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Prendi un autore che nel panorama del fantasy si sta facendo sempre più spazio.
Prendi una casa editrice piuttosto giovane che ben pensa di tradurre quest'autore che a quanto pare sta andando molto bene all'estero, e che i litblogger hanno già recensito e acclamato.
Ecco che ottieni la trilogia di
The first law, un ritorno del fantasy classico senza particolari innovazioni, scritto in maniera accettabile, che ammicca vagamente a George Martin per sfruttare l'onda
Game of thrones e relativo (ma modesto) risveglio del trend fantasy.
Prendi una casa editrice con un grave ritardo mentale, con l'utilissima abilità di sperperare soldi e compiere sistematicamente scelte sbagliate. Un indizio: tale casa editrice campa con le
cash cows, vacche che garantiscono profitti, del tipo Favio Bolo.
Ecco che si ottiene
Il mezzo re, un improbabile tentativo (fallito? si vedrà) di incrementare le entrate con una promettente vacca, una nuova trilogia fantasy retard,
boostata da quel blurb in alto, col nome in grassetto, già mi sembra di vedere lo Zio Martin con un sorriso forzatissimo dietro la barba, che in cambio di non so quali favori accetta a far scrivere sulla copertina di
Half a king:
"Uno scrittore straordinario"
George R. R. Martin
LAME! Abercrombie è uno scrittore così così, non basso quanto Brandon Sanderson, ma non raggiunge nemmeno Martin, che tutto sommato è così così pure lui, sebbene qualche asso in più nella manica ce l'abbia.
Non conosco i dettagli, probabilmente mi sbaglio, ho fatto qualche infruttuosa ricerca su Google, ma l'impressione è che la Mondadori per pubblicare
Half a king abbia acquistato qualche diritto dalla Gargoyle books
, la casa editrice che per prima in Italia ha tradotto diverse opere di Abercrombie. O forse anche no, visto che l'opera non figura nel catalogo della Gargoyle, sicché può benissimo aver avuto a che fare direttamente con l'autore e aggiudicarsi i diritti per la nuova trilogia. Chissà.
Fatto sta che
Il mezzo re è il peggior romanzo che Abercrombie abbia scritto. È patetico sotto mille aspetti, e il bello è che mi son reso conto di una cosa fondamentale, quando ero ormai alle ultime pagine:
non è nemmeno fantasy!
Attenzione, potrebbe esserci qualche spoiler. Non starò attento più di tanto alla storia, perché a mio avviso per questo romanzo non conviene sprecarci 6 ore di vita, la storia non si può rovinare più di così, è già terribile.
Il mezzo re sembra un'avventura di D&D giocata e trascritta da un ragazzino nerd con
daddy issues (già visto in
The blade itself) e un amore ignorante per l'epicità. La questione dell'avventura D&D non sarebbe male di per sé, ma consideriamo che un'avventura di D&D ha uno scopo (è un gioco, diverte chi gioca, con dinamiche proprie, per non parlare dell'interazione e del ruolo attivo della persona), mentre un romanzo ha un altro scopo (intrattenere, comunicare qualcosa, con dinamiche molto diverse, e la persona
partecipa emotivamente e intellettualmente alla storia, ma ovviamente non interviene).
La trama è banale: Yarvi, ragazzino con una mano deforme, sostanzialmente
underdog (nerdy), è il figlio del re, e il romanzo si apre con la morte sia del padre che del fratello coraggioso e forte, erede al trono. Yarvi si ritrova dunque ad ereditare il regno pur non avendo alcuna capacità, se non quelle intellettuali dei Ministranti. In qualche modo, viene tradito dallo zio (colpo di scena!) che, valoroso guerriero,
tenta di ucciderlo. Come? Gettandolo da una scogliera.
Ovviamente Yarvi finisce in mare, non spiaccicato sugli scogli, ma gli assassini pensano bene di liquidare la cosa con un: "Sarà annegato". Il legittimo erede al trono che hai tentato di uccidere ti impiccherà sicuramente, se riesce a scamparla, ma chìssene, mica andiamo a controllare, facciamo spallucce, andiamo via e lasciamo che la storia faccia il suo (forzato) corso.
[Attenzione, se proprio volete leggere il romanzo, non leggete quanto segue, SPOILER potente di tutto, stile trama di film su Wikipedia italiana]
Dopodiché Yarvi finisce schiavo e viene venduto come rematore a una ciurma di pirati comandata da una donna ubriacona (sì, da una donna). Poi non succede niente finché in qualche modo Yarvi e qualche altro compagno sfuggono dopo il naufragio della nave, segue cammino sfiancante nelle nevi e senza cibo, pit-stop a un rifugio provvidenziale, si accorgono che il capo dei pirati li sta inseguendo, si affrettano, scontro sanguinario tra le rovine elfiche (che sono tali perché definite tali, praticamente uno scenario di cartapesta), quindi accordo con l'assassino del padre di Yarvi che si scopre in realtà non essere stato il suo assassino, ritorno in patria, preparazione del piano per riappropriarsi del trono usando i passaggi segreti del palazzo che
solo Yarvi conosce, qualche altro scontro, colpo di scena, uno dei compagnoni è in realtà uno zio dimenticato di Yarvi, dato per morto da vent'anni, quindi erede al trono (il nonsense dilaga). Yarvi abdica al trono perché inetto, sceglie di continuare il cammino da Ministrante, scopre che la sua madre putativa in realtà era complice dei cattivi, la avvelena, tutto viene spiegato: tradimento ordito per il vile danaro. Si chiude il sipario.
Fine
[/SPOILER]
La bruttezza e banalità di questa storia è generosamente condita con orrori stilistici, qualche refuso (capita, anche se si suppone che la Mondadori possa sprecare qualche centesimo per un editing decente), e una traduzione molto fiacca, se non oscena in certi punti.
Ho annotato alcune cose.
Similitudini: Abercrombie dovrebbe cercare sul dizionario cosa sono:
Nulla [nome di un pg, ndr] strisciò dietro la sua catena sul ponte inclinato e, come un uomo che spazzi il focolare dopo che la casa gli è stata bruciata, si accinse dolorosamente alla sua solita fatica.
Che razza di similitudine sarebbe?
Ora un assaggio di ciò che è lo stile narrativo standard del romanzo: infodump, raccontato (tell) generico, assassinio della suspence, brutta scrittura in generale:
Alcuni uomini corsero attraverso l'arcata. O cose che sembravano uomini. I banya. Ombre selvagge e lacere, lampi di facce bianche a bocca aperta, in un luccichio di bottoni d'ambra e d'osso e denti scoperti, armi in pietra levigata, zanne di tricheco e denti di balena. Strillavano e farfugliavano, urlavano e uggiolavano versi folli...
Nota positiva: le frasi ad effetto si sprecano, sono tristissime, pessime, vengono direttamente dagli anni '80-'90, ma almeno Abercrombie è in grado di scherzarci su (negli altri romanzi è molto più ironico, in questo qui non lo è mai):
"Perché la ministrante di Gorm tiene un'abitazione a Thorlby?"
"Madre Scaer dice che la ministrante saggia conosce la casa del proprio nemico meglio della sua."
"Madre Scaer è incline alle frasi a effetto come Madre Gundring" sbuffò Yarvi.
Ogni volta che leggevo madre Gundring pensavo alla vecchia tv di famiglia, una Grundig. Ad ogni modo, Abercrombie ricorre spessissimo a quelli che King definisce "verbi dire pompati di steroidi" - "sbuffò", "'Ah ah!' latrò Nulla", ecc., al posto del più adeguato "disse".
Il nonsense è ovunque, nel romanzo, e diciamo che personalmente non sto a pensarci troppo, anche se in alcuni tratti c'è da mettersi le mani nei capelli:
Arretrò ancora e udì dei sassi cadere rumorosamente nel vuoto, l'orlo che si dissolveva sotto i suoi calcagni.
"Udì dei sassi cadere rumorosamente nel vuoto" è terribile per diverse ragioni: 1) "Udì", i verbi di senso non andrebbero usati, vedasi i saggi di Palahniuk sulla scrittura; 2) "rumorosamente", è un avverbio bruttissimo, inutilissimo e soprattutto ridicolo, giacché i sassi cadono: 3) nel vuoto, l'orlo che si dissolveva sotto i suoi calcagni.
Non dice che i sassi rimbalzano lungo una ripidissima scarpata, dice che cadono
rumorosamente nel vuoto. Ma stiamo scherziamo?
Avevo accennato a traduzioni discutibili o oscene. Ora, non mi son preso la briga di confrontare le due versioni perché nessuno mi paga per farlo, ma da discreto conoscitore dell'inglese, e soprattutto da madrelingua italiano, non posso che grattarmi la testa di fronte a traduzioni del tipo:
"Mi dispiace"
"Lo sarai"
Oppure:
"Penso che metterò giù te"
Altri orrori:
E allora capì che non aveva perso tutte quelle volte nel quadrato d'armi perché gli mancasse l'abilità, o la forza, persino una mano. Era la volontà che gli mancava.
Manca solo la musica in sottofondo. Cosa c'è di peggio delle epifanie di un personaggio spiegate moralisticamente dal narratore? Cosa? Nulla, è al primo posto. Poi seguono la punta dei calzini che si sfila e si appallottola nelle scarpe, le briciole nel letto, Barbara D'Urso in tv, e la morte, in questo preciso ordine.
Qualcos'altro di simile, ugualmente tremendo (quel "E Yarvi capì" mi provoca proprio dolore fisico):
E Yarvi capì che la morte non si inchina di fronte a ogni uomo che le passi davanti, non protende il braccio per indicare rispettosamente la via, non dice parole profonde, non toglie alcun catenaccio. Non occorre mai la chiave che porta al seno, perché l'Ultima Soglia è sempre aperta. Raduna i morti, li fa passare a frotte, incurante del rango o della fama o del valore. Una fila che si allunga sempre di più da farvi passare attraverso. Una processione cieca, inesauribile
Altra saggezza abercrombiana:
"No" fece roco Yarvi, lottando per alzarsi, ma purtroppo non basta volere una cosa per riuscire a ottenerla.
Quest'uomo si vanta anche di aver studiato Psicologia, cioè rendiamoci conto.
Altri orrori:
L'alba giunse fangosa e impietosa.
Ancora:
Fracasso, il baccano dell'acciaio, della rabbia, della paura, reso quasi peggiore dal non vedere chi lo facesse, o perché.
Ancora, qui la cosa peggiore è che c'è un tentativo di mostrato (show) inquinato oltremodo dal narratore che trae conclusioni al posto del lettore.
Portava un collare da schiava anche lei, ma fatto di fil di ferro intrecciato, e la sua catena era leggera e allentata, in parte avvolta al braccio quasi fosse un ornamento che avesse deciso di indossare. Una schiava persino più favorita di Ankran, dunque.
Qui c'è un omicidio della suspence, nel mezzo di un combattimento spunta questo:
Davvero uno dei due doveva uccidere l'altro? Porre fine a tutto ciò che fosse, a tutto ciò che sarebbe mai potuto essere? A quanto pare, sì. Ma era difficile che in tutto ciò ci fosse un che di glorioso.
Spesso il raccontato è scarso o inutile. Se Abercrombie fosse qui, gli chiederei: "Scommetto che quando scrivi questa roba dei paesaggi immagini le scene del Signore degli Anelli con quelle belle panoramiche della Nuova Zelanda, ma sai che in un romanzo non è la stessa cosa, no?":
Scivolarono lungo infinite scarpate di ghiaia, saltellarono fra massi grandi quanto case, si inerpicarono giù per colate di roccia nera simili a cascate di ghiaccio.
E ancora, per chi vuol farsi del male:
Continuarono ad avanzare furtivi. Altre ombre, altri gradini, altre memorie vergognose, muri di pietra grezza disposti dalla mano dell'uomo e che parevano più antichi ma erano migliaia di anni più recenti delle gallerie sottostanti; la luce del sole ammiccava da una grata vicino al soffitto.
L'era del Pleonastico:
Yarvi tornò in sé al buio, soffocando in un vortice di bolle, e si dimenò, si agitò e si contorse nel semplice bisogno di restare vivo.
Chi ha fatto l'editing come ha fatto a non notare tre verbi sinonimi, un aggettivo che sta lì tanto per, una stupida perifrasi, praticamente tutta la frase non ha alcun motivo di esistere, è un elogio alla stupidità.
Qui la confusione di Abercrombie è al suo culmine. Non sa che pesci pigliare, di conseguenza:
Corsero. O avanzarono spediti. O saltellarono e incespicarono, o si trascinarono attraverso una landa infernale di rocce consumate dove non crescevano piante o volavano uccelli
LOL. O. O. Della serie "fate un po' voi".
Si parlava di daddy issues, eccoli anche qui, oltre a
The blade itself, e rappresentati nel peggiore dei modi.
Ma Yarvi non aveva orgoglio. L'orgoglio lo aveva abbandonato quando era stato svergognato da suo padre. Beffato da Odem. Picchiato sulla Vento del Sud. Congelato nelle terre desolate.
Perle di wtf:
Poi Uthil piegò la spalla e sollevò lo scudo, sbattendo l'estremità contro il mento di Odem. Ruotò l'altra spalla e scagliò Odem lontano
Che spalle potenti.
Perle di stile:
Scavò come se la sua vita dipendesse da quello. Così era.
Mi immagino Joe che scrive la prima frase, al pc (scommetto che è un mac user), digita il punto e si ferma. Riflette. Poi si rende conto che la frase appena scritta è banale, e ci aggiunge "Così era", per aumentarne l'ovvietà.
Non infierirò ulteriormente sul romanzo. Le annotazioni sono molte di più ma non ha senso riportare tutte, per non parlare dei refusi. Questo genere di cose si fa fare a qualcuno nella casa editrice, e costui merita di essere pagato. La Mondadori può prendere uno stagista e fargli fare l'editing senza retribuzione, e i risultati di solito sono pessimi (com'è ovvio, naturalmente - ad Abercrombie piace quest'elemento).
Ricapitolando.
Un romanzo pessimo. Una storia che potrebbe anche non esistere, il mondo non cambierebbe. Una nuova trilogia non richiesta. Una prosa pessima come tante altre.
Abercrombie non è un genio,
The blade itself però non era male (ma non è nemmeno un'opera d'arte).
Il mezzo re invece è immondizia ai livelli della Troisi.
Dicevo all'inizio che questo romanzo non è fantasy. Ebbene, a me piace leggere storie con ambientazioni originali, fantasy, sia a tematica medievaleggiante che barbarica che ottocentesca, ecc. Ma se c'è una cosa che Gamberetta mi ha insegnato è che non basta un'ambientazione diversa dal nostro mondo per fare un Fantasy.
Il mezzo re è solo il primo della trilogia (sigh), ma è autoconclusivo, quindi non ha senso dare il beneficio del dubbio verso il prossimo volume. In questo romanzo
non c'è alcun elemento fantasy, e non
parlo solo di magia ecc., non ci sono nemmeno creature diverse o altro. È una storia di un ragazzo che intraprende una breve avventura (solo a parole: il cammino dell'eroe, la maturazione del personaggio, il conflitto, sono praticamente inesistenti, così come i personaggi sono bidimensionali, e i dialoghi tutti uguali) per riconquistare il trono e l'approvazione degli altri. Non ci sono elfi, troll, non c'è magia, ci sono uomini che complottano per il trono, non ci è dato sapere niente del resto dell'ambientazione.
Il mezzo re è un romanzo più finto di una fiaba, i personaggi fanno cose perché spinti dalla mano divina di un Dungeon Master troppo pigro per creare una gerarchia nel sistema monarchico della storia, e per dare spessore alla struttura sociale, economica e politica dei regni in conflitto.
Il mezzo re mi fa quasi rimpiangere il vecchio fantasy alla Terry Brooks.