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Più volte mi è capitato di dire che chi comincia a scrivere vede il mondo in modo diverso. Vale lo stesso per chi ama leggere. I racconti presentano tante di quelle sensazioni, che ci si abitua ad esse e le si dànno per scontato, senza averle nemmeno provate. La bocca asciutta per la paura, la "lingua felpata come un maglione" (lo virgoletto perché l'ho letto spesso), il brivido lungo la schiena, il non riuscire a muoversi... Sono tutte sensazioni surgelate e impacchettate per la narrazione standard, ma quando si provano viene da pensare: "Wow, allora è così che ci si sente", e diventano tutt'altro che scontate.
Credo che gli scrittori siano dei cacciatori di sensazioni - dato che è solo di questo che si parla, nei racconti: azioni e sensazioni. Chi scrive deve sforzarsi di essere sensibile. Un carattere freddo non accoglie tutti gli stimoli che la vita offre, e così gli stimoli scivolano via e lo scrittore non ha da che attingere, per raccontare.
Gli scrittori sono psicologi senza saperlo. Come si può parlare di personaggi inventati se non si conoscono quelli reali? Non vi capita di studiare il carattere di una persona, il modo in cui parla, il tono che usa, le espressioni facciali che assume...?
Per questo penso che ciò che più assomiglia allo scrittore è il barbone, il vagabondo. Il viaggio e la solitudine sono essenziali per contemplare il mondo, ma anche l'amicizia e l'amore e l'odio il dolore fanno vedere la vita sotto le sfumature più varie.
Per questo motivo sono convinto che lo scrittore non deve rinchiudersi per sempre in uno scantinato buio e scrivere tutto il tempo - ecco perché, nell'altro post, dicevo che scrivere sempre non aiuta necessariamente a essere più bravi, sebbene in quell'articolo si parlasse più del lato tecnico.
Per questo credo che lo scrittore debba, prima di scrivere, vivere.