L'impressione (facciamo finta di chiamarla "recensione") che segue si divide in più parti. Una premessa riguardo all'autore, una considerazione oggettiva dell'opera e poi una personale.
Ho dato un'occhiata in rete, e ho notato pochissimerrime recensioni, e per di più nessuno che considerasse la tecnica, le strategie ecc. Si parla della storia come aria fritta. Sono rimasto un po' deluso, ma tant'è. Lo faccio io e se qualcuno vuole discuterne non può che trovarmi ad accoglierlo a braccia aperte (pronte a chiudersi attorno al suo collo).
Tristi momenti della triste vita di Taotor
Appena uscito
The Dome, subito decisi di comprarlo: è Stephen
Fucking King, mi son detto, il mio maestro di vita e di scrittura nel periodo dell'adolescenza, il periodo in cui leggevo
La Torre Nera e leggevo anche le note di King, che ammetteva di aver scritto il primo libro a 17 (o 19?) anni, quando era giovane e presuntuoso. Insomma, proprio come mi sentivo io! Giovane, figo e presuntuoso.
Hell yeah!Trovatolo in libreria, due numeretti sul retro della copertina mi hanno fatto desistere dal prenderlo subito (scuotevano la loro numerica testolina e gridavano con le loro numeriche vocette). 20 fucking euro. "Aspetterò il fucking paperback" mi dissi.
E, dèi del cielo, quando il paperback è arrivato (14€, che non è troppo, ma non sono neanche i 7-8€ di una volta, miseriaccia), ormai era troppo tardi.
Quando un libro cartaceo incontra un libro digitale, il libro cartaceo è un libro morto.
E io ho letto quel mattone che è The Dome sul mio bell' "Opossum".
Veniamo a King, l'uomo e lo scrittore.
Non sono un fanboy di King. Diciamo che ho avuto modo di farmi una buona idea generica di lui con prestazioni "mattonarie" come It, ma anche alle prese di racconti brevi come quelli di Tutto è fatidico, per non tralasciare il sci-fi/fantasy/horror/epico che è La Torre Nera (inclusa la storiella spuria, stile One-Shot, presente in Tutto è fatidico), fino ad arrivare al suo piccolo saggio di scrittura (con enorme premessa biografica) che è On Writing.
Stephen King non è uno scrittore banale come altri, altrettanto famosi e altrettanto editi. Stephen King con la fiction ci è cresciuto. Script, racconti o romanzi: ha letto e legge un botto, ha guardato e guarda un sacco di film, sa come funzionano le storie. Questo gli permette di evitare cliché e banalità da scrittore alle prime armi.
Certo è che chi lo legge assiduamente ritrova dei pattern nei vari racconti. Appena può, ambienta tutto nel Maine, dove abita lui. Gli piace
La moglie di Frankenstein, e la cita tipo ovunque. Gli piace
Il signore degli anelli, e anch'esso non manca di essere citato. Gli piacciono i film western, e come sopra, li mette dove può. King è anche un ex tossico. Ok, non proprio tossico, oltre al goccetto e al cannino, mi pare di capire, avrà tirato coca o fumato crack. Non so se è arrivato a
keta o
met, ma non mi stupirei, visto che in
The Dome descrive gli effetti con una certa familiarità. E considerando che ha ammesso di farsi ma anche e soprattutto di aver chiuso, a lui va tutto il mio rispetto - fanculo gli artisti famosi ipocriti che si fanno e poi sbandierano campagne
no-drugs. Senzapalle!
Insomma, è chiaro che non nasconde le sue influenze principali, ma non è un danno. Certo è che nella Torre Nera è diverso da tutti gli altri romanzi. Nella Torre Nera dà il massimo, ma già alla fine dell'ultimo libro, vediamo che diventa un papà tenerone, anzi, un nonnetto, con qualche caduta di stile. Quando gli gira diventa favolistico, e a qualcuno può piacere, a qualcuno no, qualcuno può dire che lui se lo può permettere.
Ai posteri l'ardua sentenza.
Breve sinossi idiota taotoriana
Chester's Mill è un paesino guarda caso del Maine che all'improvviso si ritrova incapsulato in una Cupola trasparente, non si sa come, e all'interno di questa prigione le persone che ci sono cominciano a sclerare, cadono nel panico, e muoia chi può. Ci sono i buoni e ci sono i cattivi, e poi ci sono quelli che poveretti schiattano come formiche e quelli stronzi che non se li piglia manco il demonio.
~Aspetti oggettivi~
Tecnica
King usa il classico filtro a focalizzazione interna, altresì detto Punti di vista (da ora pov). I personaggi sono molti, farli muovere in un ambiente circoscritto quale è la Cupola non è un vantaggio. Molti personaggi e poco spazio è un binomio che implica più precisione. La storia però è sviluppata bene, King ha saputo destreggiarsi tra gli eventi e a considerare tutti i causa-effetto sui singoli personaggi. Non trascura i dettagli più banali riguardo alle persone, le cose, il clima, anzi; li coglie e li pompa di significatività. Dettagli uguale credibilità. E, di conseguenza, credibilità uguale fiducia del lettore, uguale Sense of wonder (nei limiti del possibile).
Ci sono degli aspetti negativi, però.
In primis, i pov.
Caro Stefano Re, perché cazpero usi i pov se poi non li rispetti? Se hai il pov di un personaggio, e giudichi il mondo attraverso i suoi occhi, cosa ti spinge a saltare fuori ed entrare nella mente di un'altra persona a meno di un paragrafo di distanza? Si tratta di farina del tuo sacco o della mente geniale dell'editor o del traduttore?
Il pov era iniziato con un capitolo dedicato al personaggio conducente, diciamo pure il personaggio leading, come per la chitarra, leading e ritmica. Il personaggio leading è Barbie, il buono ma badass ex militare in Iraq. Durante la narrazione però il pov saltella da Barbie a Rennie - secondo consigliere, venditore di auto usate, il Don Rodrigo della situazione - e poi di nuovo a Barbie.
Ecco il brano:
Rennie tastò la carta. Tra le folte sopracciglia gli si era formato un profondo solco verticale. «Questa non è la carta della Casa Bianca.»
Certo che no, asino, fu tentato di ribattere Barbie. Consegnata un'ora fa da un membro della Squadra Elfi della FedEx. L'omunocolo si è fatto semplicemente teletrasportare attraverso la cupola, nessun problema.
«No che non lo è.» Barbie cercò di mantenere un tono cortese. « E' arrivata via Internet, in formato PDF. La signora Shumway l'ha scaricata e stampata.»
Julia Shumway. Un'altra piantagrane.
Rivediamo in replay il fallo.
Il capitolo parte col pov di Barbie.
Segue pensiero di Barbie (Certo che no ... nessun problema.).
Poi risposta verbale, ancora Barbie. («No che non lo è.» ... La signora Shumway l'ha scaricata e stampata.»)
Poi il pov cambia e se lo prende Rennie, che pensa incazzato: (Julia Shumway. Un'altra piantagrane.)
WTF?
L'esempio riportato sopra è uno preso a caso. Mi trovavo e l'ho appuntato. In realtà il romanzo ne è pieno, ma ci fai l'abitudine, stringiamoci nelle spalle e andiamo avanti.
Abbiamo detto che King dedica un capitolo a un singolo personaggio protagonista, e lo segue lungo la storia per poi tornare un po' indietro nel tempo e narrare ciò che capita a un altro personaggio, con un altro capitolo dedicato.
Consci di questo, vediamo cosa dice King nella nota:
Ho cercato di scrivere un libro in cui il pedale dell’acceleratore fosse costantemente a tavoletta. Nan lo ha capito e tutte le volte che ho avuto un cedimento, ha schiacciato il suo piede sopra il mio e si è messa a gridare (a margine, come sono avvezzi gli editor): «Più veloce, Steve! Più veloce!»
L'evoluzione della storia, in effetti, non è una curva frastagliata di picchi e burroni. Si può vederla più come un crescendo continuo, o come un task manager che riporta un grafico a picco continuo in cui non c'è più RAM sufficiente per eseguire altre operazioni.
Ma se l'obiettivo di King era lasciare senza fiato il lettore in una corsa al colpo di scena, fallisce in quei capitoli "apovici."
Sto parlando di capitoli in cui non esiste nessun personaggio principale a condurre, ma il personaggio principale è King stesso che parla in prima persona plurale, si fa beffe della focalizzazione, si mette una pipa in bocca, in una poltrona davanti al camino, e crede di raccontare storie ai nipotini.
Ecco alcune testimonianze di questo scempio, in sacchetti di plastica trasparenti e numerati, direttamente dalla Scientifica:
Ci fermiamo per una rapida occhiata a Barbie e Rusty, vi va? (...)
Tutti gli altri agenti sono al Food City ad ascoltare l’ultima arringa di Big Jim, ma non cambierebbe niente nemmeno se fossero tutti presenti, perché noi siamo invisibili. Al nostro passaggio avvertirebbero solo un leggero spiffero.
Non c’è molto da vedere in gattabuia, perché la speranza è invisibile come noi. (...)
Ci arriveranno da soli: ecco che cosa succede quando il pastore manca ai suoi doveri e il gregge perde il controllo.
Dobbiamo stare ad ascoltare il suo discorso? Ma no. Ascolteremo Big Jim domani sera e tanto basterà.
E così via. In questi casi mi viene solo da emettere un grosso, potente, afflittissimo:
SIGH!Ora, non è il fatto di aver trascurato la coerenza del pov che dà fastidio. Ma anche sì. Ma non è tutto qui. Il fatto è che se dopo un 20% (e poi un 30%, e poi un 50% ecc.) di storia vuoi raccapezz(ol)arti sugli eventi, sulla situazione generale, tu, scrittore,
lo fai in privato! Questi intermezzi dickensoniani da Fantasma del Natale Vattelapesca, senza alcun dubbio:
- Rompono la coerenza stilistica iniziale della focalizzazione interna.
- Rallentano in maniera significativa la lettura, che se doveva essere incalzante grazie al ritmo sostenuto degli eventi, frena di botto come un pick up davanti a un'alce che attraversa una strada di montagna. E fa marcia indietro per porre fine alle sue sofferenze.
- Allungano inutilmente la brodaglia, aggiungono molti particolari che non sono rilevanti per la storia, mentre quelli utili riguardano di solito uno o due personaggi, e questo porta a concludere: non sarebbe stato meglio dividere il capitolo in due capitolini con pov dedicati ai relativi personaggi?
- Quattro.
Oltre ai pov ballerini, non mancano gli infodump. Ci sono infodump a profusione, infodump inutili che riguardano la storia di ogni personaggio e la storia della città. Forse rendono più credibile l'ambientazione? Forse rendono più profonda la psiche dei personaggi? Forse. Ma c'è modo e modo di inserire informazioni. E gli infodump di King sono intrusivi, ma soprattutto inutili. Questo non glielo perdono. Già in It si vedono, sono una bella zavorra per il romanzo. Ma qui, in The Dome, rappresentano ostacoli su una pista da Formula 1. Che cazpero ci stanno a fare? Levàteli, vogliamo vedere sfrecciare le macchine!!
In ultima analisi, ci sono svariati avverbi, una buona quantità per ogni pagina. Avverbi che King sostiene non vadano bene, che vadano omessi. Così dice in On Writing. Ma, come ho avuto modo di scrivere prima, queste lacune possono essere causa di traduttori/editor. L'originale potrebbe non riportare gli orrori in -ly.
Storia
King non è bravo nel creare storie particolari - e non servono i Griffin a
ricordarcelo. King è bravo a
svilupparle, le storie. Questo, in un certo senso, potrebbe vanificare tutto ciò che ho scritto sopra. Oppure, meglio ancora, può valere come dimostrazione che una buona storia è un insieme di fattori, e che le regole della buona scrittura sono solo un mezzo per raggiungere il risultato di una buona storia. A volte ciò è possibile anche
senza rispettare
tutte queste regole. Ciò che conta è il risultato finale. E la storia di
The Dome ha l'unico difetto di porre ai personaggi ruoli un po' stereotipati.
Ma non mi sento in grado di giudicare. King narra una società definita, gli americani del New England, gli abitanti del Maine. La Psicologia Sociale ci insegna che cultura, giudizi, valori e un mucchio di altre caratteristiche che noi riteniamo universali invece non lo sono.
Per quanto ne so, la cultura Wasp e l'estremismo religioso dei protestanti americani piscia addosso alla nostra presunta mafia cattolica. Un esempio emblematico è il cosiddetto
Processo della Scimmia, una boiata di accusa legale a un docente che insegnava l'evoluzionismo in una scuola del Tennessee, dove vigeva il Creazionismo.
Roba da matti. Ma sufficiente ad accettare l'ipotesi avanzata da King, ovvero di come lo stress e la fede possano indurre alcune persone a comportarsi in maniera totalmente inadeguata.
~Aspetti personali~
The Dome si può leggere ed esserne felici.
Pur rimanendo convinto che un libro simile puoi comprarlo tutt'al più a 10€, non a 20€, l'acquisto non sarebbe una truffa. Paghi qualcosa che vale.
Alcuni aspetti della storia non mi hanno totalmente convinto, ma King sembra quasi voler prevenire ogni critica dicendo, nella Nota:
Negli anni seguenti, il mio caro amico Russ Dorr, un assistente medico di Bridgeton, nel Maine, mi ha aiutato per gli aspetti medici di molti libri
Ora, all'inizio del romanzo la gente si scontra contro la Cupola e muore. Così. Esce dal parabrezza e cric, osso del collo rotto, addio. Non tutti tutti, è chiaro, ma mentre leggevo mi dicevo "Eccheccazpero, ma dai!". L'agente popputa, Jackie Wettington, all'inizio cammina verso la Cupola - che è invisibile -, e ci sbatte in due tempi. Prima con le tette, poi col naso. E il naso prende a sanguinare.
Ma vaccaboia.
Quand'ero piccino, una sera, andai a una mezza specie di (merdoso) Luna Park di paese (immerso nella fanghiglia). C'era il labirinto degli specchi, ma qui gli specchi erano lastre di plastica trasparenti.
Ora, erano gli anni '90 e io avevo un berretto con la visiera girata all'indietro, per cui potevo protendere solo le mani, per cercare gli ostacoli. Ricordo mi stufai di procedere a tentoni come uno zombie, e ricordo anche di aver sbattuto più e più volte sulle pareti trasparenti - ok, ridete - prima di trovare l'uscita.
Ma il mio naso non ha sanguinato.
E questo dice tutto. Dopo un salto mal riuscito, compiuto in ancor più tenera età, infatti, mi sfracellai il naso e guadagnai una particolare debolezza dei capillari, che indebolii ancora di più durante gli anni di basket - dove ottenni anche svariate rotture di ogni singola falange, una dopo l'altra, settimana dopo settimana, bell'e steccate e ingarzate.
Quello che succede a Jackie Wettington, però, succede un po' a tutti. Tutti si rompono il naso e sanguinano, oppure si rompono qualcos'altro e sanguinano, sebbene la causa della ferita non abbia una tale rilevanza.
Un'altra cosa che mi ha fatto grattare lo scalpo riguarda il tumore di Junior.
I comportamenti antisociali di Junior, l'aggressività, l'apatia, l'istinto omicida, farebbero pensare lì per lì a una classica patologia da lesione dei lobi frontali - un classico esempio è il caso del celeberrimo, disgraziato
Phineas Gage.
Questo è plausibile. Ha un tumore al cervello che gli intacca anche il nervo ottico, e il lobo frontale è là vicino, dunque è logico che venga danneggiato.
Tuttavia a un certo punto della storia, Junior si comporta benissimo, prova affetto per una coppia di bambini che prende con sé, trovati senza mamma, li nutre e li accudisce momentaneamente.
Ma le lesioni dei lobi frontali, per quanto ne so, creano comportamenti socialmente inadeguati e aggressività in maniera non selettiva. Leggasi: hai i lobi frontali alle cozze, indi rubi, bestemmi e uccidi tutti, non ti commuovono due marmocchi, perché non sei più te e non capisci nulla di come comportarti.
Anche qui, non ho saputo bene cosa pensare. Dopo tutto, King non ha specificato, e poi ha chiesto aiuto al medico, sicché...
Conclusioni.
Bel romanzo. Ci sono svariate parti che potrebbero essere tagliate e particolari che potrebbero essere omessi. La lunghezza è parzialmente giustificata. Con qualcosa come 300 pagine in meno sarebbe stato ancora più godibile. Ma la storia si sviluppa bene, gli eventi sono interessanti e ti fanno venir voglia di continuare a leggere. La lettura risulta veloce e leggera.
Se non si ha un ebook reader, 14€ tutto sommato si possono spendere senza troppi rimpianti.