mercoledì 9 aprile 2008

Tecniche di scrittura: Punti di vista (& personaggi)


Per Punto di vista, pdv, (Point of view, per gli anglofili, abbreviato pov), s'intende di solito il "modo di vedere" la storia attraverso gli occhi di un personaggio (alla volta). In questo modo generalmente il narratore scompare, come personalità, dicendo solo ciò che accade, senza commenti, e in modo molto distaccato, lasciando il posto ai pensieri e al modo di vedere del personaggio.
Pregi: il narratore può limitarsi a rivelare solo ciò che vedono i personaggi: se Tizio entra nella città X, il narratore potrà dire che Tizio ammira l'arco d'entrata, il burrone alla sua destra, la montagna alla sua sinistra, ma nient'altro che non sia nel campo visivo/mentale del personaggio: il narratore onnisciente con la smania di raccontare tutto, invece, dirà anche che in passato la città X era appartenuta al Re Caio, che l'aveva chiamata così per questo e quel motivo, ma che in seguito un esercito di orchi-vampiri-draghi-assassini è penetrato distruggendo tutto ecc. In realtà, anche attraverso il pdv del personaggio si possono fornire queste informazioni, solo che bisognerà farle cadere dall'alto, centrando i personaggi adatti a dirle e il contesto giusto.
Difetti: sembrerà strano, ma è difficile che ciò che il narratore onnisciente direbbe a ruota libera si possa trovare nelle parole dei personaggi. Se voi entrate in una città/paesino poco lontano da dove abitate, non credo che il primo che passa vi dirà le origini, la storia ecc. Parlo, insomma, di coerenza e verosomiglianza. Ammesso che lo scrittore riesca a inserire nelle bocche giuste queste informazioni, è difficile, per verosomiglianza, che un certo personaggio ne incontri un certo altro che gliele fornisce. Mi spiego: se bisogna dare a tutti i costi delle informazioni sulla città X, affinché il lettore possa collegarle con ciò che avverrà dopo, nella trama, è molto facile incappare in situazioni assurde e inverosimili, perché il narratore non sapeva come diamine raccontare le origini della città.

Per questo problema c'è una soluzione semplice: stendere una scaletta degli eventi, in modo che non si scriva bloccandocisi proprio nel punto in cui costringiamo Caio a dire a Tizio dell'esercito di orchi-assasini ecc. Vedendo la situazione dall'alto, possiamo gestire meglio dialoghi, personaggi, eventi e tutto.

Da qui, eccomi alla ragione per cui volevo scrivere questo post. :)
La storia intera dipende dai personaggi. Mi spiego: Tizio può essere un pazzo assassino che sbava e grida, o un pazzo assassino furbo e scaltro: le due cose determinano lo svolgersi degli eventi, e non è mica una bazzecola. Ma, a meno che non si abbia già un'idea matura di tutti i personaggi del racconto/romanzo, è impossibile determinare il carattere dei personaggi senza averli prima "conosciuti". Una fredda scaletta non ti permette di descrivere un personaggio, né ti costringe a farlo parlare. Lo scrittore, insomma, il più delle volte conosce i personaggi facendoli interagire sul posto, improvvisando, in una specie di teatrino. Per questo, io suggerisco, quando si è in dubbio coi personaggi (o con la storia), di scrivere una scena inutile ai fini della trama: in questo modo si dipingono i personaggi, si fa un po' di chiarezza storia affrontandola coi loro pensieri, e via discorrendo. Se poi la scena non fa tanto schifo e può tornare utile, ben venga, la si potrà inserire tra le altre, magari arricchendola.

In linea di massima, questo è ciò che può accadere ad alcuni nello scrivere. Non mi sento di assolutizzare niente, perché le vie della scrittura sono infinite. :)

6 commenti:

Spirito Giovane ha detto...

Una delle difficoltà che mi attanaglia più spesso è "narratore eclittico" o "narratore onniscente"? Reputo questi due modi di agire uno opposto all'altro.
Quindi la domanda sarebbe: mantenere sempre e comunque il PDV dei personaggi, oppure inserire il PDV del narratore/autore? Ed in che modo, poi.
Quindi condivido la difficoltà di rendere reale il fatto che passi un vecchietto in una città e che racconti la storia della sua città senza alcun aggancio. E molti tuttavia lo reputano un metodo valido.
Sinceramente sono ancora poco acculturato sulla prosa e vi ho poco ragionato, ma sto cominciando.
Perciò avrai maggiori miei impressioni quando incontrerò lo stesso ostacolo in modo sensibile.
Per ora, concordo col tuo PDV...XD

Umilmente,
Spirito Giovane a.k.a. Danieleu

Glauco Silvestri ha detto...

Beh... se una certa informazione deve essere data per il "bene" della storia, allora conviene farla raccontare ad una "voce narrante" esterna. Magari mentre il personaggio si avvicina, il narratore allarga il diaframma e comincia a raccontare la storia del luogo... mossa di solito abbastanza furba per non incappare nella descrizione noiosa di un eroe che cammina in un bosco dove non accade nulla...

Quanto al pdv... beh, concordo con te che i personaggi crescono e "si mostrano" mano a mano che la storia si sviluppa ma, anche qui, l'autore può giocare sporco e presentare i personaggi in principio, magari introducendoli in situazioni che ne chiariscono la storia e il carattere.

Visto poi che il post è incentrato sui fantasy, un trucchetto (però strausato... ahimè) è quello di raccontare una storia già accaduta... ovvero è il personaggio stesso che racconta la sua storia. La bravura sta nel mostrare all'autore "questa verità" con piccoli dettagli, indizi nascosti, evitando così il capitolo con il vecchietto che raduna i bambini e inizia dicendo: Tanto tanto tempo fa, quando ero giovane... eh..eh..

Insomma, la bacchetta magica sta in mano a chi scrive. Ma il potere va usato con responsabilità (eh..eh.. ovviamente parafrasando spiderman).

Federico Russo "Taotor" ha detto...

"presentare i personaggi in principio, magari introducendoli in situazioni che ne chiariscono la storia e il carattere."

Vero, ma già questo è un possibile forzare la verosimiglianza. Mettiamo che Tizio ha la forza di cento tori, avrà anche il fisico di un armadio: presentarlo mentre fa a pezzi uno che cerca rogne sulla strada verso Città X è assurdo: nessun pazzo cercherebbe rogne con un armadio! XD E poi il lettore stesso riterrebbe scontata la scena "fattapposta". Mi sa che questa questione sulla verosomiglianza richiede un altro post. :) Difatti è difficile poter stabilire un rimedio o una scappatoia - altrimenti saremmo già tutti autori affermati! XD

Daniele:
"la difficoltà di rendere reale il fatto che passi un vecchietto in una città e che racconti la storia della sua città senza alcun aggancio. E molti tuttavia lo reputano un metodo valido."
Infatti, mi stupisco talvolta di vedere che critici ossi duri tollerino (e, anzi, apprezzino) questa cosa. A questo punto, allora, ci sarebbe solo da sperare che nessuno si accorga dell'artificio. :)

Gamberetta ha detto...

Il narratore onnisciente è difficile da gestire, si rischiano disastri e ha un sapore di favola che è molto particolare e inadatto al 90% della narrativa di genere. Se un’informazione è davvero vitale per il romanzo ci si ingegna a mostrarla.
Non so, se per esempio nel nostro di mondo dovessi dire che c’è stata la Seconda Guerra Mondiale, mostrerei il ritrovamento di una qualche bomba inesplosa: è drammatico e permette di far capire che c’è stata la guerra senza che nessuno la citi esplicitamente.

***

In realtà quello d’inventarsi scene “inutili” per conoscere i personaggi è una tecnica per scrivere la scaletta. L’idea è di scrivere il romanzo / racconto senza scaletta, mettendo tutto quello che capita, seguendo l’ispirazione (ovviamente bisogna sapere almeno dove partire e dove arrivare), poi quando si è finito si rilegge e da questo si estrapola la scaletta per la seconda stesura.
Qui però si ritorna al discorso di tempo fa sull’agilità di scrittura. Una tecnica come questa implica lo scrivere mettiamo 300 pagine e poi buttarle quasi tutte, perciò ci devi impiegare un tempo ragionevole, o il romanzo vero e proprio non lo si comincerà neanche!

Anonimo ha detto...

Oppure, invece di contrapporre dicotomicamente, in ottemperanza agli insegnamenti più sclerotizzati e più rigidamente didattici - che d'altronde, secondo il loro approccio canonico, non riescono nemmeno a risolvere il problema dei dialoghi, scoprendosi inermi di fronte al dovere di dover riunire nel loro studio tutte le possibilità su cui un discorso può comporsi e costituirsi - il tipo del punto di vista personale, che tecnicamente consiste nella focalizzazione interna variabile, al tipo del narratore onnisciente, corrisponedente alla focalizzazione zero, attestando così la necessità per cui l'una prospettiva narrativa debba sempre e del tutto escludere l'altra, si può considerare e rivolgersi al tipo del narratore onnisciente ristretto, o focalizzazione primaria - risalente ai poemi in prosa di illustri protoromantici tedeschi quali Klopstock, Wieland, Wackenroder, che la adoperavano preminentemente per esprimere la prefigurazione, al termine dell'opera, del futuro più remoto degli eventi raccontati - cioè a quel tipo di narratore, adottato dalla Woolf, da Joyce, da Svevo - e anche da Tolkien ne "Il Silmarillion", benché in modo meno netto, chiaro e pregnante rispetto alle proporzioni che invece questo metodo assume negli altri tre autori - che riesce meravigliosamente a coniugare la vastità assoluta dello sguardo della focalizzazione zero - che peraltro, come dimostra Anselmi, contemplata isolatamente, è sempre attentata dal feticcio della focalizzazione interna assoluta, tipica, per esempio, delle maniere più estenuate di Galsworthy, Platonov, Gide, che è un'altra prospettiva non studiata dalla tassonomia didattica - dove la sua disponibilità argomentativa abbraccia tutta la stessa disponibilità della materia della narrazione, e la specificità, la robustezza, la variegatura, la speditezza, l'incisività che connotano la focalizzazione interna variabile - essa invece, in accordo questa volta con la dimostrazione operata da Cataldi, costantemente insidiata dalle lusinghe della focalizzazione esterna massimale, paradigmatica dello sperimentalismo critico di Schnitzler, Perec, Bontempelli, e parimenti ignorata dalle ricognizioni didattiche
Ma, lo so, queste finezze - purtuttavia precipue - la scuola superiore non le delucida - non le delucidava nemmeno ai miei tempi! però le università se ne occupavano diffusamente; ora invece non so...ma spero sinceramente che continuino a interessarsene analiticamente - nè, forse tanto meno, le possono insegnare i corsi di scrittura. Comunque, Taotor, è bene sapere, per te e per gli altri che si affannano in tale questione e che qui discorrono, che una soluzione unitaria, armonica, compendiaria per poter legittimamente evitare di dover scegliere fra uno solo dei due corni dell'alternativa circa la prospettiva narrativa, rinunciando all'altro, per poi fronteggiare comunque gli inconvenienti che irresistibilmente insorgono nel riferirsi al polo opzionato separato dal polo che gli è idealmente complementare, saldamente esiste.
Cercando di risolvere il dubbio che affligge Spirito Giovane, direi che, per comprendere come integrare, bilanciare e giostrare perfettamente il binomio fra punto di vista personale e narratore onnisciente, possa essere sufficiente leggere e rileggere "I promessi sposi", concentrandosi sull'architettura con cui i personaggi e gli accidenti storici confabulano apertamente con la voce narrante lungo tutta l'opera, che, secondo Raimondi, appunto non è altro che l'ininterrotto colloquio di Manzoni con la sua coscienza e con il mondo, con il potere che ha per sè e con il potere che subisce fuori di sè.

Feanor

Federico Russo "Taotor" ha detto...

@Gamberetta: già, ingegnarsi è il problema. Il tuo esempio è giusto; bisognerebbe però ritrovarsi in situazioni disperate, per lambiccarsi il cervello su come ingegnarsi. :)
300 pagine di scaletta? Tanto vale non farla proprio!, e scrivere a flusso di coscienza, ché magari ne esce qualcosa di migliore. :D

@Feanor, bentornato. :)
Il narratore dei Promessi Sposi, ahimè, è il tipo di narratore non molto amato dal pubblico - io ammiro molto Manzoni che tra le tanti doti, riguardo alla narrazione è capace di spostare la focalizzazione del narratore da focalizzazione zero a esterna, con abilità (si noti come interviene nelle scene di pathos e scompare del tutto in alcuni dialoghi, e quest'ultima cosa mi ricorda un po' lo stile "commerciale" ma limpido e scorrevole del Dumas dei moschettieri.).
Questa antipatia nei confronti del narratore esterno onnisciente e "interagente" col lettore credo sgorghi dalle diverse necessità del pubblico, influenzato dal grande e piccolo schermo, e più sensibile alla sospensione dell'incredulità.