giovedì 7 novembre 2013

8 orrori narrativi che mi fanno abbandonare un romanzo e perdere fiducia nel genere umano

Chi ha letto qualche mia impressione fulminante sa che mi rompo facilmente a leggere un romanzo, se ci sono aspetti che denotano scarsezza. Il tempo è denaro, ma la cosa più importante è che paradossalmente per perdere tempo una persona si ritrova anche a dover pagare, e questo è ovviamente il caso dei romanzi scarsi.
Per dissonanza cognitiva, però, può capitare che l'atto di aver speso del denaro per quel romanzo convince una persona a proseguire la lettura e dare un senso al comportamento precedente. Un conto però è spendere 20€ per un libro a copertina rigida, un altro è spenderne 1 per un ebook (anche se di questi tempi è più probabile spendere 7-10€ per un ebook, e ciò è vergognoso, quindi tanto vale piratarlo - poi però, se l'opera merita, un po' di buona pubblicità non può che far bene, se non si vuol comprare il romanzo in originale).
Veniamo a noi.
Questi punti non rappresentano lezioni di scrittura, sebbene alcuni li abbia sviluppati proprio in virtù di qualche manuale o in seguito alle bacchettate del Duca sulle nocche, ma rappresentano principalmente riflessioni personali su come alcune scelte narrative siano così scarse da spingere a eliminare il nome dell'autore dal cervello.


  1. Il meteo
    È tipico degli autori scarsi. Anche Palahniuk sconsigliava di raccontare le condizioni del tempo in una storia (se non ricordo male in La scimmia pensa, la scimmia fa), ma, grazie comunque Chuck, la cosa è palese. Se non è necessario, meglio non scriverlo, e se mi capita di leggerlo, per me l'autore parte già con un occhio di biasimo da parte mia. Non che non si possa dire se piove o se c'è il sole, ma mettiamo che il romanzo ti si apra con:

    Capitolo 1

    Il sole brillava tra stralci di nubi di un cielo autunnale. Soffiava una leggera brezza, non troppo fredda, invernale, né calda come l'estate che era ormai trascorsa. Un vento frizzante che...

    In un vecchio post raccontavo le mie abitudini di lettura in bagno. Per mancanza di tempo durante la giornata, è più probabile che io inizi lì un romanzo, e avrò a disposizione pochi minuti, il tempo di fare tutto (ALLERTA: contenuti ad alto tasso di Intellettualità). Se in quei pochi minuti leggo una cosa simile a quella che ho abbozzato sopra, proseguirò di qualche altra pagina per accertarmi che il romanzo sia da buttare, per poi eliminarlo definitivamente e far spazio sul Kindle.
    Questo genere di aperture è tipico dei film. Si possono leggere sceneggiature che cominciano in questa maniera, con un'esterna e uno scorcio sul tempo. La descrizione del clima nella prosa occupa un certo tempo (minuti), mentre in un film pochi secondi.
    Ad ogni modo parlare del tempo, specie in apertura, fa piuttosto pena, e mi fa pensare allo scrittore-poser col bicchierone di Starbucks e il MacBook, che di scrittura non ne sa niente ma gli piace solo credersi scrittore perché fa figo.




  2. L'infodump ingenuo
    L'infodump è brutto più o meno sempre, ma ci sono casi in cui se lo leggo chiudo un occhio, per esempio quando in un romanzo non ce ne sono tanti, o se sono brevi e indolore, o se magari sono lo spirito del romanzo stesso (per esempio, attraverso una narrazione in prima persona in una storia sci-fi o che fa delle idee il suo punto forte). Per esempio, in Terry Pratchett o Douglas Adams l'infodump fa parte dello "scherzo", del tono comico, ma allo stesso tempo dipinge l'ambientazione, e se dovessi toglierlo se ne andrebbe anche una buona parte della potenza narrativa.
    Tuttavia ci sono romanzi in cui l'infodump scorre davvero potente. L'impressione che ne deriva, per me, è sempre quella dello scrittore Starbucks+MacBook, che arriva alla presentazione del personaggio, magari al ritratto (vedi punto 3), e snocciola informazioni sul suo background, lì per lì. Della serie: "non ho idea di quello che dico, sto inventando sul momento, e mentre creo ti rigurgito addosso tutte queste informazioni in modo che, allo stesso tempo, io possa riflettere e capire come posizionarle all'interno della storia, perché sono troppo pigro e non ho abbastanza esperienza per organizzare prima, e narrare con coerenza dopo."
    Personalmente tendo ad avere due file, nella cartella di un racconto lungo: uno è il file della storia in sé, l'altro è un file in cui riporto tutti i dettagli che io devo sapere, affinché possano cementificarsi nella mia mente, adattarsi ai personaggi, all'ambientazione, e dislocarsi nell'ordine degli eventi (quest'ultima cosa è più difficile, per me, e tende a cambiare nel corso della narrazione).
    Un autore che sputa infodump può essere o un autore che sta inventando la storia lì per lì, o un autore che ha già organizzato a parte tutte le informazioni, ma si è dimenticato o non ha voluto eliminarle dal testo definitivo. Per questo merita il mio biasimo.
  3. La tecnica dello specchio
    O meglio la Tecnica del ritratto allo specchio (detta così pare Kill Bill e la tecnica dell'esplosione del cuore con cinque colpi delle dita), è quella scorciatoia pessima in cui il narratore descrive l'aspetto fisico (e nei casi peggiori anche psicologico/temperamentale ecc.) del personaggio evitando la voce onnisciente, per rifugiarsi nel "pretesto" del POV: il pg si guarda nello specchio ed è come se si vedesse per la prima volta, cioè riporta tutti i dettagli sul suo aspetto e abbigliamento.
    Questa tecnica la odio perché è come un trope da film horror, "il nero muore per primo". Un esempio:

    "Prima di uscire si concesse un’ultima occhiata allo specchio. Di media statura, con capelli corti, castano scuro, che avevano un principio di stempiatura. Per il resto Raddavero era però piuttosto giovanile, senza una ruga e con una barbetta sottilissima che curava di giorno in giorno." ¹

    In pratica è l'equivalente narrativo dell'attore di un film che rompe il quarto muro e fa l'occhiolino agli spettatori (rottura del quarto muro intesa non come intenzionale alla Woody Allen).
    È una cosa che odio perché mi fa pensare che l'autore: 1) non abbia mai letto storie in cui si ricorre a questo cliché, così da poter evitarlo, 2) sappia benissimo che è una tecnica abusata ma ritiene che sia Alta Scrittura.
  4. Le descrizioni minute
    È quando hai voglia di morire ogni volta che un personaggio entra in scena, perché l'autore si esalta nel descriverne l'aspetto e soprattutto l'abbigliamento. Palahniuk consiglia addirittura di non descrivere che aspetto abbiano i personaggi, e non ha tutti i torti. La maggior parte delle volte è più che sufficiente descrivere un personaggio con pennellate grossolane, se utile ai fini della storia magari ci si può soffermare su alcuni particolari.
    Dato che questo vizio generalmente è associato ad altre scelte stilistiche pessime, do l'ultimatum a un romanzo non appena mi si presentano scene da sfilata. Per esempio, in Leviathan Rising di Jonathan Green c'è questa pessima tendenza a descrivere l'abbigliamento dei personaggi, il make up e l'acconciatura delle donne (un autore quando insiste sul descrivere la maniera in cui cadono dei boccoli dovrebbe capire che è il momento di smetterla), e via discorrendo. Proprio questo (insieme all'infodump della peggior specie) mi ha spinto a chiudere il romanzo.
  5. I sentimenti esacerbati
    Non è tanto lontano dal concetto di Show, don't tell: alcuni autori tendono a esprimere lo stato d'animo dei personaggi attraverso una lunga descrizione dei sentimenti, veri e propri wall of text.
    Non funziona.
    Da psicologo clinico in formazione posso affermare che è più facile comprendere, dal di fuori (i.e. leggendo) i sentimenti, le aspettative, le credenze di una persona attraverso il dialogo diretto, piuttosto che attraverso una valanga di informazioni fornite da terzi (il narratore). E da scrittore e lettore, attraverso il comportamento di un personaggio mi è più facile capire i suoi stati interni. Emozioni basilari come gioia, paura, rabbia ecc., per esempio, hanno una tipica manifestazione somatica (per esempio, per ansia o paura, il sudore, i brividi, l'urgenza di mingere) o comportamentale (per esempio, per la rabbia, dare un calcio a qualcosa o sbattere un oggetto, ecc.). In questo senso, se l'autore sa mostrarlo non avrà bisogno di spiegarlo (un po' come le barzellette, se le spieghi non fanno più ridere).
    La cosa peggiore è quando la descrizione degli stati psicologici di un personaggio è qualcosa di inutile, fine a sé, che non ha alcun ruolo nel migliorarne lo spessore. No, ritengo che l'approfondimento psicologico non sia essenziale per una storia, anzi: talvolta è più utile non conoscere nulla di un personaggio (se è banale e insopportabile, per esempio) e approfondire le dinamiche della storia in sé.
  6. La storia che non va da nessuna parte
    Quando mi capita di raccontare agli amici dei fatterelli che mi sono successi, tendo a fare molti excursus, ahimè. Talvolta sono utili ai fini del fatterello, altre volte no. E quando faccio troppi giri, finisce che l'interesse cala e il fatterello in sé risulta poco interessante o non divertente.
    Quando però una persona scrive un romanzo ha un'idea. E la sviluppa. Senza andare alle unità aristoteliche, semplicemente è logico narrare eventi utili ai fini della storia o che in un modo o nell'altro ne muovono i fili.
    Per questo motivo non sopporto quei romanzi che ti prendono in giro per metà dell'opera. Non è questione di stile: ci sono romanzi in cui i personaggi vagano senza risolvere nulla, non evolvono personalmente né determinano un cambiamento degli eventi. È peggio che in un reality. Mi viene in mente Donne, di Bukowski. So che è un paragone azzardato, ma una componente negativa del romanzo, a mio avviso, è proprio questa. Chinaski mette in atto pattern di comportamento tali da rivivere situazioni simili, ancora, ancora e ancora, al punto che per una parte del romanzo si limita a raccontarli piuttosto che mostrarli (e ci mancherebbe). Il personaggio è figo, ci sono scene interessanti, ma a volte lo stile cala di qualità, come se il narratore fosse ubriaco e svogliato come l'autore, e ciò accoppiato a scene ripetitive, che sanno di déjà vu, va a sfavore dell'intera opera. Al contrario, in Post Office la storia riesce ad avere una linearità, nel bene o nel male, e riesce a risolversi in una conclusione (sebbene affrettata e approssimativa).
  7. Forme poetiche
    In genere gli autori sono distinguibili, per me, in due macrocategorie: quelli che si credono grandi artisti (incompresi) e hanno come scopo la grande Arte, e quelli che vogliono solo raccontare una storia e hanno come scopo la comunicazione di quest'ultima. I vari autori che leggo si pongono quindi su questo mio ipotetico continuum, a un'estremità ci sarebbero quelli che non voglio leggere, e all'altra quelli che desidero leggere a prescindere da ciò che raccontano, per il semplice fatto che la narrazione non è inquinata da bizzarre ideologie estetiche e mi permette di considerare ciò che vogliono narrare, qualsiasi sia il genere.
    Dato che la narrativa è prosa, e non poesia, lo scopo è quello di comunicare al meglio il messaggio narrativo, anche suscitando emozioni, ma sempre in maniera comprensibile a tutti. Per fare ciò può avvalersi di figure retoriche, certo, come fa anche la poesia. Ma la poesia non deve necessariamente essere comprensibile al lettore, o almeno, è suscettibile di molteplici significati (così almeno mi dicono dalla regia), al contrario della prosa, che si limita a raccontarti una serie di eventi nella maniera più efficace affinché il cervello di una persona possa mettere insieme gli elementi comunicativi per ricreare nella propria mente ciò che è partito dalla mente dell'autore.
    Di conseguenza, tutte le figure retoriche basate soprattutto sul suono e sull'evocazione di immagini di difficile rappresentazione per il lettore, comprensibili solo al poeta, nella prosa non hanno alcun senso. Allitterazioni, assonanze, sinestesie, difficilmente saranno utili alla comunicazione di un messaggio. Certo, in particolari situazioni possono fare al caso nostro, per esempio se un personaggio è in un trip da LSD e "assapora il suono di una chitarra", la sinestesia è inevitabile ma accurata. Diversamente, gli autori che usano figure retoriche a fini puramente estetici falliscono miseramente. Poco tempo fa cercavo di leggere Aurorarama, di Jean-Christophe Valtat: uno dei problemi del romanzo era il fastidioso e frequente ricorso ad allitterazioni per i nomi di luoghi, persone, ma anche a giochi fonetici, anagrammi e via discorrendo  ("Chasing the Chimera: Circumpolar Cryptozoology"; Neovenetian Nipi; Northern Noise; Angry Ananias Andrews; Clicquot Cub-Clubbers; Lillian Lenton; Mock Moons; Chione Canal; Boreal Bridge; the Earl of Real versus Stella Tesla). Non è arte, può essere un divertimento per l'autore o un gioco a sé, ma l'effetto che ho avuto mentre leggevo, era: "Oh no, eccone un'altra [allitterazione]. Ha smesso di essere figo a pag. 3, quando lo capirà?" e ancora: "Quando la smetterà di badare tanto alla forma e si preoccuperà di far muovere un po' la storia?"
  8. I prologhi
    Qui devo essere sincero: io ho sempre adorato la suddivisione di una storia in prologo, capitolo, epilogo, appendici ecc. Finché non ho imparato a distinguere ciò che è utile da ciò che è inutile, vale a dire quando è cambiata la mia percezione del tempo (si sa che più invecchi, più il tempo sembra scorrere in fretta). Questo non significa che ho cambiato priorità perché la mia vita sia diventata più frenetica e ricca di impegni e responsabilità (sebbene in effetti sia così), ma ho maturato una sufficiente consapevolezza utile a distinguere ciò in cui investire energie al fine di uno scopo, da ciò per cui non vale la pena perdere tempo.
    Ora, spesso in un romanzo il prologo ha un POV diverso rispetto a quello/i principale/i. Vale a dire, è un POV che compare solo nel prologo e talvolta nell'epilogo, tanto per dare il senso di chiusura. Il tempo e lo spazio in cui è ambientato il prologo spesso sono diversi rispetto al resto della storia.
    Cosa succede, allora?
    Succede che prima dell'inizio del romanzo, c'è un altro inizio che non ha nulla a che vedere con la storia principale (o almeno, non subito all'apertura). Quindi un lettore legge una mini-storia il più delle volte senza senso (l'aura di mistero necessaria secondo molti autori che ricorrono al prologo), senza continuità, e poi passa tutto d'un tratto a un'altra storia, il capitolo 1 (se si è fortunati: talvolta prima del prologo c'è il preambolo, così si ha "Preambolo" - "Prologo" - "Capitolo 1").
    Se non sbaglio fu il Duca a indicarmi, tantissimo tempo fa, che è meglio iniziare col primo capitolo e basta. Non può che avere ragione, ovviamente.
Gli orrori narrativi che mi fanno abbandonare un romanzo e perdere fiducia nel genere umano non sono solo questi otto, anzi, direi che questi otto non sono nemmeno i più rilevanti, per così dire. Ci sono anche  l'uso di aggettivi multipli, l'abuso degli avverbi, i verbi "disse" pompati di steroidi (cit. King, On writing), e via discorrendo. Però questo post l'ho preparato in un paio di settimane circa, annotandomi di tanto in tanto cosa mi fa incazzare quando leggo un romanzo, e ho cercato di scriverlo nel tempo libero.
Non prometto nulla, ma forse in futuro potrebbe scapparci qualche altra simile "top ten mancata".

________
Note:
1. La citazione è tratta da questa mia vecchia impressione di Prometeo e la guerra di Alessandro Girola. Non è intenzionale: ricordavo di aver parlato della tecnica dello specchio ma non sapevo dove, così ho googlato "tecnica specchio taotor" e sono arrivato lì.

7 commenti:

Simone ha detto...

Cioè hai descritto i 9/10 dei libri famosi tipo trono di spade, stephen king, harry fotter, dragonlance, Navarra e capolavori vari. :)

Simone

Meri ha detto...

E' vero, tutta questa roba spesso è molto fastidiosa, ma secondo me può anche essere semplicemente frutto dell'inesperienza. Magari nonostante questi piccoli "fastidi" la storia in sé è bella o addirittura eccezionale, solo che l'autore è troppo inesperto per darle anche una bella forma. Ti faccio un esempio: ho sempre adorato Harry Potter (nonostante qualche reticenza iniziale), ma solo perché avevo visto i primi film, che erano effettivamente molto belli. Poi ho iniziato a leggere i libri e sinceramente sono rimasta un po' delusa, perché nonostante le informazioni in più che ogni libro ti da rispetto al suo film, lo stile era..come dire..un po' deludente.. La Rowling usa spesso scene/descrizioni inutili, riferimenti al tempo, ripetizioni a manetta (HO-CAPITO CHE SILENTE HA GLI OCCHIALI A MEZZALUNA E LA MCGRANITT LI HA RETTANGOLARI, non c'è bisogno che me lo dici ogni volta che entrano in scena, santa barba di Merlino!!!) ecc che pur non essendo mai troppo esagerati, a volte danno un po' fastidio.. Ciò non toglie però che la storia sia un capolavoro e che lei abbia una fantasia da far invidia a chiunque :) [parere personale eh, c'è chi Harry Potter continua a odiarlo manco fosse Twilight..].
Bon, e qui arrivo al MIO punto dolente: non so mai concludere quello che scrivo, quindi cia'

Federico Russo "Taotor" ha detto...

@Simone, ma infatti il mercato pullula di schifezze e roba così così! xD
In realtà questi sono punti che mi portano a smettere di leggere un romanzo quando sono presenti in maniera preponderante.
Per esempio, al momento sto leggendo Player piano di Kurt Vonnegut (università permettendo, alias una decina di pagine al giorno), e ci sono infodump, avverbi, e a tratti anche descrizioni di stati d'animo. Ma il resto dello stile è molto buono, così come l'idea di fondo del romanzo (le macchine sostituiscono l'uomo, sottraendone il valore lavorativo, e l'intelletto diventa l'unica qualità utile di cui pochi sono dotati, tra cui gli ingegneri, lol, potrebbe interessarti). Quindi il romanzo nel complesso è ottimo, perché lo stile e le idee hanno la meglio su piccole cadute stilistiche che comunque non compromettono seriamente l'opera nel suo complesso.
Anche il Navarra merita: è raro trovare autori che si avvalgono dell'umorismo, una scelta a mio avviso sempre ottima!

@Meri, esatto! >.< Oltretutto la Rowling all'inizio (e non solo) di ogni libro faceva il ricapitolone dei precedenti, come se quel determinato libro per il lettore fosse il primo romanzo. Da un lato è buono, perché così si può rendere "indipendente" ogni volume, dall'altro però è ovviamente impossibile, perché ogni volume concorre a costruire la storia fino alla fine, sicché sarebbe assurdo attaccare a leggere dal 5°, per dire.
P.S. Ottima chiusura! xD

Dr. Jekyll ha detto...

Punto 5, soprattutto: Le cronache del ghiaccio e del fuoco. Come Martin ruba i nostri soldi dando in cambio... niente!

Federico Russo "Taotor" ha detto...

@Giorgio verissimo! Per ogni volume Martin offre una manciata di plot twist e scene interessanti immersi in un enorme brodo di temporeggiamento, riassunti e infodump.

Meri ha detto...

Oddio è vero!! I ricapitoloni li odio xD solo se fatti male (come i suoi) però.. Perché ho letto anche altre saghe che accennavano a eventi precedenti, ma rendendo il tutto molto molto più piacevole.. Si insomma, va sempre tutto a finire nel modo in cui si fanno le cose, e non nelle cose in sé.

SpiritoGiovane ha detto...

Bell'intervento Federico! Mi è piaciuto così tanto che ho fatto una mia versione sul blog, leggermente differente ma con una lista similare alla tua.

Di solito non pianto in asso un libro, l'ho fatto solo con il 10% di letture e solo negli ultimi 2 anni, ma spesso il motivo per cui l'ho fatto è all'interno della tua lista: infodump, descrizioni lunghe e inutili, storia che non va da nessuna parte. Ma se devo dirla tutta il motivo principale è quasi sempre la noia che mi assale quando questi strumenti vengono utilizzati.

Grazie per l'intervento, è stato divertente e interessante! :D

- S.G.