xkcd: chi già lo conosce non ha bisogno di altro.
What if? è una raccolta di post scritti da Randall Munroe sul suo blog, xkcd, in risposta alle domande più assurde degli utenti. Cosa accadrebbe se ogni persona sulla terra puntasse un laser colorato contro la luna? Cambierebbe colore? Da che altezza bisognerebbe lanciare una bistecca affinché sia cotta una volta arrivata a terra? Se un asteroide fosse molto piccolo ma supermassiccio, ci si potrebbe vivere sopra come il Piccolo Principe?
Munroe è un fisico e un fumettista, What if? è il risultato di una combinazione di domande assurde, spiegazioni scientifiche e strisce umoristiche.
Premessa doverosa: i post si possono leggere nell'apposita sezione del sito di xkcd, quindi in teoria non è necessario comprare l'ebook - che a mio avviso ha anche un costo esagerato, 10,99€, e ciò non ha molto senso, considerando che gran parte del materiale è già disponibile gratuitamente e legalmente. Da quanto ho capito, ci sono solo pochissime cose non presenti nel sito, come le domande weird (and worrying) con annesse vignette.
Quindi non stiamo parlando di un romanzo, ma praticamente di saggistica.
What if? è molto interessante per diversi motivi.
Se si è appassionati di scienza, ogni domanda offre spunti per analizzare seriamente la questione dal punto di vista fisico e matematico. Munroe non liquida le domande con un semplice calcolo matematico, ma considera diverse alternative, e anche se la soluzione è chiara, approfondisce dando per assurdo altre situazioni pur di continuare e vedere cosa accadrebbe.
What if? non è solo un gioco matematico/fisico, ma credo si possa vedere come una palestra mentale in grado di allenare verso considerazioni razionali nonostante le premesse assurde, così da mettere insieme la creatività e la razionalità.
Visto che questo è un presunto literary blog (un cosa?), What if? è utile per avere idee o allenarsi a immaginare situazioni paradossali o assurde che però possono avere una conseguenza. In parole povere, dato che il fantasy e la science fiction funzionano prevalentemente col what if?, questa raccolta di risposte scientifiche a domande assurde può tornare utile a chi scrive narrativa di questo genere, sia per prendere spunto che per imparare a ragionare alla maniera di Munroe.
Certo, Munroe è un fisico, quindi le sue risposte sono prevalentemente basate su fisica e matematica: quando si tira in ballo la biologia, la fisiologia ecc., chiede pareri a chi di competenza, per poi continuare a snocciolare una risposta in termini matematici (per esempio, alla domanda del tipo "Se tutte le persone del mondo si recludessero per un certo periodo per non infettare nessuno, il raffreddore scomparirebbe dalla terra?", dopo l'opportuno consulto con l'esperto del settore che getta un po' di chiarezza sui rhinovirus, Munroe dimostra come una distanza media di 77m tra una persona e l'altra sarebbe impossibile da ottenere, considerando la superficie della terra, per cui un ingente numero di persone dovrebbe per esempio rimanere isolata nel deserto del Sahara).
Ciò nonostante, la logica alla base delle risposte è illuminante, ed entrare in quest'ottica può stimolare una riflessione più accurata delle cose, a partire da un'adeguata critica alle idee di base delle trame di film o romanzi.
What if? è un'opera davvero interessante, se fossi il Ministro dell'Istruzione inserirei alcune di queste domande nelle ore di scienze. Oltre a divertire e allenare a riflettere, sarà scontato da dire ma What if? insegna anche molte cose.
Per esempio, sono rimasto affascinato dallo scoprire che oltre alla Luna o al plurifotografato Marte, noi esseri umani abbiamo mandato una sonda su Venere, che ci ha regalato qualche foto, e una (Huygens) su Titano, che prima di distruggersi è riuscita a scattare una sola foto.
domenica 30 novembre 2014
domenica 23 novembre 2014
Impressioni | The Martian, di Andy Weir
Apollo 13 incontra Cast Away, secondo la descrizione di Goodreads.
Lo ammetto, è una descrizione efficace, rende l'idea.
The Martian (in italiano L'uomo di Marte) è uno di quei casi in cui un tale scrive un'opera che viene rifiutata dagli editori e decide di autopubblicarsi, con conseguente successo. L'ho scoperto attraverso Goodreads, il plot era molto interessante e la copertina era accattivantissima (non sono un esperto di grafica, a malapena so usare GIMP, ma quanto è awesome questa copertina, eh?).
Durante la lettura pensavo che avrebbero dovuto tradurlo in italiano, e che non sarebbe niente male, questa storia, per farne un film, sulla scia di Gravity e Interstellar. Poi scopro non solo che Mondadori lo ha già pubblicato (grazieaddio con la stessa cover dell'ultima versione anglosassone), ma che è già tutto pronto per farne un film con Matt Damon, regia di Ridley Scott.
Veniamo al romanzo.
The Martian è il tipo di opera che potrebbe scrivere un nerd e potrebbero leggere solo dei nerd.
Da un punto di vista narrativo, manca di un sacco di elementi, è carente sotto diversi aspetti. Il protagonista, Mark Watney, è solo su Marte (you don't say?), ma psicologicamente è più che intatto, non fa una piega, nemmeno nella peggiore delle situazioni: non basta il cameo della psicologa di turno che sputtana (scusate il gergo scientifico) informazioni private sul paziente affermando roba del tipo "Watney è forte, intelligente, simpatico, in situazioni di stress non perde lo spirito e l'entusiasmo"; c'è un uomo lasciato a sé su un altro pianeta, con riserve limitate di cibo, e non solo non va nel panico, ma continua a fare il simpatico anche in situazioni davvero al limite. Mi ricorda il personaggio di Clooney in Gravity. Il tutto mi dà l'impressione (macché, la certezza) che questi siano personaggi dai tratti volutamente esagerati per poter far colpo sul pubblico al di là della credibilità. Sì, ok, è possibile, ma poco probabile.
Non sappiamo praticamente nulla su Watney, solo che è un gran burlone oltre che un ingegnere geniale. Non si preoccupa granché della sua famiglia, in 385 pagine di romanzo. Niente accenni ad amori, amicizie al di fuori dell'equipaggio, ecc.
Non ci sono conflitti tra personaggi. Watney non matura lungo il periodo di tempo del romanzo (che è lunghetto), gli unici conflitti sono gli "incidenti" che si verificano sistematicamente durante il soggiorno di Watney su Marte, la lotta per la sopravvivenza, la lotta con la tecnologia, le risorse personali come unico mezzo per restare in vita.
Per farla breve, in The Martian manca l'80-90% di ciò che compone un romanzo. Si può dire che ci sia un solo plot, quello generale: sopravvivere abbastanza per tornare a casa.
Altro punto debole: i POV. Finché la narrazione avviene attraverso i periodici LOG di Watney, va tutto bene (è ottimo, verosimile, in prima persona). Quando però l'autore vuole farci sapere cosa succede sulla Terra, la narrazione comincia a vacillare. I POV si frammentano, lo stile narrativo carente si fa sentire, soprattutto laddove mancano i dialoghi.
Poi il colpo di genio (sono ironico), che mi ha perplesso non poco. L'autore vuole farti sapere cosa sta succedendo in luoghi/tempi a cui nessun personaggio può assistere. Per cui non avendo "gente" attraverso cui filtrare gli eventi cosa fa?
Diventa narratore onnisciente.
In un caso si avvale del corsivo (?), forse perché racconta qualcosa di passato, in un altro no. Libero da qualsiasi personaggio, ti racconta cosa è successo prima all'Hab, e cosa è seguito a tale serie di eventi, per poi riprendere con gli effetti su Watney raccontati da lui. In alcuni casi (non faccio spoiler), addirittura il POV onnisciente racconta eventi che non meritano tale orrore, eventi che il protagonista potrebbe riassumere nel suo LOG in tre righe.
La cosa più incredibile è che questo POV onnisciente compare 3-4 volte al massimo, in brani non tanto lunghi. Come una specie di disperato nastro adesivo che collega pezzi di storia.
A mio modesto avviso, The Martian è un'opera molto interessante, e gli orrori narrativi, per quanto pesanti, non si fanno sentire più di tanto nel momento in cui l'attenzione del lettore è tutta rivolta a cosa accadrà dopo, quale imprevisto, come e se verrà risolto. Per non parlare delle battute di Watney. Del tipo:
Dubito comunque che un lettore "casuale" (non amante della fantascienza), senza alcun interesse verso per esempio i metodi di estrazione dell'ossigeno dalla CO2 o la produzione di energia attraverso il plutonio 238, riuscirebbe ad arrivare alla fine del romanzo con lo stesso hype iniziale.
Ad ogni modo, personalmente ritengo che The Martian sia, con tutti i suoi difetti, un ottimo romanzo.
Lo ammetto, è una descrizione efficace, rende l'idea.
The Martian (in italiano L'uomo di Marte) è uno di quei casi in cui un tale scrive un'opera che viene rifiutata dagli editori e decide di autopubblicarsi, con conseguente successo. L'ho scoperto attraverso Goodreads, il plot era molto interessante e la copertina era accattivantissima (non sono un esperto di grafica, a malapena so usare GIMP, ma quanto è awesome questa copertina, eh?).
Durante la lettura pensavo che avrebbero dovuto tradurlo in italiano, e che non sarebbe niente male, questa storia, per farne un film, sulla scia di Gravity e Interstellar. Poi scopro non solo che Mondadori lo ha già pubblicato (grazieaddio con la stessa cover dell'ultima versione anglosassone), ma che è già tutto pronto per farne un film con Matt Damon, regia di Ridley Scott.
The Martian è il tipo di opera che potrebbe scrivere un nerd e potrebbero leggere solo dei nerd.
Da un punto di vista narrativo, manca di un sacco di elementi, è carente sotto diversi aspetti. Il protagonista, Mark Watney, è solo su Marte (you don't say?), ma psicologicamente è più che intatto, non fa una piega, nemmeno nella peggiore delle situazioni: non basta il cameo della psicologa di turno che sputtana (scusate il gergo scientifico) informazioni private sul paziente affermando roba del tipo "Watney è forte, intelligente, simpatico, in situazioni di stress non perde lo spirito e l'entusiasmo"; c'è un uomo lasciato a sé su un altro pianeta, con riserve limitate di cibo, e non solo non va nel panico, ma continua a fare il simpatico anche in situazioni davvero al limite. Mi ricorda il personaggio di Clooney in Gravity. Il tutto mi dà l'impressione (macché, la certezza) che questi siano personaggi dai tratti volutamente esagerati per poter far colpo sul pubblico al di là della credibilità. Sì, ok, è possibile, ma poco probabile.
Non sappiamo praticamente nulla su Watney, solo che è un gran burlone oltre che un ingegnere geniale. Non si preoccupa granché della sua famiglia, in 385 pagine di romanzo. Niente accenni ad amori, amicizie al di fuori dell'equipaggio, ecc.
Non ci sono conflitti tra personaggi. Watney non matura lungo il periodo di tempo del romanzo (che è lunghetto), gli unici conflitti sono gli "incidenti" che si verificano sistematicamente durante il soggiorno di Watney su Marte, la lotta per la sopravvivenza, la lotta con la tecnologia, le risorse personali come unico mezzo per restare in vita.
Per farla breve, in The Martian manca l'80-90% di ciò che compone un romanzo. Si può dire che ci sia un solo plot, quello generale: sopravvivere abbastanza per tornare a casa.
Altro punto debole: i POV. Finché la narrazione avviene attraverso i periodici LOG di Watney, va tutto bene (è ottimo, verosimile, in prima persona). Quando però l'autore vuole farci sapere cosa succede sulla Terra, la narrazione comincia a vacillare. I POV si frammentano, lo stile narrativo carente si fa sentire, soprattutto laddove mancano i dialoghi.
Poi il colpo di genio (sono ironico), che mi ha perplesso non poco. L'autore vuole farti sapere cosa sta succedendo in luoghi/tempi a cui nessun personaggio può assistere. Per cui non avendo "gente" attraverso cui filtrare gli eventi cosa fa?
Diventa narratore onnisciente.
In un caso si avvale del corsivo (?), forse perché racconta qualcosa di passato, in un altro no. Libero da qualsiasi personaggio, ti racconta cosa è successo prima all'Hab, e cosa è seguito a tale serie di eventi, per poi riprendere con gli effetti su Watney raccontati da lui. In alcuni casi (non faccio spoiler), addirittura il POV onnisciente racconta eventi che non meritano tale orrore, eventi che il protagonista potrebbe riassumere nel suo LOG in tre righe.
La cosa più incredibile è che questo POV onnisciente compare 3-4 volte al massimo, in brani non tanto lunghi. Come una specie di disperato nastro adesivo che collega pezzi di storia.
A mio modesto avviso, The Martian è un'opera molto interessante, e gli orrori narrativi, per quanto pesanti, non si fanno sentire più di tanto nel momento in cui l'attenzione del lettore è tutta rivolta a cosa accadrà dopo, quale imprevisto, come e se verrà risolto. Per non parlare delle battute di Watney. Del tipo:
With no magnetic field, Mars has no defense against harsh solar radiation. If I were exposed to it, I'd get so much cancer, the cancer woulde have cancer.O:
It died instantly. The screen went black before I was out of the airlock. Turns out the "L" in "LCD" stands for "Liquid". I guess it either froze or boiled off. Maybe I'll post a consumer review. "Brought product to surface of Mars. It stopped working. 0/10"E non sono nemmeno le battute più divertenti. C'è quella sulle tette che è priceless.
Dubito comunque che un lettore "casuale" (non amante della fantascienza), senza alcun interesse verso per esempio i metodi di estrazione dell'ossigeno dalla CO2 o la produzione di energia attraverso il plutonio 238, riuscirebbe ad arrivare alla fine del romanzo con lo stesso hype iniziale.
Ad ogni modo, personalmente ritengo che The Martian sia, con tutti i suoi difetti, un ottimo romanzo.
Etichette:
film,
recensioni,
sci-fi
sabato 15 novembre 2014
Impressioni fulminanti | Fanteria dello spazio, di Robert Heinlein
Starships troopers è ricordato con dispiacere a causa dell'omonimo film che non è stato proprio ben accolto - non dai fan del romanzo, almeno. Ma l'opera letteraria no, è riconosciuta come un classico un classico della fantascienza, classe '59, e a leggerlo cinquant'anni dopo quasi non si direbbe (permettetemi una parentesi: ma davvero 50 anni fa non riuscivano a immaginare che i libri si potessero facilmente digitalizzare? Cioè è ridicolo leggere di "manuali" cartacei in giro per le astronavi, eddai su).
Di fatto Starship troopers è più background che storia. Non che non la storia manchi, ma il tutto è più un pretesto dell'autore per mostrare il mondo che immagina, con annesse ideologie politiche e filosofiche. E psicologiche, grosso modo erronee ma, ehi, era il 1959, Heinlein ha fatto comunque un bel lavoro.
Una nota sullo stile: è in prima persona (yay), e nonostante gli infodumponi e gli as you know Bob, mantiene una sua coerenza, con un registro a mio avviso efficace, "calato" nella parte del soldato, che non fa pesare la valanga di dati e informazioni - vera e propria pornografia per l'amante di sci-fi, anche se devo aggiungere "soft": ci sono romanzi sci-fi che ci vanno giù pesante, e lo squilbrio della prosa a favore praticamente della "saggistica" si fa sentire).
Visti i contenuti ideologici (il diritto di voto, il bene dello stato) di Starship troopers, può interessare questa breve apologia al presunto militarismo di cui il romanzo è stato accusato da alcuni.
Un classico consigliato per il suo valore effettivo, non in virtù della propria anzianità (ne abbiamo anche troppi, di "classici" dalla fama immeritata), ma soprattutto un must per i fan della fantascienza.
E io ancora non lo avevo letto. Ora sì. Evviva.
Di fatto Starship troopers è più background che storia. Non che non la storia manchi, ma il tutto è più un pretesto dell'autore per mostrare il mondo che immagina, con annesse ideologie politiche e filosofiche. E psicologiche, grosso modo erronee ma, ehi, era il 1959, Heinlein ha fatto comunque un bel lavoro.
Una nota sullo stile: è in prima persona (yay), e nonostante gli infodumponi e gli as you know Bob, mantiene una sua coerenza, con un registro a mio avviso efficace, "calato" nella parte del soldato, che non fa pesare la valanga di dati e informazioni - vera e propria pornografia per l'amante di sci-fi, anche se devo aggiungere "soft": ci sono romanzi sci-fi che ci vanno giù pesante, e lo squilbrio della prosa a favore praticamente della "saggistica" si fa sentire).
Visti i contenuti ideologici (il diritto di voto, il bene dello stato) di Starship troopers, può interessare questa breve apologia al presunto militarismo di cui il romanzo è stato accusato da alcuni.
Un classico consigliato per il suo valore effettivo, non in virtù della propria anzianità (ne abbiamo anche troppi, di "classici" dalla fama immeritata), ma soprattutto un must per i fan della fantascienza.
E io ancora non lo avevo letto. Ora sì. Evviva.
Etichette:
recensioni,
sci-fi
domenica 9 novembre 2014
Impressioni fulminanti | La gatta degli haiku, di Giulia Besa
Forse può suonare un po' esagerato, ma La gatta degli haiku di Giulia Besa potrebbe essere un film di un Miyazaki un po' gore e non tanto aderente al politically correct.
Sono felice che finalmente in Vaporteppa sia arrivato il primo autore non pene-munito: La gatta degli haiku non è un harmony o un paranormal romance, è una fiaba un po' steampunk un po' rinascimentale un po' altro, che non può nemmeno ricordare le favole Disney, quanto semmai quelle di Studio Ghibli, per la varietà e ricchezza dell'ambientazione e l'aspetto un po' creepy di certi personaggi che, nelle storie Disney, avrebbero gli occhioni luccicanti e il sorriso perenne, in una specie di trip da overdose ben riuscito.
La protagonista del racconto è davvero sfortunata, e la sua condizione non si limita a una scenetta di accattonaggio compensata da tanti improbabili amici poveri diavoli pure loro; no, è sola, e le sue sfortune e il suo supplizio sembrano non avere mai fine.
E poi c'è la micia parlante.
A chi non piacciono i mici? Che razza di gentaglia non ama i gatti? I repubblicani! E tu, sei repubblicano?
La gatta degli haiku si legge circa in un'oretta (io ci ho impiegato 1h e 15min circa perché sono lento e mi ci son messo di impegno, ma il Kobo Aura stimava 1h), e a mio modesto avviso può rappresentare un ampliamento, o un lieve discostamento, come la si vuol mettere, rispetto agli altri titoli della collana. Un racconto con una sensibilità diversa, che ritengo possa essere fruibile da un pubblico più ampio, anche in virtù dalla relativa "marginalità" dell'elemento steampunk che, mescolato col resto dell'ambientazione, non può essere considerato preponderante (proprio come in alcuni film di Miyazaki, in cui le tecnologie e gli scenari non sembrano aderenti a un preciso periodo storico, ma fuori dal tempo in perfetto stile onirico, favolistico)
La gatta degli haiku è disponibile su Ultima Books e su Amazon.
Sono felice che finalmente in Vaporteppa sia arrivato il primo autore non pene-munito: La gatta degli haiku non è un harmony o un paranormal romance, è una fiaba un po' steampunk un po' rinascimentale un po' altro, che non può nemmeno ricordare le favole Disney, quanto semmai quelle di Studio Ghibli, per la varietà e ricchezza dell'ambientazione e l'aspetto un po' creepy di certi personaggi che, nelle storie Disney, avrebbero gli occhioni luccicanti e il sorriso perenne, in una specie di trip da overdose ben riuscito.
La protagonista del racconto è davvero sfortunata, e la sua condizione non si limita a una scenetta di accattonaggio compensata da tanti improbabili amici poveri diavoli pure loro; no, è sola, e le sue sfortune e il suo supplizio sembrano non avere mai fine.
E poi c'è la micia parlante.
A chi non piacciono i mici? Che razza di gentaglia non ama i gatti? I repubblicani! E tu, sei repubblicano?
La gatta degli haiku si legge circa in un'oretta (io ci ho impiegato 1h e 15min circa perché sono lento e mi ci son messo di impegno, ma il Kobo Aura stimava 1h), e a mio modesto avviso può rappresentare un ampliamento, o un lieve discostamento, come la si vuol mettere, rispetto agli altri titoli della collana. Un racconto con una sensibilità diversa, che ritengo possa essere fruibile da un pubblico più ampio, anche in virtù dalla relativa "marginalità" dell'elemento steampunk che, mescolato col resto dell'ambientazione, non può essere considerato preponderante (proprio come in alcuni film di Miyazaki, in cui le tecnologie e gli scenari non sembrano aderenti a un preciso periodo storico, ma fuori dal tempo in perfetto stile onirico, favolistico)
La gatta degli haiku è disponibile su Ultima Books e su Amazon.
Etichette:
recensioni,
steam
lunedì 3 novembre 2014
Impressioni | Il mezzo re, di Joe Abercrombie
Prendi un autore che nel panorama del fantasy si sta facendo sempre più spazio.
Prendi una casa editrice piuttosto giovane che ben pensa di tradurre quest'autore che a quanto pare sta andando molto bene all'estero, e che i litblogger hanno già recensito e acclamato.
Ecco che ottieni la trilogia di The first law, un ritorno del fantasy classico senza particolari innovazioni, scritto in maniera accettabile, che ammicca vagamente a George Martin per sfruttare l'onda Game of thrones e relativo (ma modesto) risveglio del trend fantasy.
Prendi una casa editrice con un grave ritardo mentale, con l'utilissima abilità di sperperare soldi e compiere sistematicamente scelte sbagliate. Un indizio: tale casa editrice campa con le cash cows, vacche che garantiscono profitti, del tipo Favio Bolo.
Ecco che si ottiene Il mezzo re, un improbabile tentativo (fallito? si vedrà) di incrementare le entrate con una promettente vacca, una nuova trilogia fantasy retard, boostata da quel blurb in alto, col nome in grassetto, già mi sembra di vedere lo Zio Martin con un sorriso forzatissimo dietro la barba, che in cambio di non so quali favori accetta a far scrivere sulla copertina di Half a king:
Non conosco i dettagli, probabilmente mi sbaglio, ho fatto qualche infruttuosa ricerca su Google, ma l'impressione è che la Mondadori per pubblicare Half a king abbia acquistato qualche diritto dalla Gargoyle books, la casa editrice che per prima in Italia ha tradotto diverse opere di Abercrombie. O forse anche no, visto che l'opera non figura nel catalogo della Gargoyle, sicché può benissimo aver avuto a che fare direttamente con l'autore e aggiudicarsi i diritti per la nuova trilogia. Chissà.
Fatto sta che Il mezzo re è il peggior romanzo che Abercrombie abbia scritto. È patetico sotto mille aspetti, e il bello è che mi son reso conto di una cosa fondamentale, quando ero ormai alle ultime pagine: non è nemmeno fantasy!
Attenzione, potrebbe esserci qualche spoiler. Non starò attento più di tanto alla storia, perché a mio avviso per questo romanzo non conviene sprecarci 6 ore di vita, la storia non si può rovinare più di così, è già terribile.
Il mezzo re sembra un'avventura di D&D giocata e trascritta da un ragazzino nerd con daddy issues (già visto in The blade itself) e un amore ignorante per l'epicità. La questione dell'avventura D&D non sarebbe male di per sé, ma consideriamo che un'avventura di D&D ha uno scopo (è un gioco, diverte chi gioca, con dinamiche proprie, per non parlare dell'interazione e del ruolo attivo della persona), mentre un romanzo ha un altro scopo (intrattenere, comunicare qualcosa, con dinamiche molto diverse, e la persona partecipa emotivamente e intellettualmente alla storia, ma ovviamente non interviene).
La trama è banale: Yarvi, ragazzino con una mano deforme, sostanzialmente underdog (nerdy), è il figlio del re, e il romanzo si apre con la morte sia del padre che del fratello coraggioso e forte, erede al trono. Yarvi si ritrova dunque ad ereditare il regno pur non avendo alcuna capacità, se non quelle intellettuali dei Ministranti. In qualche modo, viene tradito dallo zio (colpo di scena!) che, valoroso guerriero, tenta di ucciderlo. Come? Gettandolo da una scogliera.
Ovviamente Yarvi finisce in mare, non spiaccicato sugli scogli, ma gli assassini pensano bene di liquidare la cosa con un: "Sarà annegato". Il legittimo erede al trono che hai tentato di uccidere ti impiccherà sicuramente, se riesce a scamparla, ma chìssene, mica andiamo a controllare, facciamo spallucce, andiamo via e lasciamo che la storia faccia il suo (forzato) corso.
[Attenzione, se proprio volete leggere il romanzo, non leggete quanto segue, SPOILER potente di tutto, stile trama di film su Wikipedia italiana]
Dopodiché Yarvi finisce schiavo e viene venduto come rematore a una ciurma di pirati comandata da una donna ubriacona (sì, da una donna). Poi non succede niente finché in qualche modo Yarvi e qualche altro compagno sfuggono dopo il naufragio della nave, segue cammino sfiancante nelle nevi e senza cibo, pit-stop a un rifugio provvidenziale, si accorgono che il capo dei pirati li sta inseguendo, si affrettano, scontro sanguinario tra le rovine elfiche (che sono tali perché definite tali, praticamente uno scenario di cartapesta), quindi accordo con l'assassino del padre di Yarvi che si scopre in realtà non essere stato il suo assassino, ritorno in patria, preparazione del piano per riappropriarsi del trono usando i passaggi segreti del palazzo che solo Yarvi conosce, qualche altro scontro, colpo di scena, uno dei compagnoni è in realtà uno zio dimenticato di Yarvi, dato per morto da vent'anni, quindi erede al trono (il nonsense dilaga). Yarvi abdica al trono perché inetto, sceglie di continuare il cammino da Ministrante, scopre che la sua madre putativa in realtà era complice dei cattivi, la avvelena, tutto viene spiegato: tradimento ordito per il vile danaro. Si chiude il sipario.
Fine
[/SPOILER]
La bruttezza e banalità di questa storia è generosamente condita con orrori stilistici, qualche refuso (capita, anche se si suppone che la Mondadori possa sprecare qualche centesimo per un editing decente), e una traduzione molto fiacca, se non oscena in certi punti.
Ho annotato alcune cose.
Similitudini: Abercrombie dovrebbe cercare sul dizionario cosa sono:
Ora un assaggio di ciò che è lo stile narrativo standard del romanzo: infodump, raccontato (tell) generico, assassinio della suspence, brutta scrittura in generale:
Il nonsense è ovunque, nel romanzo, e diciamo che personalmente non sto a pensarci troppo, anche se in alcuni tratti c'è da mettersi le mani nei capelli:
Non dice che i sassi rimbalzano lungo una ripidissima scarpata, dice che cadono rumorosamente nel vuoto. Ma stiamo scherziamo?
Avevo accennato a traduzioni discutibili o oscene. Ora, non mi son preso la briga di confrontare le due versioni perché nessuno mi paga per farlo, ma da discreto conoscitore dell'inglese, e soprattutto da madrelingua italiano, non posso che grattarmi la testa di fronte a traduzioni del tipo:
Manca solo la musica in sottofondo. Cosa c'è di peggio delle epifanie di un personaggio spiegate moralisticamente dal narratore? Cosa? Nulla, è al primo posto. Poi seguono la punta dei calzini che si sfila e si appallottola nelle scarpe, le briciole nel letto, Barbara D'Urso in tv, e la morte, in questo preciso ordine.
Qualcos'altro di simile, ugualmente tremendo (quel "E Yarvi capì" mi provoca proprio dolore fisico):
Altri orrori:
Qui la confusione di Abercrombie è al suo culmine. Non sa che pesci pigliare, di conseguenza:
Si parlava di daddy issues, eccoli anche qui, oltre a The blade itself, e rappresentati nel peggiore dei modi.
Perle di stile:
Non infierirò ulteriormente sul romanzo. Le annotazioni sono molte di più ma non ha senso riportare tutte, per non parlare dei refusi. Questo genere di cose si fa fare a qualcuno nella casa editrice, e costui merita di essere pagato. La Mondadori può prendere uno stagista e fargli fare l'editing senza retribuzione, e i risultati di solito sono pessimi (com'è ovvio, naturalmente - ad Abercrombie piace quest'elemento).
Ricapitolando.
Un romanzo pessimo. Una storia che potrebbe anche non esistere, il mondo non cambierebbe. Una nuova trilogia non richiesta. Una prosa pessima come tante altre.
Abercrombie non è un genio, The blade itself però non era male (ma non è nemmeno un'opera d'arte). Il mezzo re invece è immondizia ai livelli della Troisi.
Dicevo all'inizio che questo romanzo non è fantasy. Ebbene, a me piace leggere storie con ambientazioni originali, fantasy, sia a tematica medievaleggiante che barbarica che ottocentesca, ecc. Ma se c'è una cosa che Gamberetta mi ha insegnato è che non basta un'ambientazione diversa dal nostro mondo per fare un Fantasy. Il mezzo re è solo il primo della trilogia (sigh), ma è autoconclusivo, quindi non ha senso dare il beneficio del dubbio verso il prossimo volume. In questo romanzo non c'è alcun elemento fantasy, e non parlo solo di magia ecc., non ci sono nemmeno creature diverse o altro. È una storia di un ragazzo che intraprende una breve avventura (solo a parole: il cammino dell'eroe, la maturazione del personaggio, il conflitto, sono praticamente inesistenti, così come i personaggi sono bidimensionali, e i dialoghi tutti uguali) per riconquistare il trono e l'approvazione degli altri. Non ci sono elfi, troll, non c'è magia, ci sono uomini che complottano per il trono, non ci è dato sapere niente del resto dell'ambientazione.
Il mezzo re è un romanzo più finto di una fiaba, i personaggi fanno cose perché spinti dalla mano divina di un Dungeon Master troppo pigro per creare una gerarchia nel sistema monarchico della storia, e per dare spessore alla struttura sociale, economica e politica dei regni in conflitto.
Il mezzo re mi fa quasi rimpiangere il vecchio fantasy alla Terry Brooks.
Prendi una casa editrice piuttosto giovane che ben pensa di tradurre quest'autore che a quanto pare sta andando molto bene all'estero, e che i litblogger hanno già recensito e acclamato.
Ecco che ottieni la trilogia di The first law, un ritorno del fantasy classico senza particolari innovazioni, scritto in maniera accettabile, che ammicca vagamente a George Martin per sfruttare l'onda Game of thrones e relativo (ma modesto) risveglio del trend fantasy.
Prendi una casa editrice con un grave ritardo mentale, con l'utilissima abilità di sperperare soldi e compiere sistematicamente scelte sbagliate. Un indizio: tale casa editrice campa con le cash cows, vacche che garantiscono profitti, del tipo Favio Bolo.
Ecco che si ottiene Il mezzo re, un improbabile tentativo (fallito? si vedrà) di incrementare le entrate con una promettente vacca, una nuova trilogia fantasy retard, boostata da quel blurb in alto, col nome in grassetto, già mi sembra di vedere lo Zio Martin con un sorriso forzatissimo dietro la barba, che in cambio di non so quali favori accetta a far scrivere sulla copertina di Half a king:
"Uno scrittore straordinario"LAME! Abercrombie è uno scrittore così così, non basso quanto Brandon Sanderson, ma non raggiunge nemmeno Martin, che tutto sommato è così così pure lui, sebbene qualche asso in più nella manica ce l'abbia.
George R. R. Martin
Non conosco i dettagli, probabilmente mi sbaglio, ho fatto qualche infruttuosa ricerca su Google, ma l'impressione è che la Mondadori per pubblicare Half a king abbia acquistato qualche diritto dalla Gargoyle books, la casa editrice che per prima in Italia ha tradotto diverse opere di Abercrombie. O forse anche no, visto che l'opera non figura nel catalogo della Gargoyle, sicché può benissimo aver avuto a che fare direttamente con l'autore e aggiudicarsi i diritti per la nuova trilogia. Chissà.
Fatto sta che Il mezzo re è il peggior romanzo che Abercrombie abbia scritto. È patetico sotto mille aspetti, e il bello è che mi son reso conto di una cosa fondamentale, quando ero ormai alle ultime pagine: non è nemmeno fantasy!
Attenzione, potrebbe esserci qualche spoiler. Non starò attento più di tanto alla storia, perché a mio avviso per questo romanzo non conviene sprecarci 6 ore di vita, la storia non si può rovinare più di così, è già terribile.
Il mezzo re sembra un'avventura di D&D giocata e trascritta da un ragazzino nerd con daddy issues (già visto in The blade itself) e un amore ignorante per l'epicità. La questione dell'avventura D&D non sarebbe male di per sé, ma consideriamo che un'avventura di D&D ha uno scopo (è un gioco, diverte chi gioca, con dinamiche proprie, per non parlare dell'interazione e del ruolo attivo della persona), mentre un romanzo ha un altro scopo (intrattenere, comunicare qualcosa, con dinamiche molto diverse, e la persona partecipa emotivamente e intellettualmente alla storia, ma ovviamente non interviene).
La trama è banale: Yarvi, ragazzino con una mano deforme, sostanzialmente underdog (nerdy), è il figlio del re, e il romanzo si apre con la morte sia del padre che del fratello coraggioso e forte, erede al trono. Yarvi si ritrova dunque ad ereditare il regno pur non avendo alcuna capacità, se non quelle intellettuali dei Ministranti. In qualche modo, viene tradito dallo zio (colpo di scena!) che, valoroso guerriero, tenta di ucciderlo. Come? Gettandolo da una scogliera.
Ovviamente Yarvi finisce in mare, non spiaccicato sugli scogli, ma gli assassini pensano bene di liquidare la cosa con un: "Sarà annegato". Il legittimo erede al trono che hai tentato di uccidere ti impiccherà sicuramente, se riesce a scamparla, ma chìssene, mica andiamo a controllare, facciamo spallucce, andiamo via e lasciamo che la storia faccia il suo (forzato) corso.
[Attenzione, se proprio volete leggere il romanzo, non leggete quanto segue, SPOILER potente di tutto, stile trama di film su Wikipedia italiana]
Dopodiché Yarvi finisce schiavo e viene venduto come rematore a una ciurma di pirati comandata da una donna ubriacona (sì, da una donna). Poi non succede niente finché in qualche modo Yarvi e qualche altro compagno sfuggono dopo il naufragio della nave, segue cammino sfiancante nelle nevi e senza cibo, pit-stop a un rifugio provvidenziale, si accorgono che il capo dei pirati li sta inseguendo, si affrettano, scontro sanguinario tra le rovine elfiche (che sono tali perché definite tali, praticamente uno scenario di cartapesta), quindi accordo con l'assassino del padre di Yarvi che si scopre in realtà non essere stato il suo assassino, ritorno in patria, preparazione del piano per riappropriarsi del trono usando i passaggi segreti del palazzo che solo Yarvi conosce, qualche altro scontro, colpo di scena, uno dei compagnoni è in realtà uno zio dimenticato di Yarvi, dato per morto da vent'anni, quindi erede al trono (il nonsense dilaga). Yarvi abdica al trono perché inetto, sceglie di continuare il cammino da Ministrante, scopre che la sua madre putativa in realtà era complice dei cattivi, la avvelena, tutto viene spiegato: tradimento ordito per il vile danaro. Si chiude il sipario.
Fine
[/SPOILER]
La bruttezza e banalità di questa storia è generosamente condita con orrori stilistici, qualche refuso (capita, anche se si suppone che la Mondadori possa sprecare qualche centesimo per un editing decente), e una traduzione molto fiacca, se non oscena in certi punti.
Ho annotato alcune cose.
Similitudini: Abercrombie dovrebbe cercare sul dizionario cosa sono:
Nulla [nome di un pg, ndr] strisciò dietro la sua catena sul ponte inclinato e, come un uomo che spazzi il focolare dopo che la casa gli è stata bruciata, si accinse dolorosamente alla sua solita fatica.Che razza di similitudine sarebbe?
Ora un assaggio di ciò che è lo stile narrativo standard del romanzo: infodump, raccontato (tell) generico, assassinio della suspence, brutta scrittura in generale:
Alcuni uomini corsero attraverso l'arcata. O cose che sembravano uomini. I banya. Ombre selvagge e lacere, lampi di facce bianche a bocca aperta, in un luccichio di bottoni d'ambra e d'osso e denti scoperti, armi in pietra levigata, zanne di tricheco e denti di balena. Strillavano e farfugliavano, urlavano e uggiolavano versi folli...Nota positiva: le frasi ad effetto si sprecano, sono tristissime, pessime, vengono direttamente dagli anni '80-'90, ma almeno Abercrombie è in grado di scherzarci su (negli altri romanzi è molto più ironico, in questo qui non lo è mai):
"Perché la ministrante di Gorm tiene un'abitazione a Thorlby?"Ogni volta che leggevo madre Gundring pensavo alla vecchia tv di famiglia, una Grundig. Ad ogni modo, Abercrombie ricorre spessissimo a quelli che King definisce "verbi dire pompati di steroidi" - "sbuffò", "'Ah ah!' latrò Nulla", ecc., al posto del più adeguato "disse".
"Madre Scaer dice che la ministrante saggia conosce la casa del proprio nemico meglio della sua."
"Madre Scaer è incline alle frasi a effetto come Madre Gundring" sbuffò Yarvi.
Il nonsense è ovunque, nel romanzo, e diciamo che personalmente non sto a pensarci troppo, anche se in alcuni tratti c'è da mettersi le mani nei capelli:
Arretrò ancora e udì dei sassi cadere rumorosamente nel vuoto, l'orlo che si dissolveva sotto i suoi calcagni."Udì dei sassi cadere rumorosamente nel vuoto" è terribile per diverse ragioni: 1) "Udì", i verbi di senso non andrebbero usati, vedasi i saggi di Palahniuk sulla scrittura; 2) "rumorosamente", è un avverbio bruttissimo, inutilissimo e soprattutto ridicolo, giacché i sassi cadono: 3) nel vuoto, l'orlo che si dissolveva sotto i suoi calcagni.
Non dice che i sassi rimbalzano lungo una ripidissima scarpata, dice che cadono rumorosamente nel vuoto. Ma stiamo scherziamo?
Avevo accennato a traduzioni discutibili o oscene. Ora, non mi son preso la briga di confrontare le due versioni perché nessuno mi paga per farlo, ma da discreto conoscitore dell'inglese, e soprattutto da madrelingua italiano, non posso che grattarmi la testa di fronte a traduzioni del tipo:
"Mi dispiace"Oppure:
"Lo sarai"
"Penso che metterò giù te"Altri orrori:
E allora capì che non aveva perso tutte quelle volte nel quadrato d'armi perché gli mancasse l'abilità, o la forza, persino una mano. Era la volontà che gli mancava.
Manca solo la musica in sottofondo. Cosa c'è di peggio delle epifanie di un personaggio spiegate moralisticamente dal narratore? Cosa? Nulla, è al primo posto. Poi seguono la punta dei calzini che si sfila e si appallottola nelle scarpe, le briciole nel letto, Barbara D'Urso in tv, e la morte, in questo preciso ordine.
Qualcos'altro di simile, ugualmente tremendo (quel "E Yarvi capì" mi provoca proprio dolore fisico):
Altra saggezza abercrombiana:
E Yarvi capì che la morte non si inchina di fronte a ogni uomo che le passi davanti, non protende il braccio per indicare rispettosamente la via, non dice parole profonde, non toglie alcun catenaccio. Non occorre mai la chiave che porta al seno, perché l'Ultima Soglia è sempre aperta. Raduna i morti, li fa passare a frotte, incurante del rango o della fama o del valore. Una fila che si allunga sempre di più da farvi passare attraverso. Una processione cieca, inesauribile
"No" fece roco Yarvi, lottando per alzarsi, ma purtroppo non basta volere una cosa per riuscire a ottenerla.Quest'uomo si vanta anche di aver studiato Psicologia, cioè rendiamoci conto.
Altri orrori:
L'alba giunse fangosa e impietosa.Ancora:
Fracasso, il baccano dell'acciaio, della rabbia, della paura, reso quasi peggiore dal non vedere chi lo facesse, o perché.Ancora, qui la cosa peggiore è che c'è un tentativo di mostrato (show) inquinato oltremodo dal narratore che trae conclusioni al posto del lettore.
Portava un collare da schiava anche lei, ma fatto di fil di ferro intrecciato, e la sua catena era leggera e allentata, in parte avvolta al braccio quasi fosse un ornamento che avesse deciso di indossare. Una schiava persino più favorita di Ankran, dunque.Qui c'è un omicidio della suspence, nel mezzo di un combattimento spunta questo:
Davvero uno dei due doveva uccidere l'altro? Porre fine a tutto ciò che fosse, a tutto ciò che sarebbe mai potuto essere? A quanto pare, sì. Ma era difficile che in tutto ciò ci fosse un che di glorioso.Spesso il raccontato è scarso o inutile. Se Abercrombie fosse qui, gli chiederei: "Scommetto che quando scrivi questa roba dei paesaggi immagini le scene del Signore degli Anelli con quelle belle panoramiche della Nuova Zelanda, ma sai che in un romanzo non è la stessa cosa, no?":
Scivolarono lungo infinite scarpate di ghiaia, saltellarono fra massi grandi quanto case, si inerpicarono giù per colate di roccia nera simili a cascate di ghiaccio.E ancora, per chi vuol farsi del male:
Continuarono ad avanzare furtivi. Altre ombre, altri gradini, altre memorie vergognose, muri di pietra grezza disposti dalla mano dell'uomo e che parevano più antichi ma erano migliaia di anni più recenti delle gallerie sottostanti; la luce del sole ammiccava da una grata vicino al soffitto.L'era del Pleonastico:
Yarvi tornò in sé al buio, soffocando in un vortice di bolle, e si dimenò, si agitò e si contorse nel semplice bisogno di restare vivo.Chi ha fatto l'editing come ha fatto a non notare tre verbi sinonimi, un aggettivo che sta lì tanto per, una stupida perifrasi, praticamente tutta la frase non ha alcun motivo di esistere, è un elogio alla stupidità.
Qui la confusione di Abercrombie è al suo culmine. Non sa che pesci pigliare, di conseguenza:
Corsero. O avanzarono spediti. O saltellarono e incespicarono, o si trascinarono attraverso una landa infernale di rocce consumate dove non crescevano piante o volavano uccelliLOL. O. O. Della serie "fate un po' voi".
Si parlava di daddy issues, eccoli anche qui, oltre a The blade itself, e rappresentati nel peggiore dei modi.
Ma Yarvi non aveva orgoglio. L'orgoglio lo aveva abbandonato quando era stato svergognato da suo padre. Beffato da Odem. Picchiato sulla Vento del Sud. Congelato nelle terre desolate.Perle di wtf:
Poi Uthil piegò la spalla e sollevò lo scudo, sbattendo l'estremità contro il mento di Odem. Ruotò l'altra spalla e scagliò Odem lontanoChe spalle potenti.
Perle di stile:
Scavò come se la sua vita dipendesse da quello. Così era.Mi immagino Joe che scrive la prima frase, al pc (scommetto che è un mac user), digita il punto e si ferma. Riflette. Poi si rende conto che la frase appena scritta è banale, e ci aggiunge "Così era", per aumentarne l'ovvietà.
Non infierirò ulteriormente sul romanzo. Le annotazioni sono molte di più ma non ha senso riportare tutte, per non parlare dei refusi. Questo genere di cose si fa fare a qualcuno nella casa editrice, e costui merita di essere pagato. La Mondadori può prendere uno stagista e fargli fare l'editing senza retribuzione, e i risultati di solito sono pessimi (com'è ovvio, naturalmente - ad Abercrombie piace quest'elemento).
Ricapitolando.
Un romanzo pessimo. Una storia che potrebbe anche non esistere, il mondo non cambierebbe. Una nuova trilogia non richiesta. Una prosa pessima come tante altre.
Abercrombie non è un genio, The blade itself però non era male (ma non è nemmeno un'opera d'arte). Il mezzo re invece è immondizia ai livelli della Troisi.
Dicevo all'inizio che questo romanzo non è fantasy. Ebbene, a me piace leggere storie con ambientazioni originali, fantasy, sia a tematica medievaleggiante che barbarica che ottocentesca, ecc. Ma se c'è una cosa che Gamberetta mi ha insegnato è che non basta un'ambientazione diversa dal nostro mondo per fare un Fantasy. Il mezzo re è solo il primo della trilogia (sigh), ma è autoconclusivo, quindi non ha senso dare il beneficio del dubbio verso il prossimo volume. In questo romanzo non c'è alcun elemento fantasy, e non parlo solo di magia ecc., non ci sono nemmeno creature diverse o altro. È una storia di un ragazzo che intraprende una breve avventura (solo a parole: il cammino dell'eroe, la maturazione del personaggio, il conflitto, sono praticamente inesistenti, così come i personaggi sono bidimensionali, e i dialoghi tutti uguali) per riconquistare il trono e l'approvazione degli altri. Non ci sono elfi, troll, non c'è magia, ci sono uomini che complottano per il trono, non ci è dato sapere niente del resto dell'ambientazione.
Il mezzo re è un romanzo più finto di una fiaba, i personaggi fanno cose perché spinti dalla mano divina di un Dungeon Master troppo pigro per creare una gerarchia nel sistema monarchico della storia, e per dare spessore alla struttura sociale, economica e politica dei regni in conflitto.
Il mezzo re mi fa quasi rimpiangere il vecchio fantasy alla Terry Brooks.
Etichette:
fantasy,
recensioni
Iscriviti a:
Post (Atom)