:

Nicholas:
Where did we come from?
Why are we here?
Where do we go when we die?
What lies beyond
And what lay before?
Is anything certain in life?

They say, life is too short,
The here and the now
And youre only given one shot
But could there be more,
Have I lived before,
Or could this be all that weve got?

If I die tomorrow
Id be allright
Because I believe
That after were gone
The spirit carries on

I used to be frightened of dying
I used to think death was the end
But that was before
Im not scared anymore
I know that my soul will transcend

I may never find all the answers
I may never understand why
I may never prove
What I know to be true
But I know that I still have to try

If I die tomorrow
Id be allright
Because I believe
That after were gone
The spirit carries on

Victoria:
Move on, be brave
Dont weep at my grave
Because I am no longer here
But please never let
Your memory of me disappear

Nicholas:
Safe in the light that surrounds me
Free of the fear and the pain
My questioning mind
Has helped me to find
The meaning in my life again
Victorias real
I finally feel
At peace with the girl in my dreams
And now that Im here
Its perfectly clear
I found out what all of this means

If I die tomorrow
Id be allright
Because I believe
That after were gone
The spirit carries on

giovedì 3 aprile 2008

Svago musicale: Shine on you crazy diamond


«Remember when you were young, you shone like the sun»

È da un po' che mi sono fissato con questa canzone. Chiunque si sia trovato negli anni settanta senza dubbio la ricorda. Chi invece è nato trent'anni dopo, come me, l'avrà sicuramente sentita da qualche parte, in tutta la sua (misera XD) vita. Senza dubbio è storica, amatissima, eccetera eccetera, ma cavolo, è fantastica da ascoltare, ed bello andare a dormire con in testa le note di questa canzone - roba da far sbavare sul cuscino, in preda all'estasi.
Per avere ulteriori informazioni riguardo alla canzone, ecco il link per wikipedia. Ho scelto mio malgrado la versione inglese perché ha più informazioni rispetto all'italiana. Se qualche brav'uomo (o donna) non ha niente da fare, la traduca per la versione italiana. Facciamo valere la nostra lingua, ovviamente superiore rispetto a tutte le altre, con questi piccoli passi.

Ecco la canzone (presa da un video qualsiasi su youtube); buon viagg ascolto! :)



P.S. Purtroppo ho trovato solo il live, su youtube. La canzone "originale" (essendo più ordinata e "pulita") è ancora meglio!

martedì 4 marzo 2008

Svago: Wonderlust king

Un gruppo che ultimamente sto ascoltando spesso. Si chiama Gogol Bordello, fanno gypsy punk, rock, non ho capito neanche io, a me sembra rock folkloristico. Sono abbastanza famosi, ma ora lo stanno diventando di più. Questa è una canzone dell'album Super Taranta.

venerdì 1 febbraio 2008

Svago: Samson et Dalila

Stasera vado a vederlo. :D Ho ascoltato quanto ho potuto su internet, e non vedo l'ora di assistervi di persona. Sul monitor è una cosa, ma al Politeama di Lecce è un'altra storia. ^^
Buon ascolto!

mercoledì 23 gennaio 2008

Svago: Parabola

Un ulteriore svago musicale. Avevo preparato un post, alcuni giorni fa, ma chissenefrega, ora voglio postare questo.
La canzone è dei Tool, un gruppo che fino a poco tempo fa scartavo a priori - pensavo facessero musica elettronica o chessò io -. Il titolo è Parabola, ma include un'altra canzone che è legata, Parabol. Dura solo 10 min. Se non vi piace potete anche non ascoltarla ovviamente. Cazzi vostri. XD

sabato 12 gennaio 2008

Svago musicale: A change of season

Sotto il video - 1 di 4, trovate i link a fondo pagina - segue un commento a riguardo, da leggere.

La canzone di oggi è Change of season, dei Dream Theater. Se avete venti minuti liberi, ascoltatela. «Che? Venti minuti? Ma questo sta male». No, non sto male. Invece di vedere le donnine nude, spenderete ventiquattro minuti in modo più soddisfacente.
I Dream Theater sono un gruppo progressive metal, un genere più sobrio rispetto all'heavy, e più impegnativo; i brani durano solitamente più di quattro o cinque minuti, e arrivano anche alla mezzora... se volete informazioni più precise, consultate questo link di Wikipedia, ma ora vi cito alcune caratteristiche.
  • Il virtuosismo [l'abilità tecnica di, in questo caso, eseguire un brano] dei singoli strumentisti, in alcuni casi portato a livelli estremi;
  • i brani si appoggiano su un utilizzo molto frequente di tempi dispari;
  • pur basandosi sugli stilemi tipici metal, vengono spesso riprese alcune sonorità di altri generi; in particolare l'utilizzo di scale di derivazione classica, le dissonanze del jazz e i tempi sincopati della fusion. In alcuni casi, si fa anche ricorso a musiche ispirate al ragtime piuttosto che arrivare a riprendere temi di cartoon o comunque sonorità che, in modo ironico e dissacratorio, spezzano in maniera improvvisa il suono delle chitarre. Quest'ultima caratteristica è tipica dello stile di Jordan Rudess dei Dream Theater.
  • I testi del progressive metal (...): possono essere ispirati alla mitologia o alla letteratura, come pure possono trattare di dilemmi interiori e drammi personali; quasi sempre in essi trova spazio una certa vena introspettiva. Ogni gruppo tende a specializzarsi su un argomento piuttosto che un altro, anche in base alle immagini evocate dalla loro musica.

Chiunque riesca ad ascoltare tutta la canzone riceverà un premio in danaro fantasy. Ovvero, nulla.
Buon ascolto. :D

Seconda parte.
Terza parte.
Quarta parte.

martedì 18 dicembre 2007

Svago: The bard's song

Visto che lo svago domenicale di quest'ultima domenica è andato, mi rifaccio con uno svago settimanale. Una canzone fantastica: The bard's song, dei Blind Guardian. È bella, non c'è niente da fare. Non potete dire che avete gusti diversi o chessoìo: se non vi piace, non capite niente! XD

domenica 9 dicembre 2007

Svago domenicale: Immigrant song


Per lo svago domenicale di questa settimana: Immigrant song, dei Led Zeppelin. Magari qualcuno, leggendo questo titolo, dirà: "E chi la conosce, sta canzone?". E invece no. La conoscono tutti, fa parte di quelle canzoni storiche di cui la gente non ricorda il titolo né il compositore. Vi incollo il testo della canzone, ché è legato stretto stretto al fantasy, in un certo senso, dal punto di vista storico. :)


Ah  ah
We come from the land of the ice and snow
>From the midnight sun where the hot springs blow.
The hammer of the gods
Will drive our ships to new lands
To fight the horde singing and crying:
Valhalla I am coming!
On we sweep with threshing oar
Our only goal will be the western shore.
Ah ah
We come from the land of the ice and snow
>From the midnight sun where the hot springs blow.
How soft your fields so green,
Can whisper tales of gore,
Of how we calmed the tides of war.
We are your overlords.
On we sweep with threshing oar,
Our only goal will be the western shore.
So now you'd better stop and rebuild all your ruins,
For peace and trust can win the day
Despite of all your losing

domenica 2 dicembre 2007

Svago domenicale: War Inside


Lo svago domenicale di questa settimana, ancora una volta musicale, mi rende anche mecenate! Si tratta di una canzone degli Overcharge (questo è il loro spazio, c'è qualche foto e due canzoni). Gli Overcharge sono una garage-band, ma fanno progressive metal (chi vuol farsi un'idea del prog vada qui), e non solo le loro canzoni mi piacciono un casino, ma sono tecnicamente rispettabili, superiori di gran lunga alla musica che passa la tv o la radio (pensate alla merda che c'è in giro, per gli déi!).
Citando le info sul video: "Esibizione degli OVERCHARGE al 5° South's Cheyenne dove hanno presentato 2 pezzi inediti." Cliccate play e sentitevi la canzone. Se poi siete così disgraziati da voler abbandonare la pagina, almeno pensate alle gnocche che ballano sulla pedana durante il brano. :P