mercoledì 18 luglio 2012

Impressioni | Occhio nel cielo, di Philip K. Dick

Eye in the sky occhio nel cielo fantascienza Philip K Dick romanzoTapiro mi ha convinto a leggere Dick, e per anticonformismo ho scelto un libro che lui non ha mai nominato. Credo.
Eye in the sky è un romanzo di fantascienza e psicologico in cui, a dirla tutta, il fattore fantascientifico è debole e costituisce essenzialmente un pretesto per il resto della storia.
Jack Hamilton è un ingegnere che lavora presso un'industria missilistica in collaborazione col governo. Siamo negli anni '50, in piena Guerra Fredda. La paranoia per spie sovietiche spinge il responsabile della sicurezza a insinuare che la moglie di Hamilton, Marsha, sia comunista, quindi insieme a lui un pericolo per lo stato, sicché la carriera di Hamilton è compromessa.
Nello stesso giorno, i due coniugi assistono al funzionamento del Bevatrone insieme ad altri turisti. Ma qualcosa va storto e la pedana su cui si trovano viene distrutta: gli spettatori cadono per terra, colpiti dalle radiazioni del macchinario, e perdono conoscenza. O quasi.
Si risvegliano infatti in quello che scoprono essere non il loro mondo, ma un altro: la psiche di uno di loro.
Il resto del romanzo è un viaggio nell'universo psichico di ogni personaggio.

Non avevo mai letto nulla di Dick.
Eye in the sky da un punto di vista stilistico pone premesse pessime: all'inizio, Dick ci rifila infodump e persino un paio di As you know, Bob. Per il resto del romanzo, gli infodump si riducono al minimo trasformandosi in POV a inquadratura più larga (per esempio, il narratore ci dice cosa sta succedendo in un'area fuori dalla visuale del POV protagonista, inducendo quest'ultimo a fare inferenze a dir poco paranormali).
Aggettivi superflui ma soprattutto avverbi pompati di steroidi come se non ci fosse un domani. Avverbi che non passano inosservati, per quanto sono inusuali - persino per il canovaccio narrativo.

Parliamo della storia.
Non conosco le proprietà degli acceleratori di particelle, quindi non capisco se il malfunzionamento del Bevatrone sia un pretesto per il viaggio psichico perchéssì o se si basa su qualche ragione di Fisica (onestamente, ne dubito). Ad ogni modo, l'idea è bella e ricorda tanto - a noi del futuro - qualcosa come Inception.
Il mondo di ogni personaggio rispecchia le proprie credenze. [Accenni di spoiler]: nel mondo di Arthur, vige il Delirio Mistico, in quello della signora Pritchet la censura (come meccanismo di difesa psicodinamico), nella signorina Reiss il Delirio persecutorio, ecc. [Fine dello spoiler.]
Mi ha perplesso la struttura della realtà psichica di ogni personaggio. Sebbene sia il frutto dell'elaborazione del singolo personaggio, che ha il potere di modificarla, non capisco: la signora Pritchet, nel suo mondo, chiede quale zona sia quella che stanno percorrendo in macchina. Mi chiedo: se non la conosce, non dovrebbe nemmeno esistere. E se fosse un prodotto onirico qualsiasi, non avrebbe dovuto essere riconosciuto dagli altri come effettiva copia della realtà oggettiva. Infine se fosse un prodotto collettivo, cioè delle menti degli altri personaggi, ciò contraddirebbe il "metodo" sfruttato da Dick (secondo il quale la mente di un personaggio crea e pone le regole del mondo, a cui gli altri si devono adeguare, e non permette dunque di essere modificato da costoro).
Insomma, mi è sembrato che ci fossero delle piccole lacune, e che Dick abbia seguito un principio estetico più che uno coerente/funzionale).

Lo spessore psicologico dei personaggi è... sottile? A parte il protagonista e sua moglie, i tratti degli altri personaggi prendono forma solo quando la storia sta già carburando (e si volge alla risoluzione). A mio avviso, uno Stephen King avrebbe potuto ideare una storia simile, ma rendendo più complessi i personaggi, dal primo all'ultimo - a costo di qualche pagina in più, d'accordo. E probabilmente avrebbe reso più terribili quegli aspetti che il narratore di Dick si limita a definire "terribili" senza renderli effettivamente tali (senza mostrarli, in pratica, come la casa vivente).

La verità.
Dopo le prime pagine zeppe di avverbi e tell generici, stavo pensando di abbandonare la lettura.
Poi ho immaginato un Tapiro in lacrime e mi son detto no, devo continuare. A convincermi davvero a non mollare sono state le idee, la piega che prendevano gli eventi e la narrazione che, nonostante le "menomazioni", risultava piuttosto movimentata, e le scene condensate in un numero giusto di pagine, senza sciacqui inutili. Per quanto possa averlo dipinto come un orrore, in realtà (questo) Dick è godibile più di molti altri autori, e non escludo che leggerò qualcos'altro, di suo. Sicuramente però non si pone al di sopra della sufficienza.
Gli darei un 6 e mezzo, voto che immagino condividerebbe il lettore medio-esigente. Non escludo che il lettore occasionale troverebbe invece la storia molto stimolante e darebbe al romanzo un voto più alto.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

In realtà ho nominato qualche volta Eye in the Sky, nei commenti e pure in coda all'articolo su The Zap Gun, ma sempre per parlarne male. Dick ha scritto romanzi pure più brutto di questo, ma certo Eye in the Sky sta nella parte bassa della classifica.
Fare l'anticonformista non è stata una buona idea xD

Federico Russo "Taotor" ha detto...

Be' dài, non è stata una cattiva idea. Un po' per fare l'hipster e un po' per variare... Magari qualcuno prima di comprare il libro legge questo post e pensa: oibò, è il punto più basso di Dick, meglio scegliere un altro romanzo! Grazie, Taotor!
Comunque subito dopo Eye stavo provando a leggere La strega di Ilse di Brooks, che ho abbandonato dopo 10 minuti dicendomi Cavolo, Dick non è poi così male!
A buon intenditor... :D

Anonimo ha detto...

Pensa che avevo proprio intenzione di leggere questo libro! Era sulla mia lista dopo aver terminato Tempo fuor di sesto . Forse mi hai salvato... forse lo leggerò lo stesso XD. Sto cercando di conoscerlo un po' meglio, questo signor Dick. Riconosco che il suo stile non è certo impeccabile, e che ha la tendenza ad andar giù pesante con l'infodump, ma ti dirò che -almeno nei romanzi che ho letto fin'ora-, sono sempre riuscita a perdonarglielo. I momenti chiave sa come non sciuparli, e se non altro le sue trame non mi annoiano.
Permettimi ora una domanda sulle ultime righe della tua recensione -domanda che sei autorizzato a ignorare nel caso ti sembri troppo idiota o nel caso io abbia malinterpretato-: 'storia' e tecnica sono fattori svincolati l'uno dall'altro?

Mu

p.s: blog interessante :-)

Federico Russo "Taotor" ha detto...

Ciao!
Premettendo che in narrativa non esistono veri e propri termini specifici - che risultano il più delle volte arbitrari o frutto del senso comune, ovviamente escludendo i termini "basilari" -, direi che la tecnica e le idee fanno la trama. Abbinare ottime idee e un'impeccabile tecnica rendono la storia godibile al massimo.
Ci sono autori che hanno buone idee e pessima tecnica (il campo Sci-Fi è ricco di questi individui, più interessati a esporre la loro idea di futuro piuttosto che narrare una storia), e ci sono autori che sono in grado di rendere interessante l'idea più banale con una buona tecnica in grado di accattivare (per esempio, Stephen King non brilla per idee originali, vedasi IT, ma sa catturarti e ottenere la tua fiducia).
Ovviamente questo è un mio parere, non proprio personale visto che è naturalmente condivisibile, ma ai poli di questo continuum si trovano tante persone che danno più importanza a un fattore (per esempio, le idee) o all'altro (per esempio, la tecnica). :)

Federico Russo "Taotor" ha detto...

Errata corrige: per "trama" ovviamente intendo "storia", che a mio avviso si possono usare come sinonimi, il più delle volte.

Anonimo ha detto...

Teniamo conto che dick scrisse il libro in 2 settimane.
Se avesse avuto 6 mesi di tempo per scriverlo?
Purtroppo per noi ha sempre dovuto fare i conti con la velocità, quando ha avuto un po' di tempo in più ha scritto Ubik.