È passato un anno (e qualche giorno) da quando ho annunciato l'uscita di Blestemat.
Da allora sono successe diverse cose, che mi hanno distolto dal blog (a cui ormai sapevo di non poter prestare comunque molta attenzione).
Nell'arco di pochi mesi, il romanzo è andato abbastanza bene (molto bene, per essere una breve commedia-thriller fantasy meridionale coi rumeni e le bestemmie in salentino, per capirci), e a soddisfarmi sono state soprattutto le opinioni che ho letto, sia quelle pubblicate sui lit blog, sia le recensioni su Amazon, sia quelle che mi sono state mandate in privato. Il tempo impiegato dai lettori per leggere l'opera e scriverci addirittura un parere vale più di qualsiasi stellina assegnata sugli store.
Non esito a definirmi orgoglioso dei "miei lettori", perché ciascuno ha argomentato in maniera precisa diversi aspetti (sia punti forti che punti più deboli) su cui ho investito tempo ed energie: sapere che non sono passati inosservati mi ripaga del tempo speso.
Più di qualcuno mi ha contattato privatamente per parlare dell'opera, e questo mi ha fatto molto piacere. Più di qualcuno, inoltre, è stato "ispirato", si è sentito motivato a scrivere, o a riprendere a scrivere, a studiare la tecnica.
Missione compiuta, insomma.
Vaporteppa ha una filosofia ben precisa, e il dialogo con i lettori ha dimostrato che il progetto funziona. La cura estrema verso il testo, verso la costruzione e lo sviluppo della storia, le scelte grammaticali ben ponderate, la linea editoriale ben definita verso un tipo di narrativa che pone come pilastri l'immersione nella storia e l'intrattenimento proprio della fiction così come dovrebbe essere: tutte queste caratteristiche hanno incontrato la mia visione (non solamente mia, semmai una visione comune) della narrativa, maturata negli anni, tra scrittura e lettura, e da lì tutto è stato naturale, proporre la storia e lavorarci su.
La cosa più importante che vorrei sottolineare è la questione puramente tecnica della scrittura. Sul sito di Vaporteppa c'è un esauriente articolo dedicato alla questione del talento, della contrapposizione tra "genialità innata" e "talento appreso".
A scrivere bene si impara, col tempo, e studiando. Chiunque segua il mio blog si ricorderà quanto spesso ne ho parlato, quanto mi sia cara la questione.
Una delle cose che più mi infastidiscono della letteratura mainstream è l'intoccabilità degli autori "famosi", quel sistema secondo cui se un autore è pubblicato e vende allora sicuramente è un genio. La paura di dire che il re è nudo. La paura di dire che l'opera vincitrice di quel premio Strega fa schifo.
Vaporteppa va controcorrente, o per essere più raffinati, procede a cazzo duro: non cerca il caso editoriale, il best seller romantico scritto da un'adolescente cieca (magari scritto direttamente con lo smartphone). Non cerca l'occasione o lo scoop, non segue le mode.
Vaporteppa ha l'obiettivo di portare buona narrativa in Italia, punta sulla qualità, non sfrutta l'hype o la notorietà per vendere e deludere: per questo motivo seleziona gli autori più promettenti, e dopodiché, a seconda delle capacità, li addestra laddove serve. A qualcuno può sembrare presuntuoso, ma chi non ha mai vissuto il mondo della scrittura non ha idea di quello che accade, non ha idea che c'è gente che avrà scritto 50mila parole in tutta la sua vita e secondo cui scrivere di "gocce umide contro la finestra bagnata" è ok, gente convinta che basti l'ispirazione a produrre qualcosa di buono. Gente che spesso viene anche pubblicata dalle principali case editrici!
Così come c'è gente che ha studiato diversi manuali di scrittura, si è allenata su diversi stili e generi, che ha passato un sacco di tempo a scrivere e cestinare, e a continuare a studiare.
Ho passato gran parte della mia adolescenza a emulare scrittori famosi, a studiare manuali di scrittura, a leggere vagonate di fiction di tutti i tipi, a provare diversi stili.
Per questo motivo ammiro Vaporteppa e mi riconosco nella sua politica. Anche il lettore più navigato potrebbe non accorgersi di tutti gli espedienti stilistici utilizzati in Blestemat. L'azzeramento degli avverbi inutili in -mente, l'eliminazione dei gerundi temporali che non specificano, il vocabolario ridotto all'osso, l'Io sommerso, con la relativa eliminazione dei verbi di senso, la costante attenzione a mantenere i periodi quanto più brevi possibili e privi di parole inutili.
Per non parlare di tutto quello che riguarda la struttura della storia in tre atti, dell'arco di trasformazione del personaggio, della premise, del tema fondante, ecc., aspetti su cui ero carente.
L'obiettivo non è che il lettore se ne accorga (sebbene, come già detto, a qualcuno non sfugge, e ciò permette di intavolare una bella discussione sulla tecnica), ma che il ricorso a tutti questi espedienti faccia scomparire la realtà esterna e immerga completamente il lettore nella storia.
Grazie a chiunque abbia letto Blestemat, grazie a chiunque lo leggerà, e grazie di cuore a chi mi ha contattato o vorrà contattarmi per parlare di scrittura e dintorni.
mercoledì 14 settembre 2016
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