Ho cominciato a leggere I giardini della Luna (d'ora in poi: I giardini) qualcosa come cinque anni fa o poco meno - nonostante la copertina orribile, frutto della peggiore bimbaminkia che si pimpa le foto e le mette su Facebook.
L'ho ricominciato due volte, e per due volte ho dovuto interrompere. Interruppi la lettura, la prima volta, perché mi stava piacendo a tal punto che non volevo finirlo senza avere pronto il seguito. La seconda, per colpa dell'inizio dell'università.
Con l'estate, tempo libero, senza esami, mi ci son messo.
Ebbene, il mio giudizio finale si può riassumere con: 'Nsomma.
In giro si diceva che Erikson ti spiazza, che parte in medias res, che capisci tutto solo un bel po' dopo la metà del romanzo.
Be', è vero e non è vero.
L'inizio in medias res di solito è cosa buona e giusta, ma come tutte le cose, se una cosa va fatta, va fatta bene. E
non è fatta bene, nei Giardini. In realtà, nei Giardini,
molte cose non sono fatte bene: è un romanzo buono che zoppica e cade su uno stile approssimativo, che non raggiunge la sufficienza necessaria a permettere al lettore di godere degli elementi della storia.
Steven Erikson non show, ma manco tell. Ha la capacità di
raccontare cose che invece meritano dettagli e approfondimenti, e di
mostrare cose assolutamente inutili.
Un esempio.
La locanda della Fenice è un posto che viene descritto, e dico descritto, quanto basta per poter creare un'immagine nella mente, solo a pagina 397 di 516. Nonostante fosse apparso più e più volte duecento pagine prima e rappresentasse anche un luogo piuttosto importante per lo svolgimento della storia.
Ma fino a pagina 397, nella mia mente c'erano solo nebbia e tavoli di legno coi personaggi seduti attorno. Per qualche assurdo motivo, infatti, Erikson descrive la pozza di birra versata sulle assi del tavolo, le quali lasciano spazio a una fessura abbastanza larga in cui Paran decide di infilare la spada. E il narratore ci dice anche che "Le assi erano state fissate coi bulloni a un telaio egualmente robusto. Ottimo. Ma... Il resto della locanda? Si può sapere com'è fatta?
Lo stesso vale per gli svariati luoghi: una manciata di termini generici per indicare una strada, un panorama, che sono privi di sostanza e non rendono alcunché, e questo mi fa davvero incazzare, perché delude la mia sincera voglia di calarmi nella storia. Ne esco solo con continui grattamenti di testa.
E oltre ai luoghi ci sono anche le armi, che Dio solo sa che forma hanno: Anomander Rake ha una spada bella grande dietro la schiena, oscura, buia,
antica (termine che piace molto a Steven). Il narratore non ci dice granché.
L'Aggiunto Lorn ha una figherrima spada Otataral (dal potere assurdo): fatta di un minerale rossastro. Poi chi lo sa che forma ha l'elsa, la lama, il pomo, quanto pesa, come si comporta in combattimento, boh.
Non son degni di descrizioni nemmeno i personaggi. Può capitare una mezza descrizione, ma scompare nella marea di parole: è saggio, per un autore, ricordare l'aspetto dei personaggi al lettore, perché chi legge non memorizza tutto a macchinetta, bisogna colpirlo, bisogna accompagnare le capacità cognitive di una persona nella ricostruzione del mondo interno dell'autore. Non è facile, ma si presume che uno scrittore lo sappia fare. Quindi, scopro solo verso la fine del romanzo che un personaggio ha la pelle nera, un altro gli occhi a mandorla, un altro aveva i capelli a coda. Se è stato detto più e più volte, la colpa è mia, non sono stato attento. Ma non credo.
La descrizione mancata è una pugnalata all'ambientazione. Ci sono diverse razze, ma sebbene una sia sempre più antica dell'altra, non ho ben capito in cosa differiscano. I T'Lan Imass mi affascinavano, ho capito che sono morti, sebbene qualcuno viva, e che quindi scricchiolano perché cadaveri o giù di lì. Ma è tutto confuso e avrei voluto creare un'immagine precisa da collocare negli eventi narrati. Poi ci sono i Jaghut, i Moranth, ma boh, compaiono spesso ma il narratore li fa parlare, li fa muovere, ma oltre al dettaglio scappato per sbaglio, nella testa c'è solo una sagoma standard col punto interrogativo sopra.
Un grave problema di Erikson sono i pov. Forse a quel workshop di scrittura creativa lui era andato in bagno proprio al momento della lezione sui pov, chissà.
Fatto sta che li usa come vuole, senza freni, ad minchiam, con esiti disastrosi:
Paran si alzò, slacciando il cinturone. Lo posò sul tavolo, poi estrasse Fortuna.
I pochi clienti regolari del bar ammutolirono, girandosi a guardarlo. Dietro il banco, Scurve allungò la mano verso il suo bastone.
Paran, il protagonista, non è un assiduo frequentatore del posto. Quindi non può sapere quali siano i "pochi clienti regolari del bar".
Inoltre, è chiaro che l'azione di Scurve - il locandiere - che "allunga la mano verso il suo bastone" è totalmente fuori dal campo visivo e cosciente di Paran.
Il risultato che si ottiene è una buona scena per un film (Paran che si alza e si slega il cinturone, cambio inquadratura sui volti preoccupati dei clienti che si guardano, cambio con inquadratura "nascosta" nel bancone che riprende Scurve dal basso mentre afferra il bastone).
Per un film va bene, per la prosa no. Non che qualcuno lo vieti, ma se la stessa scena venisse scritta omettendo l'onniscienza del narratore non si perderebbe nulla. E, se si aggiungessero invece dettagli da in-pov, si assorbe di più la personalità del personaggio e la credibilità della scena.
Inoltre, stilisticamente parlando, scegliere di adottare un pov e poi saltare a un altro - come avviene più e più volte nel corso del romanzo -, è come fissare delle regole e poi non rispettarle. Un po' come giocare in due a scopa napoletana, e al momento della scopa di uno l'altro dica: "No, questa è la scopa francese, si prende l'11 e il 13".
O ancora, è come se la Gioconda fosse stata dipinta così com'è ma col volto cubista.
O come se in una composizione in 4/4 in un'orchestra uno strumento andasse per i fatti suoi a tempo di valzer, 3/4.
Questa faccenda dei pov si complica ulteriormente a causa dell'incapacità di Erikson nell'usarli, più (combo) l'incapacità descrittiva dello stesso per i personaggi.
Attraverso gli occhi di un personaggio, infatti, il narratore "presenta" un altro personaggio, conosciuto e dotato di pov in altre pagine, come una persona sconosciuta.
Dato che non dà ai personaggi dettagli stabili che li contraddistinguino, e non sapendosi destreggiare coi pov, va a finire che indica con epiteti pronominali personaggi già conosciuti ma rendendoli sconosciuti. "L'uomo fissava Tizio, mettendolo a disagio. Tizio disse:" E poi dopo qualche riga Eriskon smette di chiamare il nuovo arrivato "l'uomo" (o "la donna", o "la figura") ma lo chiama per nome. WTF?! Non poteva farlo prima? Confonde e basta.
Ma Erikson non ha idea di come funzioni la prosa, perché usando i pov a suo piacimento, dà le informazioni che ritiene necessarie, come preferisce, e così facendo pretende di creare colpi di scena.
C'è una scena che si apre con un protagonista "sconosciuto". Ora, in realtà questo è un personaggio che ha già goduto di pov e di altre scene. Ma in questa scena, è in altri panni, sotto copertura. Così, Erikson ha ben pensato di camuffare pure il pov e sviare il lettore. La scena si conclude in questo modo:
"Che Nerruse ti benedica", esclamò, il volto gioioso. "Affare fatto, amico. Ehi, non so nemmeno come ti chiami!"
Il Violatore del Cerchio sorrise, poi glielo disse.
Se il pov fosse stato del primo personaggio (una guardia), questa scena avrebbe senso. Ma la scena è narrata attraverso gli occhi del protagonista, che però è allo stesso tempo un altro personaggio. Non può esistere un colpo di scena simile, perché significa prendere in giro il lettore: puoi farlo con una macchina da presa, perché con le immagini puoi "mentire". Ma non con la prosa! Stai usando un dannato pov! Il pov deve essere trasparente! Si tratta di prendere una posizione e continuare con coerenza!
Dal punto di vista stilistico più "terra terra", ci sono avverbi a profusione e infodump non richiesti o mascherati con l' "as you know, Bob".
I personaggi (protagonisti) poi sono tutti militari o affiliati. Fa molto MMORPG, dove il mondo è composto solo da giocatori guerrieri e maghi, e i veri abitanti sono solo sparute comparse sbiadite. Oltretutto, a parte quache eccezione, come Kruppe e Crone, che parlano in terza persona, tutti gli altri personaggi parlano alla stessa maniera. Tutti. E i dialoghi di rado sono interessanti, perché si discute di strategie di guerra e di politica. Ora, le strategie possono essere interessanti, ma solo quando si hanno i dettagli sufficienti ad appassionare, quando il dialogo è ben reso, e quando hanno un senso. Nel romanzo però mi hanno lasciato perplesso pressoché tutte le operazioni o i piani bellici. Non sono giustificati, o comunque dai dialoghi non si ricava un senso. A fine romanzo, molti eventi che sono accaduti e passati mi sono rimasti oscuri.
Allo stesso modo la politica. Sono tutte chiacchiere vuote, l'ambiente politico non esiste, se ne parla ma non c'è, non è chiaro il ruolo del Consigliere, visto che non è l'unico politico, e non si sa chi altri c'è, nella città di Darujhistan, ad avere potere e così via.
E' tutto molto confuso e privo di senso.
Non si prende sul serio nemmeno la vita. Esistono Corporazioni di ladri e di sicari, come nel miglior Elder Scrolls, ma paradossalmente si parla di uccidere e morire così come se ne parla in un cartone animato o in un videogioco. Nel romanzo i personaggi non danno peso alla vita e alla morte, sembrano bambini. Eppure, in svariati punti del romanzo si lasciano andare in meditazioni allunga-brodo sulla vita, sulla morte, su quanto sia terribile. Epic fail.
I personaggi dei Giardini poi parlano da soli ad alta voce. "E ciò è totalmente assurdo", mormorò il Taotor, fermo con le dita sulla tastiera, mentre osservava il monitor. "Le persone non danno voce ai propri pensieri con tale frequenza, è ridicolo. E soprattutto, non lo fanno in particolari condizioni."
Un esempio pratico tratto dal romanzo. L'Aggiunto Lorn ha appena scavalcato un muro per fare qualcosa di importante, ma a quel punto si sente di dover riflettere sul significato della sua vita:
"Non serve nascondersi", mormorò, posando uno sguardo cupo sulle foglie morte e i rami intorno a lei. "Non serve".
(...)
"La missione dell'Aggiunto", mormorò, "è quasi giunta al termine."
Troppo LOL, poi, lei che parla di sé in terza persona con tale sollenità. LOL!
Ci sono poi dettagli che mi hanno fatto storcere il naso.
L'ambientazione, per esempio, dovrebbe essere medievaleggiante, fantasy classico. Ma è "arricchita".
I personaggi prendono brocche dalla mensola sul camino e versano vino nei calici. Io mi sono immaginato una cosa molto radical chic, con un po' di smooth jazz in sottofondo e grossi calici di sottile vetro soffiato.
Ma in un'ambientazione medievaleggiante mi aspetterei dei boccali di argilla, o ceramica, o legno, o magari dei corni.
L'illuminazione stradale a gas, altra cosa. Non che non possa esistere, ma mi ha fatto storcere il naso. Se non sbaglio l'illuminazione a gas in Europa è arrivata nel XVIII, XIX secolo. Ma potrei sbagliarmi, e comunque non sarebbe impossibile, visto che comunque è un mondo con la magia. Ed è fantasy!
Una scena mi ha lasciato perplesso. La incollo in lingua originale, così si può cogliere l'orrore in -ly e i "disse" pompati di steoridi.
As they passed along the counter, Scurve looked at them warily.
Kalam released an exasperated curse and, in a surge of motion, reached out and grasped him by the shirt. He pulled the squealing innkeeper half-way across the counter until their faces were inches apart.
'I'm sick of waiting,' the assassin growled. 'You get this message to this city's Master of the Assassins. I don't care how. Just do it, and do it fast. Here's the message:
Perché diamine un "innkeeper" - l'unico che gestisce la baracca, stando a ciò che è scritto - dovrebbe fare da messaggero? Che c'entra? Perché trattarlo in quel modo? E chi bada alla locanda? E poi, con tutti i sicari che ci sono in giro, il locandiere potrebbe assoldarne alcuni e uccidere quei rompiscatole che entrano, escono, lo maltrattano e fanno i comodacci loro.
In alcuni punti, poi, la narrazione è confusa e - almeno io - non ci ho capito niente. Nella seguente scena, oltre alla confusione di eventi non mostrati ma raccontati alla bell'e meglio (senza risultato) si somma anche il raccontare generale che, non specificando nulla, cade nel ridicolo: [versione italiana]
Whiskeyjack, paralizzato, guardò incredulo il corpo di Ben lo Svelto urtare quello della donna. Entrambi si scontrarono con il servo, e tutti e tre caddero a mucchio. Il flusso ondeggiante di energia si aprì un varco attraverso la folla allibita, incenerendo tutti quelli che toccava. Al posto di uomini e donne, rimase solo cenere bianca. L'attacco si ramificò verso ogni cosa in vista. Alberi si disintegrarono, pietra e marmo esplosero in nubi di polvere. Persone morirono; in alcuni, parti del corpo semplicemente sparirono.
Da notare: non so chi sia il servo che urtano. Nel complesso la scena mi ricorda Mars attacks! di Tim Burton, con gli alieni con le pistole a raggi che polverizzano la gente.
Fastidiosissimo poi il raccontare e non mostrare e pretendere che il lettore abbia tanta fantasia per compensare quella che manca all'autore. In un punto del romanzo, per esempio, Erikson indica "poltrone lussuose". Lussuose. Mah. Definire "lussuose"?
O ancora:
Giunto all'estremità del tavolo si trovò davanti all'ometto grasso seduto in una confortevole sedia antica
Cosa contraddistingue l'essere confortevole? L'imbottitura? Il design? In un'ambientazione medievaleggiante cosa si intende per "antica"? E ancora di più, se in questo mondo ci sono persone che vivono migliaia di anni, quanto può essere antica una sedia? Antica. Mah.
La mancanza di coerenza e di "materialità" dell'ambientazione risulta fastidiosa quando i personaggi usano termini ampiamente rimpiazzabili come "status quo". Allo stesso modo, nel testo originale l'autore indica la Festa di Lady Simtal col francesismo "Fête". Nella mia ignoranza credo che anch'esso possa essere rimpiazzato. Ma, finché viene usato dal narratore a scopo indicativo, si può soprassedere.
I Giardini, nonostante le fastidiose e numerose lacune, tutto sommato non mi è dispiaciuto.
Ci sono svariate ottime idee, l'uso della magia è massiccio ma tutto sommato ho apprezzato il modo in cui viene sfruttata, i Canali, la qualità di ognuno di essi, le razze dei non-umani ecc.
Ho apprezzato anche la presenza degli dèi; ma continuando a leggere ho trovato invece la loro caratterizzazione ridicola: è assurdo il modo in cui si comportano, parlano e pensano delle entità divine. E ancor più assurdo è che si interessino in maniera così morbosa ai fatti degli umani.
Nel complesso, tra i pro e i contro, credo che leggerò anche il secondo volume. Le trovate magiche in stile S&S mi intrigano.
Ma mi riserverò la lettura del secondo in lingua originale: forse, e dico forse, può risultare più gradevole, tralasciando gli orrori di traduzione come "La caduta di Malazan" per "The Malazan book of the Fallen".
Brrr. E li pagano pure.