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sabato 3 maggio 2014

Sulla psicologia dei personaggi nella fiction (miti e cliché)

Quando avevo 16 anni non sapevo esattamente cosa fare della mia vita, mi piaceva solo leggere, scrivere, e suonare la chitarra. A quel tempo ero affascinato da Stephen King che fin da adolescente scriveva e con la scrittura era in grado di campare (più o meno). Volevo essere come lui.
Dovendo scegliere una facoltà, però, non avrei mai voluto prendere Lettere (pensavo: "Non c'è nulla lì che non possa imparare per conto mio"), e pensai che con Psicologia avrei potuto ricavare il necessario per scrivere storie credibili con personaggi verosimili. A 17 anni avevo accantonato il problema e trovai nella libreria di famiglia un libro, "Psicologia come scienza del comportamento", che mi indirizzò alla disciplina, al di fuori della scrittura, che praticamente abbandonai.
Ora come ora posso dire di poter tirare le somme e valutare su per giù le strategie usate nella fiction per delineare la personalità e il comportamento dei personaggi all'interno di una storia. Questi sono solo alcuni miti/cliché, in futuro potrei trattarne altri.

Il signore del male (The Evil Overlord)
Che sia un fantasy, un thriller, un horror, le caratteristiche del cattivo di turno sono sempre quelle.
La tendenza principale (da parte degli autori, sia di narrativa che di serie tv o cinema) è quella di renderlo un genio del male o un malvagio imprevedibile senza pietà. In ogni caso, le caratteristiche dell'Evil Overlord della fiction riflettono i criteri diagnostici del DSM-IV¹ relativi al Disturbo Antisociale di Personalità:
A) il soggetto mostra inosservanza e violazione dei diritti degli altri fin dall'età di 15 anni, che si manifesta con almeno 3 dei seguenti elementi:
1. incapacità di conformarsi alle norme sociali per quanto riguarda il comportamento legale, con ripetersi di condotte suscettibili di arresto
2. disonestà: il soggetto mente, usa falsi nomi, truffa gli altri
3. impulsività o incapacità di pianificare
4. irritabilità e aggressività
5. inosservanza della sicurezza propria e degli altri
6. irresponsabilità: incapacità di far fronte a obblighi finanziari o di sostenere un'attività lavorativa con continuità
7. mancanza di rimorso
B) l'individuo ha almeno 18 anni
C) presenza di un disturbo della condotta con esordio precedente ai 15 anni
D) il comportamento antisociale non si manifesta esclusivamente durante un episodio maniacale o nel decorso della schizofrenia
Delle due figure, nel mondo reale è più probabile incontrare il secondo tipo, quello del malvagio oltrenatura, il cattivo che ora sta scherzando col suo scagnozzo e subito dopo gli spara in testa, il cattivo che uccide bambini di fronte alla loro famiglia e famiglie davanti ai loro bambini, che beve il sangue delle sue vittime usando come coppa il cranio della madre assassinata con le proprie mani, su un trono di ossa ecc.
Questo tipo di cattivo non esiste: le uniche persone in grado di fare questo genere di cose sono psicotici, persone che hanno un contatto con la realtà assente o gravemente alterato (per esempio, alcuni schizofrenici).
Ora, questo non significa che gli psicotici siano tutti assassini (anche se alcuni lo sono), tuttavia i comportamenti più bizzarri e palesemente inverosimili appartengono spesso a questo tipo di persone, per esempio sotto forma di deliri e allucinazioni.
Non sarebbe corretto dire che una persona psicotica non è in grado di elaborare un Piano Malvagio (come nella fiction) per distruggere il pianeta (a che pro, oltretutto?). Sarebbe corretto dire che potrebbe farlo, ma la motivazione sottostante sarebbe totalmente bizzarra, o ridicola, o assurda (del tipo: "Quando la signora Rossi mi ha chiesto quanto zucchero volessi nel caffè, in realtà mi stava leggendo la mente grazie ai microcongegni nel cervello che i marziani le hanno impiantato durante la notte, e che hanno impiantato a tutti gli altri del mio quartiere, e a quel punto mi è stato chiaro: devo distruggere la Terra, solo così potrò ottenere la salvezza del Coniglio"; chiaro, no?)
La figura del Genio del Male invece è meno credibile.
Sebbene nella teoria si parla di un continuum ai cui estremi ci sono il Narcisismo e il Disturbo Antisociale, con al centro il Narcisismo Maligno, è difficile che una persona totalmente antisociale sia in grado di conquistare la fiducia di molte persone, raggiungere posizioni di potere e ordire complicati piani di vendetta o di distruzione. Difficile, non impossibile. Tipicamente a riuscirci sono i politici, ma non sono individui antisociali, ma con possibili tratti antisociali, spesso tracci narcisistici. La personalità è complessa.
La maggior parte degli individui antisociali è costituita da poveracci (nel vero senso della parola), analfabeti, con un QI molto basso, cresciuti in condizioni di degrado, del tipo baraccopoli, a contatto costante con alcol, droga, violenza e abusi. Se non muoiono assassinati o per overdose, passano la vita in galera. Non hanno il tempo di organizzare complicati piani di vendetta che prevedano manipolazioni psicologiche e dissimulazioni varie. Se poi, come le ricerche stanno dimostrando, questi individui hanno alterazioni a livello della corteccia prefrontale, si comportano in maniera imprevedibile, ma secondo lo schema "faccio quello che mi va perché non ho alcun tipo di inibizione", quindi se anche deste una pistola in mano a un individuo simile e gli diceste "Guarda, quel tipo là ha dato della puttana a tua sorella", quello potrebbe sì andare dal tipo e ucciderlo, ma potrebbe anche avere voglia di farsi un giro in moto e ignorarvi, o andare a mangiarsi un panino, e via discorrendo. È disinibito, è imprevedibile.
Quindi possiamo stare tranquilli. Gli Evil Overlord di romanzi e film sono virtualmente impossibili. Ma ci sono sempre i politici.

Il trauma infantile
Il luogo comune, sia nella vita reale che nella fiction è questo: quando sei piccolo sei anche molto delicato psicologicamente, per cui una minima destabilizzazione può sconvolgerti al punto da determinare ciò che diventerai in futuro, con effetti perlopiù negativi. Tipicamente si tratta di un evento traumatico, e ancora più nello specifico, assistere a un evento drammatico.
Questo non è completamente vero, ma a grandi linee sì: nell'infanzia è tutto in via di sviluppo, e diversi fattori, compresi gli eventi stressanti, possono far cambiare la "direzione" di alcune linee di sviluppo, sia in positivo che in negativo.
Il trauma infantile però non determina sempre e comunque lo sviluppo di una psicopatologia in età adulta.
Assistere a una catastrofe, a un incidente, o alla morte di una persona, non fa necessariamente sbarellare l'individuo. Di conseguenza, quando in un romanzo o in un film si cerca di giustificare il comportamento (tipicamente teatrale) di un personaggio con la presenza di un trauma infantile nel suo background, in realtà si sta effettuando una certa forzatura, o comunque si sta ricorrendo a una facile scappatoia. Un individuo che sperimenta un trauma durante l'infanzia vive anche in un contesto che presenta diversi fattori, i cosiddetti fattori di rischio e i fattori di protezione.
Una buona condizione economica, un quoziente intellettivo alto, la presenza di una o più figure di riferimento, la vicinanza emotiva ecc., sono tutti fattori che modulano l'effetto del trauma e proteggono la persona. Viceversa, assenza di caregiver, lontananza affettiva, condizione economica scarsa, quoziente intellettivo basso, esposizione continua a stressor ecc., può peggiorare la situazione.
Di solito non è un evento traumatico a compromettere l'equilibrio psichico di una persona, ma la cronicità degli eventi traumatici, la continua esposizione a condizioni critiche, il cosiddetto trauma cumulativo (e.g., Follette et al., 1996).
Ci sono purtroppo tantissime persone che vivono in contesti familiari disfunzionali, continuamente esposte ad abusi fisici (violenza, incesto, ecc.) e psicologici (per esempio la svalutazione, "Tu non vali niente", "Sei inutile", ecc.), anche a rischio per la propria vita, e tutto questo per anni.
Ora, ciò non significa che chi ha "più esperienza traumatica" starà davvero male mentre chi ha vissuto solo un evento traumatico starà benissimo, come non averlo avuto affatto (anche se in realtà il numero di eventi traumatici è correlato alla gravità dei sintomi): per alcuni individui, con una certa struttura, anche un solo evento traumatico potrà essere significativo e potrà causare l'insorgenza di una psicopatologia. Tuttavia, la ricerca afferma che è meno probabile.
Di conseguenza, se volete scrivere una storia con un personaggio disturbato o serial killer o altro in conseguenza di un trauma infantile, assicuratevi che il contesto psico-sociale e la natura e la frequenza degli eventi traumatici vissuti durante l'infanzia sia appropriata. Altrimenti fate come vi pare: ci sono un sacco di personaggi poco credibili in romanzi e serie tv, ma nessuno ci fa molto caso.
A quanto pare il trauma è molto pittoresco.

Personalità, pensieri, atteggiamenti e comportamenti
Ogni individuo ha una sua personalità, composta da determinati tratti. I tratti di personalità costituiscono delle modalità relativamente stabili con cui un individuo pensa e si rapporta nei confronti del mondo, delle persone e di se stesso. Questo significa che, sempre considerando la Psicologia come scienza umana non deterministica ma probabilistica, la personalità implica pattern di pensiero e comportamento, grosso modo stabili e prevedibili.
In diverse fiction capita di leggere/vedere scene in cui la situazione è critica (per esempio, il leader e i forti del gruppo sono legati/immobilizzati e inermi e il Cattivo sta per ucciderli, dopo aver, sigh, spiegato il proprio piano malvagio) e un personaggio (per esempio, una bambina/un anziano pavida/o e debole che per tutta la storia è stata/o solo un peso nella quest) agisce in maniera assolutamente imprevedibile e controattitudinale (per esempio, sottrae la pistola a un tirapiedi, spara e becca il Cattivo alle spalle).
In situazioni estreme le persone possono comportarsi in maniera imprevedibile, diversa rispetto a come farebbero nella vita quotidiana? Può darsi, ma di solito no.
L'essere umano "si programma da solo" durante la vita. Ciò avviene principalmente attraverso la combinazione tra il proprio temperamento innato e atteggiamenti/comportamenti appresi. Un individuo tendenzialmente collerico, per dire, cresciuto in una famiglia avvezza alla violenza, intollerante verso le minoranze etniche, con personalità autoritaria (Adorno, 1950), schierata verso l'estrema destra, difficilmente penserà che non ci sono persone superiori e persone inferiori, che tutte le persone nel mondo sono uguali, che non esistono razze, che è importante aiutare i più deboli ecc. Quindi avrà specifici atteggiamenti razzisti e tutto ciò che ne consegue. La sua personalità è quella, gli atteggiamenti maturati nel tempo sono quelli, il comportamento che metterà in atto sarà coerente con tutto ciò.
Questa persona potrà cambiare? Sì. Ma non lo farà dall'oggi al domani (o alla fine rimarrà sempre uguale). Vedasi American history X.
L'esempio è un po' scomodo. Il cambio di bandiera politica è frequentissimo, quindi più che sull'ideologia politica vorrei soffermarmi sul bagaglio di atteggiamenti e convinzioni di un individuo, del tipo, "nella vita nessuno dà niente per niente", "Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio", "chi fa da sé fa per tre", o "chi fa del bene riceve del bene", o "le donne so' tutte zoccole", "gli uomini pensano solo a quello" ecc.: tutte convinzioni vere e false allo stesso tempo, ma che guidano il comportamento di un individuo.
Quindi: una persona si comporta in maniera coerente rispetto ai pattern di pensiero che strutturano la sua mente. Nel momento in cui agisce in maniera opposta al suo pensiero, subentra la Dissonanza cognitiva (Festinger, 1957): un eccessivo stress e disagio mentale che si avverte nel momento in cui c'è un conflitto tra atteggiamenti o tra atteggiamento e comportamento. L'esempio classico è quello della volpe e l'uva di Fedro, la volpe vuole l'uva, non riesce ad arrivarci, dice che è acerba.
Dato che un conflitto tra cognizioni e comportamento provoca un tale disagio mentale, un fastidio, è naturale che la gente si comporti in maniera coerente. Oltretutto è dimostrato (Lorenz 1963) che l'abitudine, i comportamenti appresi, portano l'individuo (nel caso di Lorenz si trattava di un'oca selvatica) a provare una fortissima paura nel momento in cui tale comportamento abitudinario non possa essere messo in atto nel modo usuale.
Potrebbe, dunque, il personaggio più scarso di una storia d'avventura/azione comportarsi in maniera totalmente diversa rispetto al solito? Dipende dalla sua personalità, atteggiamenti, bias di pensiero ecc.: quindi: in teoria sì, in pratica è improbabile.
Se mettete dunque un personaggio simile nella vostra storia e se per caso i personaggi più forti dovessero essere inermi e in pericolo di vita, temo che questi ultimi faranno una brutta fine.

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Note
¹ DSM - Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. Per i profani, è il manuale delle malattie mentali. Wikipedia e l'Internet in generale possono darvi tutte le informazioni necessarie, ma in breve: le malattie (organiche e mentali) vengono catalogate in categorie strutturate (la cosiddetta nosografia), perché quando dài un nome a una cosa e la inquadri, è più facile concentrarvisi per porvi rimedio. Dare un'etichetta alle malattie è un affare macchinoso che la persona comune può criticare, ma essenzialmente è una cosa indispensabile sia dal punto di vista finanziario (per esempio, per usufruire di cure gratuite dal Sistema Sanitario Nazionale o dalle assicurazioni ecc.), sia dal punto di vista scientifico, sia dal punto di vista diagnostico e terapeutico: ci sono malattie che si assomigliano (anche mentali), e categorizzandole è possibile capire come procedere con ulteriori studi o in direzione della cura più adeguata.

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Bibliografia minima
Adorno, T. W., Frenkel-Brunswik, E., Levinson, D.J., Sanford, R. N. (1950). The Authoritarian Personality. Norton: NY.
- Festinger, L. (1957). A Theory of Cognitive Dissonance. California: Stanford University Press.
- Follette, V. M., Polusny, M. A., Bechtle, A. E., & Naugle, A. E. (1996). Cumulative trauma: The impact of child sexual abuse, adult sexual assault, and spouse abuse. Journal of traumatic stress, 9(1), 25-35.
Lorenz, K. (1964). Das sogenannte Böse. Borotha-Schoeler., p. 112

venerdì 29 novembre 2013

Due parole non richieste sulle opportunità della pubblicità nella narrativa digitale

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Ovviamente son tutte balle. Nessuna industria del tabacco mi ha (ancora) pagato per ospitare annunci pubblicitari sul blog. In Italia, oltretutto, la propaganda di tabacchi lavorati è anche vietata da qualche decennio. Ma il punto è: quanto è bella questa locandina pubblicitaria? Mettendo da parte il tabacco, quanto può infastidire l'immagine pittoresca di un uomo solitario, accampato con un fuocherello vicino a una piramide, che si accende una Camel mentre il sole tramonta dietro la duna?
Alcuni anni fa ho avuto l'opportunità di sfogliare alcuni linus, in particolare i numeri che andavano dagli anni '70 agli anni '90. Sono rimasto affascinato dalle pubblicità, come per esempio quella delle calcolatrici Texas Instruments, della Fiat Panda adatta ai giovani (e in aggiunta gli slogan sulla sua bellezza, letti vent'anni dopo, sono ridicoli), e delle sigarette Camel.
Purtroppo su Google non sono riuscito a trovare quella che mi è piaciuta più di tutte: un presunto esploratore (come quello qui sopra), sdraiato su un'amaca annodata a due alberi in un paesaggio esotico, che con una mano regge un libro e con l'altra si spippetta una Camel.
Vuoi per il gusto vintage, vuoi per il fascino esotico, a mio avviso quella pubblicità era una piccola opera d'arte, impreziosita dal tempo e chi lo sa, probabilmente ha impreziosito, di rimando, anche la rivista che la ospitava.
A prescindere dalle ovvie questioni di salute (fumare fa male), una pubblicità come la suddetta è esteticamente bella, persuasiva nei giusti limiti, e soprattutto permette alla rivista di esistere. Oltretutto la stessa Camel, che dapprima spacciava il suo marchio come il preferito dai medici, dopo l'ignoranza degli anni '40-'50 ha aggiunto quella piccola scritta relativamente al danno del fumo. Sebbene siano caratteri minuscoli, si tratta pur sempre di coerenza e rispetto, al contrario per esempio di pubblicità che affermando che "la cellulite è una malattia" vogliono venderti il loro prodotto inutile, o che quando ti lavi i denti le gengive ti sanguinano e hai bisogno necessariamente del loro dentifricio: questo è terrorismo psicologico basato sulle credenze false delle persone (suggestionabili).
La Psicologia Sociale insegna che per i prodotti di uso pratico, le pubblicità si concentrano sugli aspetti di efficienza e qualità del prodotto, mentre per quei prodotti che essenzialmente non servono a nulla (un profumo, o un whiskey), ci si concentra su fattori di desiderabilità sociale (basandosi sul fatto che persone con alto automonitoraggio, cioè con la tendenza a cambiare a seconda delle richieste dell'ambiente sociale, sono più suscettibili ai tipi di messaggio che riguardano per esempio lo status).
Chiedo scusa per la lunga premessa, ma mi sembrava necessaria per discriminare le pubblicità per così dire "oneste" da quelle "disoneste" (terrorismo psicologico).
Il discorso dell'utilità delle pubblicità l'ho già affrontato con altre persone su vari blog. A mio avviso la pubblicità è un'arma poco sfruttata che farebbe guadagnare tutti.
Per vendere i loro prodotti, le aziende hanno bisogno prima di tutto che la gente li conosca, e per fare ciò hanno bisogno di un mezzo per comunicare che il prodotto (o il servizio) X è in vendita ed è migliore di altri.
Basti pensare alle serie tv (americane, almeno): escludendo i finanziamenti del network o i ricavi per gadget e surrogati, una buona parte del guadagno deriva dallo spazio venduto alla pubblicità (gli ad). Cioè le aziende pagano per piazzare 15-30-60 secondi di spot poco prima della puntata, nel mezzo, o dopo.
Pensiamo alla pubblicità cartacea lasciataci nella cassetta della posta. Non so voi ma da me arrivano certi libretti di carta plastificata, con fotografie a colori vividi di poltrone e arredo: essenzialmente spazzatura di alta qualità. Ma fa ridere pensare poi che un paperback (carta scarsa, completamente bianco e nero) venga a costare 10€.

Ora, io non me ne intendo di marketing, ma appare abbastanza chiaro che la pubblicità si può sfruttare in molti modi per diversi fini, anche quelli quasi filantropici.
Tempo fa pensai: e se i romanzi venissero pubblicati con inserti pubblicitari all'interno? Il libro cartaceo potrebbe venire a costare meno (mi riferisco ai paperback, non alle edizioni da collezione). E sarebbe grandioso se si potesse fare una cosa simile anche con testi didattici, così da poterli rendere economicamente accessibili a tutti.
Alcuni siti piuttosto frequentati ospitano banner che, grazie alla popolarità del sito, possono ricevere un po' di visibilità (e, presumibilmente, incrementare le vendite). Non sarebbe possibile fare una cosa simile con gli ebook? Piuttosto che vendere un romanzo particolarmente popolare sarebbe bello poterne vendere la popolarità stessa: ebook gratuiti in cambio di inserzioni pubblicitarie.
Non mi sembrerebbe così assurdo se in un ebook dovesse esserci la pubblicità - mettiamo - dell'ultimo eReader di Amazon o di Kobo. Considerando che tanti lettori, come me, cercano informazioni sugli ultimi eReader, la pubblicità del nuovo modello Vattelapesca dell'azienda Taldeitali all'inizio di un capitolo non mi darebbe fastidio, anzi: se caratteristiche e prezzo dovessero soddisfarmi, me lo comprerei. E perché no, come già è stato fatto con Kobo, non sarebbe una tragedia avere un eReader più economico in cambio di piccoli banner pubblicitari nella home (a condizioni accettabili).
Se io fossi un'azienda di qualche tipo, valuterei la possibilità di, per esempio, "finanziare" uno scrittore che va forte perché scriva un'opera che la mia stessa azienda provvederebbe a distribuire gratis col mio marchio sopra. Ci guadagnerebbe lo scrittore (probabilmente non uno Stephen King che guadagna sicuramente di più pubblicando dal nulla quello che gli viene in mente mentre fa la spesa), sia in denaro che in maggiore visibilità, sia la mia azienda, che sfruttando un mezzo (la narrativa) potrebbe allargare la fetta di acquirenti.
O perché no, potrebbe essere la stessa azienda che, grazie alla propria popolarità, potrebbe distribuire con un maggiore impatto un romanzo, un certo numero di autori, un genere, una casa editrice indipendente che però pubblica opere meritevoli ecc. Se domani dovesse nascere l'equivalente dell'Eraserhead Press ma con un altro nuovo genere mind-blowing, e se l'alta qualità delle opere non dovesse bastare a renderla famosa, un qualche tipo di sponsor potrebbe, in qualche maniera, tornare utile a farla emergere, o no?
Oppure prendiamo Steam: una piattaforma per ebook (e perché no, anche macro-aggregatrice di altre piattaforme), piuttosto che per videogiochi, sarebbe possibile? Gioverebbe? Farebbe emergere capolavori inaspettati? Molti giochi indipendenti con Steam sono saltati all'occhio e hanno avuto successo (con gran piacere di migliaia di gamer).
Personalmente, troverei grandioso se qualcuno si mettesse a distribuire gratuitamente "episodi" narrativi, avvincenti, di una qualche storia (fantasy, horror, storica, quello che vi pare), il tutto supportato da sponsor pubblicitari, allo stesso modo delle serie tv. Così che quando torni a casa, quel giorno della settimana, invece di mettere a scaricare l'episodio della sitcom preferita, scarichi una puntata "narrativa", il cui andamento potrebbe essere influenzato dall'impatto degli ascolti. Sì, i ritmi di lettura sono diversi da quelli degli spettacoli tv, ma sono convinto che la cosa sia possibile, e non solo: riuscire a scrivere capitoli leggibili per esempio in 30 minuti, che riescano veramente a intrattenere, a sviluppare un climax, che contengano un forte hook e un cliffhanger mangiaunghie, significherebbe essere scrittori davvero abili.

Insomma, non parlo di nulla di nuovo. Mi rendo conto che il discorso non sia originale e che di fatto esistono interi staff di persone qualificate e strapagate per avere idee simili e sicuramente migliori, ma mi rendo anche conto che non ho mai visto iniziative che abbiano veramente provato a dare una svolta in questo senso - nell'ambito dei romanzi/ebook.
Certo, mettere a confronto un pubblico di gamer con uno di lettori è assurdo, e lo stesso vale per film, serie tv o musica. Immagino che si facciano meno soldi con la narrativa. Ma è anche vero che le cose stanno cambiando: se i lettori non fossero così tanti, non ci avrebbero nemmeno pensato a inventare gli eReader e tutto il resto, eppure è successo, e i dati delle vendite fanno ben pensare.
Evidentemente modi nuovi di fare le cose o vivere esperienze ha portato a una più diffusa fruibilità di materiale che prima non godeva della notorietà di cui gode ora.
Ok, forse sto delirando, ma magari c'è qualcuno là fuori che leggerà questo post e che vi troverà spunti utili per poter arricchire l'esperienza della lettura di intrattenimento.

domenica 16 settembre 2012

eReader e eBook come rappresentazioni sociali

serge moscovici psicologia sociale rappresentazioniLungi da me l'intenzione di scrivere un trattato: da poco prima che acquistassi un eReader fino a questo momento, ho letto, ascoltato e discusso riguardo alla questione del Profumo della carta.
Mettendo da parte la mia opinione, vorrei proporre la mia ipotesi del fenomeno secondo la teoria delle Rappresentazioni Sociali di Serge Moscovici (il tipo nella foto).

Cosa sono le rappresentazioni sociali in sintesi.
In sintesi, Moscovici si rifà alle rappresentazioni collettive di Durkheim e gli si contrappone postulando l'esistenza delle cosiddette rappresentazioni sociali, ovvero - in termini spiccioli - postula l' "esistenza" di una sorta di immaginario collettivo. Le persone che costituiscono la società generano delle rappresentazioni sociali. Per ogni aspetto della società esiste un'immagine condivisa dai suoi membri.
Per esempio, l'uomo, non riuscendo a "contenere" e a elaborare l'idea di Dio, che fa? Gli affibbia degli attributi più semplici, più familiari: Dio = padre. E così la cosa ha più senso ed è meno minacciosa.
Secondo Moscovici, quando in una società spunta fuori un nuovo oggetto sociale (una professione, una tecnologia, una tendenza, quello che volete), ecco che la società gli attribuisce dei significati già conosciuti, fa un'analogia tra il nuovo oggetto e uno/più attributi familiari, e il nuovo oggetto entra a far parte del senso comune.
Altro esempio: all'inizio, la Psicoanalisi - che è nata non molto tempo fa, parliamo di un secolino - non aveva il significato che ha oggi. Il dott. Moscovici ha allora effettuato una grossa ricerca e ha rilevato come la Psicoanalisi veniva paragonata alla confessione (oggetto familiare e già "sistemato" da tempo immemore nella cultura del popolo). Tuttavia, diversi sottogruppi avevano un rappresentazione leggermente diversa (per esempio, i cattolici avevano un giudizio negativo a causa del ruolo della sessualità nella teoria psicoanalitica, il Partito Comunista invece vedeva nell'avanzata della Psicoanalisi l'avanzata della borghesia statunitense, ecc.)

Avete intuito dove voglio andare a parare?
La società usa il cartaceo (sia esso per narrativa, manualistica, saggistica, periodici, o anche solo documenti, burocrazia ecc.) da tempo immemore. Fermo restando che il linguaggio è una componente importantissima che contraddistingue la nostra specie (ergo: è difficile pensare che la narrativa venga soppiantata da altri mezzi, come film o videogiochi), usiamo la carta da secoli.
Abbiamo, insomma, maturato una rappresentazione sociale specifica.
Ci sono metodi statistici per rilevare le componenti semantiche di una rappresentazione sociale - e questo non è un trattato, non ho fatto alcuna ricerca in merito, sia ben chiaro -, ma a occhio e croce il libro cartaceo, nel senso comune, è:
  • Fonte di cultura
  • Manifestazione di uno status
  • Elemento socialmente accettabile
e via discorrendo.
Non sorprende che i supporti elettronici abbiano caratteristiche in (apparente) contrapposizione. La TV ci rincoglionisce, Internet is for porn, Facebook serve a cuccare, i videogiochi bruciano i neuroni ai ragazzi, ecc.
Tutti miti che col tempo si stanno sfatando. Ricordate cosa si diceva dei cellulari nel 2000? "Fanno venire il tumore al cervello" e simili¹. Be', ora nonostante netbook, smartphone e surrogati nessuno si cura più delle radiazioni sul proprio cervello (o dei propri genitali).
Di conseguenza, eReader e eBook costituiscono una rappresentazione sociale che, a prescindere dall'utilità effettiva, sta sgomitando nell'insieme delle rappresentazioni sociale del popolino. Da una parte c'è chi la accoglie a braccia aperte, sostenendone gli aspetti positivi, dall'altra c'è chi, attaccato alla vecchia rappresentazione sociale del cartaceo e dell'elettronico, la respinge, evidenziandone i lati negativi ma, soprattutto, sostenendo la vecchia rappresentazione sociale del cartaceo e sottolineandone i vecchi attributi socialmente accettati (il profumo della carta, la familiare sensazione di fisicità, e tutti gli elementi di status connessi al "Libro").

Ok, questa non è una posizione. Oltretutto, ho già espresso la mia posizione (a favore della completa diffusione della cultura, quindi a favore del digitale - e ora flame tra 3, 2, 1...).
Ad ogni modo, che vogliate o no, il digitale si è già inserito tra le nostre rappresentazioni ed è solo questione di tempo perché si stabilizzi comodamente come parte integrante della società. Questo - lo stabilirsi della rappresentazione insieme alle altre, modificandole ma non necessariamente eliminandole - è lo stesso motivo per cui dubito che il digitale rimpiazzi il cartaceo. Gli LP sono ancora in commercio, e diversi collezionisti li preferiscono. I CD esistono ancora e sono diffusissimi. Gli mp3 non hanno distrutto il mercato della musica, anzi, e così via.
In pratica, stiamo parlando del progresso che - fortunatamente - non si può fermare.

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Note:
¹ In Love and other drugs, ambientato in quegli anni, hanno fatto emergere questo aspetto in un dialogo, come riflesso della società del tempo, ancora priva di tutti gli strumenti di cui disponiamo ora.

martedì 27 marzo 2012

Impressioni | L'esercito delle dodici scimmie

12 monkeys esercito delle 12 scimmie bruce willis brad pitt fantascienza psicologia viaggi nel tempoUn cult.
L'esercito delle dodici scimmie è un film del 1995. Se avete più o meno la mia età, dovreste averne qualche vago ricordo. Si tratta di un thriller sci-fi psicologico con viaggi nel tempo. La trama e le curiosità potete leggervele su Wikipedia (ma giusto le prime righe, ché poi come al solito ci sono gli spoiler).
In breve: la popolazione mondiale è stata spazzata nel 1996 via da un virus letale che ha costretto i pochissimi sopravvissuti a vivere sottoterra. Il protagonista (Bruce Willis) è un prigioniero cui viene data la possibilità di redimersi conducendo delle indagini sulla causa del contagio attraverso pericolose esplorazioni all'esterno e viaggi nel tempo.
A voler essere pedante, un paio di cosette mi hanno lasciato perplesso, in un primo momento, ma fino alla fine il film evita grosso modo ogni possibile nodo nella trama, e il finale è tutto un programma (leggasi: suscettibile di interpretazioni).
Bruce Willis sembra fatto apposta per ruoli di science fiction. E un Brad Pitt che sa fare lo squilibrato in maniera così coerente e addirittura divertente non me lo sarei mai aspettato.
Gran bel film, consiglio di vederlo - più agli estimatori dei viaggi nel tempo e delle "trame" psicologiche (per così dire), che ai fan del sci-fi, giacché quest'ultima è sì la base narrativa del film, ma non la componente più rilevante, rispetto agli sviluppi del "giallo". Ad ogni modo, ultimamente film simili sono rari.

P.S. Il regista è Terry Gilliam. Questo basta. Chi non lo conosce può farsi un giro su Google e scoprire "quanto è profonda la tana del Bianconiglio" [cit. dovuta].

mercoledì 26 ottobre 2011

Ipnosi regressiva e psicologia degli allocchi

Mistero mediaset ipnosi regressiva psicologia assassin's creed vite precedenti
Non mi piace scendere a certi livelli, ma in questo caso lo sento come un dovere a nome di tutta la comunità scientifica italiana (ed estera).
Domenica scorsa è andato in onda Mistero, su Italia 1. Lasciamo da parte eventuali commenti sul programma (a cominciare dai video fake di alieni e mostri fatti passare per veri): è intrattenimento, e ognuno ha il diritto di intrattenersi come gli pare.
Nella puntata di domenica scorsa, però, si è parlato di Ipnosi regressiva.

In poche parole, Daniele Bossari ha illustrato la trama del gioco Assassin's Creed (ricordiamo che è intrattenimento, non Super Quark), ovvero del protagonista che, attraverso un macchinario, riesce a ripercorrere gli eventi di un suo avo vissuto a Firenze al tempo dei Borgia, accedendo alla propria eredità genetica, e assiste a ogni episodio di quella vita.
L'argomento del servizio era: si possono ripercorrere vite precedenti?
Dopo una breve "analisi" genetica, Bossari si dirige in un castello dove incontra due persone, il Dott. Marco Chisotti, Psicologo, Psicoterapeuta, Ipnotista e il Dott. Antonello Musso, Medico Chirurgo, medico di Medicina Generale, in Medicina Aziendale, Ipnologo Costruttivista Clinico, Ipnositerapeuta.
Costoro parlano dell'Ipnosi regressiva, attraverso la quale le persone ripercorrono le proprie vite precedenti.
Ci si potrebbe fermare qui e dire: "No, è pura follia che dei professionisti dicano tali boiate".
Andiamo avanti.
Bossari si siede su un divano, ai lati ci sono i due professionisti che lo ipnotizzano, e Marco Berry che sussurra alla telecamera ciò che accade. Per vedere il servizio, ecco i link diretti alla Prima e alla Seconda parte del video, direttamente dal sito Mediaset.
Arriviamo dunque alla trance, in cui il povero Bossari si agita, dice di vedere una battaglia, c'è tanto dolore, grida dappertutto, fa tanto freddo, ecc. Finita l'ipnosi, racconta la sua esperienza.

Parliamo seriamente, adesso.
  1. L'Ipnosi regressiva, lo dice anche Wikipedia con tanto di riferimenti bibliografici, è una pseudo-scienza. Insomma, è magia, è un gioco in cui può credere la gente affascinata dal misticismo, dall'esoterismo, ma esclusivamente per il proprio piacere: non è assolutamente una pratica terapeutica.
  2. Il fatto che a praticarla e a metterci la faccia siano due professionisti, uno psicologo psicoterapeuta e un medico, rende la cosa molto più degradante. Applicando i paradigmi della Psicologia Sociale (scienza autentica), la persuasione in atto, in questo servizio, avviene per opera di influenza sociale da parte di una fonte credibile, incarnata dalla figura dello scienziato, l'esperto. Lo spettatore più ingenuo pensa: "Se a fare questa cosa sono un medico e uno psicoterapeuta, esperti che ne sanno sicuramente più di me, allora dev'essere vero." E questo è sbagliato, perché significa convincere le persone di una cosa evidentemente falsa.
  3. Il fatto che Bossari si sottoponga arbitrariamente all'Ipnosi Regressiva è un ulteriore indizio della già lampante falsità del servizio. Perché? Perché, appurato che l'Ipnosi regressiva non dovrebbe esistere, nell'ambito terapeutico esiste l'Ipnositerapia, diversa dalla regressiva, perché avvalorata da dati clinici e ricerche statistiche. Sebbene non mi senta di esprimermi in merito all'Ipnositerapia, sia a causa di pregiudizi verso la Psicologia Dinamica sia perché non ho competenze in merito, una cosa è certa: Bossari non soffre di alcun disagio o patologia psichica, e questo motivo è più che sufficiente per non affrontare una psicoterapia (ancor di più se la terapia in questione è fasulla). In questa maniera si mette in ridicolo la pratica psicoterapeutica, riducendola a un gioco. Così facendo, persone che soffrono sul serio potrebbero perdere fiducia nella pratica e trascurare eventuali interventi psicoterapeutici di cui potrebbero beneficiare.
  4. Guarda caso, Bossari rivive una battaglia, proprio come in Assassin's Creed. Recita in maniera evidente, e la cosa più triste è che lui e Berry cominciano a parlare dell'esperienza appena vissuta, mentre il medico, a sinistra, sta zitto e lo psicoterapeuta a destra blatera qualcosa a bassa voce ma viene ignorato dai due conduttori che parlano tra di loro con foga.
Il motivo che mi ha spinto a scendere così in basso e a commentare il programma riguarda la difesa della Psicologia quale scienza e la professione di psicologo.
L'Italia è un paese pieno di ignoranza e di paradossi.
Il parere diffuso riguardo alla Psicologia è che si tratti di qualcosa che possono fare tutti, dal parrucchiere al prete. Si pensa che la Psicologia sia solo parlare e interpretare, e che chiunque possa fare lo psicologo, soprattutto il migliore amico.
Niente di più sbagliato. Quella rappresentazione della Psicologia è vecchia di un secolo. La vera Psicologia si affida a metodi scientifici, verificabili, dati statistici, all'interazione con altre scienze (la fisiologia, le neuroscienze...), e via discorrendo. Fra qualche mese dedicherò un articolo interamente sulla Psicologia, su cos'è davvero, ma al momento mi preme che la gente non avvezza all'argomento sappia: la Psicologia non è un'opinione. Così come non è un'opinione la Medicina, la Chimica o la Matematica. Davanti a questioni quali: "è giusto che una coppia omosessuale adotti un bambino?" non esistono risposte basate su opinioni, perché le semplici opinioni non contano nulla, e la scienza si affida a certezze matematiche. Nel caso di questa domanda, la risposta è sì (con l'orrore dei bigotti e dei conservatori, probabilmente), e non perché lo dico io, ma perché lo dicono le svariate indagini, gli esperimenti, i dati effettuati su un certo numero di individui in un certo numero di paesi, messi a confronto con altri dati di controllo.
La scienza funziona così, e non accetta opinioni ma dimostrazioni.
Nel caso di questo servizio di Mistero, è dimostrato che l'Ipnosi regressiva sia una bufala. Ogni sterile opinione non è accetta.

Riguardo, invece, alla difesa della professione di Psicologo, ho ritenuto necessario mettere in evidenza questo fatto per allontanare me e l'intera professione (autentica) dai ciarlatani che scorrazzano nel paese.
Come dicevo, l'Italia è un paese pieno di paradossi. C'è molta gente che non "crede" alla Psicologia, proprio come se fosse una fede invece che una scienza. E, da questo punto di vista, sarebbe come non "credere" alla chirurgia. Cioè assurdo.
I paradossi sono tanti. In Italia si va dallo Psichiatra piuttosto che allo Psicologo, perché sembra più credibile e perché dà le medicine. Si preferiscono i farmaci alla terapia, si chiede all'amico quale farmaco usare in certi casi, piuttosto che al medico, e ancora peggio, ci si informa attraverso Internet sulla salute per poi andare a discutere col medico su quale cura sia meglio intraprendere (con ovvia irritazione del medico). La situazione è ancora più amara se a tutto ciò si aggiunge, poi, la recente figura del counsellor, fantomatica persona che non si fa cosa faccia ma si sa che fa abusivamente lo psicologo pur non avendo né laurea né i mezzi e la cui "professione", ironia della sorte, per qualche cavillo burocratico in Italia non risulta illegale.
Nella grande confusione italiana, è necessario che si difenda la verità con le unghie e con i denti. Da parte mia, spero solo che questo semplice post raggiunga i destinatari e apra gli occhi.

venerdì 21 ottobre 2011

La bimba investita, gli indifferenti, il sovraffollamento mondiale.

bambina cinese investitaEsco un attimo dal mondo della finzione per dedicare qualche parola all'attualità.
Il 13 ottobre una bambina cinese di due anni è stata investita due volte ed è rimasta a terra priva di aiuto nonostante i passanti. Purtroppo, è morta pochi giorni dopo.
L'episodio ha sconvolto tutti coloro che hanno visto il video della piccola Wang Yue su Internet, e nasce spontanea la rabbia e l'indignazione nei confronti dei passanti che, gettata un'occhiata fugace alla piccola riversa nella pozza di sangue, hanno proseguito senza intervenire.
Non è il primo episodio di indifferenza.
Il primo, che ha dato il via a questa "tendenza", è stato quello di Kitty Genovese, 1964, il "classico" esempio di indifferenza degli spettatori riportato nei manuali di Psicologia Sociale.
Altri casi analoghi si verificano ogni anno. È stupido chiedersi il perché dell'indifferenza dei passanti negli episodi di vero e proprio omicidio premeditato (come quello avvenuto in Sicilia un paio di anni fa). La risposta è ovvia.
Ha più senso chiedersi perché mai le persone non intervengono in casi di incidente, pericolo ed evidente necessità. E ha più senso spegnere la TV quando a parlare di cose simili sono stupidi "opinionisti" (come nell'Arena di Rai 1) o pseudo-esperti millantatori, chiamati dai TG, che gettano fango su tutta la professione.

La Social Cognition ci insegna che questo fenomeno è dovuto a un tipo di atteggiamento e comportamento stabile in ognuno di noi quando ci troviamo in un gruppo. Si chiama ignoranza pluralistica, ovvero la percezione da parte dell'individuo di non avere informazioni sufficienti per poter agire, delegando il compito agli altri membri del gruppo che, però, la pensano come lui. In pratica nessuno fa niente perché ognuno pensa che qualcuno alla fine farà qualcosa. Un po' come quando a una lezione nessuno ha il coraggio di chiedere di rispiegare un argomento pur non avendolo capito, sperando che qualcun altro lo faccia al posto tuo.
L'ignoranza pluralistica scatena l'effetto spettatore, in cui per diffusione della responsabilità un individuo sente di meno il peso della responsabilità quanti più sono i membri del gruppo in cui si trova.
Oltre a queste motivazioni cognitive, ne esistono altre di tipo più prettamente sociale. Paura di fare una brutta figura, di fraintendere la situazione, di non avere le qualità necessarie, ecc.
Nel caso dell'uomo caduto sui binari, in Spagna, e salvato dal giovane poliziotto non in servizio, la situazione è diversa. La responsabilità percepita dal giovane non è uguale a quella degli altri, da una parte. Dall'altra, l'azione può essere stata compiuta per "deformazione professionale", dato che era pur sempre un poliziotto, o perché l'aiuto fa parte dei tratti di personalità che, a suo avviso, lo definiscono.

Nel caso della piccola Wang Yue, però:
1. Non ci sono poliziotti fuori servizio, in giro.
2. Non c'è una gran folla, anzi, non c'è proprio nessuno oltre al singolo passante.
3. Non c'è l'apparenza di un omicidio, dato che è una bambina ed è evidente che sia stata investita.
Perché allora nessuno ha fatto niente?
Ci sono diverse colpe.
La prima "colpa" è quella della cultura.
Le società orientali sono una cultura collettivistica; giudizi, atteggiamenti, convenzioni, mirano al bene del gruppo piuttosto che del singolo. Basti pensare che le mamme occidentali, nel giocare coi bambini, esaltano valori come il primato, la vittoria, l'allegria ecc. Le mamme cinesi, invece, esaltano la disciplina, l'onestà, l'interdipendenza - per esempio, danno un gioco al bimbo e si aspettano che lui glielo restituisca.
Sebbene non ci fosse un gruppo di persone, davanti alla bimba, è evidente che i singoli passanti hanno interiorizzato il collettivismo (ma non l'interdipendenza, a quanto pare) della propria cultura al punto da non avvertire alcuna responsabilità.
La Cina, d'altronde, soffre di un sovraffollamento che non si è mai visto nella storia dell'umanità.
Gran parte dei problemi del mondo derivano proprio dal sovraffollamento. In un'intervista, prima della sua morte nel 2009, l'antropologo Claude Lévi-Strauss notava come il mondo fosse cambiato dai tempi in cui svolgeva i suoi studi sulle popolazioni nella foresta amazzonica, quasi un secolo prima.
E a ben guardare, se nel 1900 la popolazione mondiale ammontava a circa un miliardo e mezzo di persone, ora siamo arrivati a ben 7 miliardi. Che sia questo, dunque, che bisogna aspettarsi dal progresso dell'umanità? Escludendo la diminuzione dei campi coltivabili, del bestiame, delle risorse energetiche, escludendo tutti gli abitanti del Terzo Mondo e tutti i poveri sparsi sul globo.
Il futuro dell'umanità sarà dunque l'indifferenza?