In sostanza, nell'Arte di correre Murakami racconta il suo rapporto con la corsa (e il triathlon) e la scrittura.
Non è propriamente un saggio, né una biografia visto che Murakami non racconta molti eventi di vita, quanto semmai eventi che coinvolgono la sua esperienza di atleta. E a dispetto della quarta di copertina, non è che la scrittura occupi uno spazio così ampio.
Allora perché parlarne? Tanto per occupare banda?
Sì.
A parte questo, non ho potuto fare a meno di notare due aspetti interessanti: uno più psicologico, sulla personalità di Murakami che sembra emergere da quanto scrive, e l'altro - in maniera indipendente - sulla sua concezione della scrittura.
Murakami scrive:
In questo senso scrivere un libro è un po' come correre una maratona, la motivazione in sostanza è della stessa natura: uno stimolo interiore silenzioso e preciso, che non cerca conferma in un giudizio esterno.Affermazioni simili, quasi di strazzulliana memoria, mi hanno permesso di farmi un'idea di Murakami non proprio positiva. Ricordo di aver scritto (un sacco di tempo fa, quando ero ancora un imberbe adolescente con idee confuse dai troppi ormoni) un post a riguardo. Lì si parlava di scrivere ogni giorno (il Duca e Gamberetta concordavano con me sul fatto che non fosse necessariamente una cosa positiva), in questo caso invece quel "uno stimolo interiore silenzioso e preciso, che non cerca conferma in un giudizio esterno" fa pensare alla convinzione pittoresca dello scrittore che ha un mondo interno preziosissimo che vale di per sé, senza tener conto della forma in cui lo comunicherà. Si tratta dello "starnuto" strazzulliano, la convinzione sbagliata che illude chi si accinge a scrivere che il successo della sua opera dipenderà dalla potenza del suo genio creativo - qualunque esso sia, al di fuori di ogni giudizio oggettivo, "che non cerca conferma in un giudizio esterno".
Questo mi sorprende un poco, visto che Murakami ha uno stile narrativo neanche tanto male, per esempio in Kafka on the shore, in cui la pecca principale è lo sviluppo sconclusionato della storia insieme alla futilità degli eventi (è anche uno di quei casi in cui lo show è troppo e ci vorrebbe più tell).
Ma a questo punto, vista la sua concezione di scrittura, non mi stupisce che reputi un gran capolavoro Il grande Gatsby, per esempio, che personalmente trovo terribile.
Per il resto, cioè mettendo da parte la questione scrittura, quello che mi è parso di vedere è un uomo introverso, con una tendenza al vittimismo (non so se è pervaso da un umore depresso, distimico, che lo porta a scrivere opere "tronche" o drammaticamente deprimenti come Norwegian Wood, o magari ha solo una tendenza a narrare le storie con questa coloritura) e alcune affermazioni mi hanno ricordato tratti schizoidi:
Con un carattere del genere non penso di poter andare a genio a qualcuno.In diverse occasioni poi Murakami adotta delle similitudini a tema bucolico, dal gusto pseudo-zen, che fanno cadere le braccia.
Forse c'è uno sparuto numero di persone che provano qualche interesse per me. Ma è piuttosto raro che io piaccia. Chi mai può provare simpatia o qualcosa di simile per uno come me, uno che manca del tutto di spirito di collaborazione, che al minimo contrasto, va subito a rifugiarsi da solo in un armadio? Mi domando però se uno scrittore di professione abbia davvero, fin dall'inizio, la possibilità di essere simpatico a qualcuno. Non lo so. O forse da qualche parte al mondo questo succede.
Direi che più che per la scrittura o la sua vita, L'arte di correre può essere una lettura accettabile per l'atleta che corre e che ha un interesse per Murakami, ma niente di più. Sinceramente, lo sconsiglierei a chiunque altro.
2 commenti:
Ho letto un altro libro di questo autore che mi e piaciuto. Si intitola 1q84. Presto vorrei leggere anche questo.
bell'articolo ;)
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